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Il partito nuovo, Turi Joseph - 19 marzo 1993
Babele

SOMMARIO: Sono stati circa 350 gli esperantisti, residenti in 30 paesi, iscritti al Pr del 1992. Tra questi: Andrea Chiti Batelli, già segretario delle delegazioni parlamentari italiane al Pe e presidente dell'ERA, l'associazione esperantista radicale, che conta iscritti in numerosi paesi del mondo; Hans Herasmus, coordinatore dell'"Europa Esperanto Unio"; Angelo Pennacchietti, vice presidente dell'"Accademia Internazionale delle Scienze", presidente dell'"Istituto italiano di Esperanto", Emilija Lapenna, scrittrice, figura storica del "Movimento internazionale esperantista", fondatrice nel 1945 della "Kroatia Esperanto-Ligo".

Vorremmo che gli esperantisti sparsi per il mondo che ricevono questo giornale, comprendano che la loro idea può affermarsi solo se trova lo strumento, l'organizzazione politica che si impegna sul problema della democrazia linguistica. Il Pr offre loro questa possibilità concreta.

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Intervista a Joseph Turi, professore e avvocato canadese, Segretario Generale dell'Accademia Internazionale di Diritto Linguistico: "Nel campo delle comunicazioni internazionali il diritto alla lingua diventa un diritto teorico. E' per questa ragione che una lingua neutra e artificiale sarebbe l'ideale come lingua internazionale".

(IL PARTITO NUOVO, 19 marzo 1993)

D. La lingua è diventata in molti paesi un simbolo nazionale, la manifestazione della cultura di un paese. E' d'accordo?

R. Sì. Molti pensano che la lingua sia un simbolo culturale preferibile persino alla razza e alla religione. Ma in realtà che differenza c'è fra questi concetti? Si tratta sempre di concetti esclusivi. Se la lingua è concepita come manifestazione di una cultura ed è chiaro che la lingua è uno strumento di comunicazione importante, come tale essa va rispettata. Non una lingua in particolare. Qualsiasi lingua. Anche per questo, l'Accademia Internazionale di Diritto Linguistico è favorevole al riconoscimento del diritto alla lingua come diritto fondamentale.

D. Che cosa vuol dire diritto alla lingua?

R. Vuol dire diritto a qualsiasi lingua e non già ad una in particolare. Se così non fosse si ritornerebbe al vecchio sistema medievale in cui ognuno doveva avere la religione del proprio sovrano. Allora se uno va nel Quebec deve parlare francese, se in Estonia, estone, se va nell'Ontario deve parlare inglese. Si ritornerebbe ad altre guerre: quelle delle lingue. In questo senso, ad esempio, ritengo pericolosissimo il concetto dei diritti linguistici storici, per cui solo le lingue radicate da secoli in un territorio meritano di essere protette, diffuse e promosse. Quelle che non hanno diritti storici non hanno nessun diritto. Le lingue degli immigrati in Europa, ad esempio, non hanno nessun diritto. I marocchini o gli algerini in Francia non avrebbero nessun diritto storico.

D. Questa distinzione come si concilia con il principio più generale del diritto alla lingua?

R. Il diritto linguistico storico è una manifestazione concreta del diritto alla lingua. E' questo diritto che deve essere riconosciuto come diritto fondamentale.

D. Dunque, ognuno parli la propria lingua. Quali sono i limiti di questo principio?

R. Il diritto alla lingua non è un diritto assoluto. Nel campo delle comunicazioni internazionali il diritto alla lingua diventa un diritto teorico. E'per questa ragione che una lingua internazionale è necessaria. Oggi è l'inglese, ieri era il francese, il latino, domani forse sarà un'altra lingua. E' per questa ragione che, in fondo, una lingua neutra e artificiale sarebbe l'ideale come lingua internazionale. In ambito nazionale sarebbe necessario che gli Stati riconoscano il diritto alla lingua come fondamentale e molti progetti sono stati fatti e si faranno per redarre una dichiarazione universale dei diritti linguistici. Già l'art. 27 del patto internazionale del 1976 riconosce alle minoranze linguistiche il diritto di usare la loro lingua. Questo patto internazionale, come la dichiarazione dei diritti dell'uomo del 1948, proibisce ogni discriminazione linguistica. Già ci sono dei documenti internazionali a favore, in un certo senso, del diritto alla lingua. Non c'è ancora la dichiarazione universale dei

diritti linguistici, forse perchè gli Stati hanno paura che possa frammentare la loro unità politica e nazionale.

D. In che cosa consisterebbe una Carta dei diritti linguistici?

R. La carta di cui parlavo, che facciamo come UNESCO, pur non essendo un documento ufficiale di questa organizzazione, è un progetto della federazione internazionale delle associazioni dei professori di lingue moderne. Questa federazione da molti anni sta preparando una dichiarazione universale dei diritti linguistici, dove è riconosciuto a qualsiasi persona il diritto di parlare la sua o qualsiasi lingua e di avere l'insegnamento della lingua ufficiale del suo paese e in più della sua lingua o di una lingua di sua scelta. Viene quindi riconosciuto il principio generale del diritto alla lingua e poi il diritto alla lingua nel campo dell'insegnamento. Abbiamo già un progetto di dichiarazione universale dei diritti linguistici e un documento che dovrebbe essere pubblicato dall'UNESCO quest'anno con questo progetto.

D. Quanto incide la lentezza dei tempi burocratici sulla efficacia dei principi sanciti dalla Carta dei diritti linguistici?

R. E' pur vero che gli organismi internazionali e i trattati e le dichiarazioni internazionali non sono molto efficaci. Purtroppo questa è la realta della comunità internazionale. E' anche vero, però, che in alcuni casi funziona. Ad esempio la Turchia aveva fatto una legge linguistica durissima nei confronti della lingua curda. Ci sono state iniziative internazionali molto forti e la Turchia ha abrogato questa legge.

Comunque, una dichiarazione internazionale ha senz'altro delle conseguenze. In alcuni paesi, che recepiscono con maggiore rapidità gli impegni internazioneli, come il Canada, sicuramente avrebbe degli effetti.

Probabilmente sarebbe necessario organizzare movimenti politici forti che premano per il rispetto delle minoranze linguistiche. In questo senso una maniera efficace per proteggere il diritto alla lingua sarebbe, sia a livello nazionale che internazionale, riconoscere una lingua artificiale neutra. Molte volte, infatti, il diritto alla lingua si trasforma a livello nazionale nell'uso della lingua ufficiale e a livello internazionale nel parlare l'inglese.

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Il diritto alla lingua

Il tema della "democrazia linguistica", e in particolare dell'esperanto, è stato discusso nell'ambito di una delle commissioni del Congresso, insieme a quello più generale del "federalismo e delle nazionalità, dei diritti civili e politici, dei diritti delle minoranze". In questa commissione, presieduta da Erno Borbely, già deputato al Parlamento romeno, e Sandro Ottoni, consigliere federale del Pr, sono intervenuti su questo tema, tra gli altri: Ferenc Csubela e Anton Skenderovic, deputati al Parlamento serbo; Kolio Paramov, deputato bulgaro, Vjekoslav Zuhaj, deputato al Parlamento croato, membri dell'Assemblea dei parlamentari del Pr. In Congresso è intervenuto Helmar Frank, direttore dell'istituto di Pedagogia Cibernetica all'Università di Paderborn, iscritto al Pr.

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Nei Parlamenti...

Grazie alla proposta di risoluzione presentata da Luigi Vertemati, parlamentare europeo socialista, iscritto al Pr e da Marco Pannella nell'agosto scorso, il PE ha deciso di far compiere uno studio sulla possibilità che l'esperanto favorisca l'apprendimento delle lingue straniere (metodo di Paderborn).

In Italia è stato costituito l'intergruppo federalista sulla lingua e per la riforma della politica linguistica. Hanno aderito 36 parlamentari, di tutti i gruppi politici, esclusa l'estrema destra.

 
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Turi Joseph
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