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Padellaro Antonio - 14 febbraio 1993
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Torna il culto di Pannella. E lui attacca i giudici

di Antonio Padellaro

SOMMARIO: »Craxi e Pannella hanno sempre avuto una comune avversione per la sinistra bigotta, classista, antioccidentale, per il consociativismo cattocomunista, per la retorica del pessimismo ma »la differenza principale tra loro è che Pannella è povero . Mentre gli altri folleggiavano nel luna park miliardaria delle tangenti, i radicali si autofinanziavano con affannose collette. »L'udienza di cui oggi gode Pannella a sinistra, al centro e a destra, la sua indiscussa capacità legittimatrice, la suggestione che esercita anche in campi avversi, nasce soprattutto da questa patente di onestà che nessuno può contestargli . Odierno ago della bilancia, Pannella sa di poter ormai aspirare alle massime cariche. L'unico rischio è quello di restare l'ultima sentinella, simpatica, onesta, di un sistema che muore.

(L'ESPRESSO, 14 febbraio 1993)

"Io e Pannella siamo le uniche autentiche novità della politica italiana", disse tanto tempo fa Bettino Craxi forse presentendo che finiti gli anni delle vacche grasse anche l'amico Marco sarebbe tornato utile. Può non essere un caso, infatti, che alla caduta rovinosa dell'uno abbia fatto da contraltare il trionfo repentino dell'altro; che l'idea avanzata sul "Corriere della Sera" da Ernesto Galli della Loggia, di un avvicendamento Craxi-Pannella sul trono diroccato del Psi sia stata accolta con rispettosa attenzione; che la nutrita compagnia dei corifei in bivacco per tutti gli anni Ottanta all'ombra del Garofano o sotto i templi di Panseca, sia velocemente trasmigrata all'hotel Ergife (costruito di fronte, fatalità, proprio all'hotel Midas) per ossequiare il leader radicale e il suo trentaseiesimo congresso.

Entrambi addestrati alle trappole delle politiche nella fucina universitaria dell'Unuri, Craxi e Pannella hanno sempre avuto una comune avversione per la sinistra bigotta, classista, antioccidentale, per il consociativismo cattocomunista, per la retorica del pessimismo.

Un altro punto in comune è la radicata diffidenza nei confronti del potere giudiziario.

La differenza principale tra loro è che Pannella è povero. Povero non tanto per la condizione economica privata (che non deve essere comunque brillantissima a giudicare dall'eterno cappottone liso e da un'improbabile utilitaria), ma nel senso di una scelta politica di fondo.

Mentre tutti gli altri partiti folleggiavano nel luna park miliardario delle tangenti, i lazzari radicali guidati dal loro pifferaio matto vivevano letteralmente di stenti sempre sull'orlo della chiusura e dello sfratto. Si autofinanziavano con affannose collette. Ostentavano una miseria allegra che, ne erano certi, avrebbe dato i suoi frutti. L'udienza di cui oggi gode Pannella a sinistra, al centro e a destra, la sua indiscussa capacità legittimatrice, la suggestione che esercita anche in campi avversi, nasce soprattutto da questa patente di onestà che nessuno può contestargli.

Se egli, caso quasi unico nel generale discredito della classe politica, viene applaudito per strada è perchè la gente gli riconosce l'incommensurabile merito di non essersi arricchito alle loro spalle. E che cosa cercano le torme di socialisti impauriti e di ministri smarriti che vanno da lui in processione se non, come ha scritto malignamente la "Voce Repubblicana", un viatico per superare il peggio, una scorciatoia di sopravvivenza, insomma un alibi? Per tutti, per i Vizzini, per i Facchiano, perfino per i Vitalone, Marco ha una parola buona. Di tutti conosce le umane debolezze.

Sappiano queste anime in cerca di riscatto che Pannella può essere un padrone severo, che non ammette furbizie e opportunismi: chi è stato folgorato sulla via di Damasco (buon ultimo il democristiano siciliano Rino Nicolosi), resterà radicale "al cento per cento", pena incredibili scenate nel transatlantico di Montecitorio.

Immerso in questo alone di magica invulnerabilità, oggi Pannella può affermare tra gli applausi ciò che in bocca a Craxi ed altri politici sarebbe sommerso di fischi.

Può esaltare "la nobiltà della politica" mentre la politica arrossisce di vergogna. Può difendere la memoria del socialista Sergio Moroni, suicida per la vicenda delle tangenti a Milano, e scagliarsi contro "i giacobini intolleranti e intollerabili". Può attaccare frontalmente il celebratissimo potere giudiziario: "Quando la giustizia avrà fatto per intero il suo corso anche centinaia di magistrati dovranno rispondere del loro operato , come i politici".

Se per caso gli girasse potrebbe perfino difendere il sistema delle tangenti come un male necessario al costo della democrazia. E conserverebbe il rispetto di tutti.

Artefice di spericolate operazioni istituzionali (l'elezione di Oscar Luigi Scalfaro al Quirinale nasce da una sua intuizione), proprio come il Bettino dei tempi d'oro anche Pannella si diverte a tenere sulla corda i governi.

Odierno ago della bilancia, è vero che può offrire alla gracile maggioranza quadripartita su cui si regge il governo solo una manciata di voti, ma a Giuliano Amato bastano eccome. Tanto che in cambio il presidente del Consiglio è disposto perfino a vedere "nei principi transnazionali radicali l'essenza del socialismo delle origini".

Scorrazzando tra le macerie partitocratiche e forte del suo riconosciuto carisma, Pannella sa di poter ormai aspirare alle massime cariche. Primo a poi, si candiderà anche per Palazzo Chigi. Con l'unico rischio di restare l'ultima sentinella, simpatica, onesta, di un sistema che muore.

 
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