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Lambruschi Paolo, Matulli Giuseppe, Vito Elio, Pagano Giorgio, Lambruschi Paolo - 12 maggio 1993
ESPERANTO E MERENDINE
Dopo il decreto che ne prevede lo studio alle elementari

di Paolo Lambruschi

SOMMARIO: In seguito alla istituzione, con decreto del ministro della Pubblica Istruzione Rosa Russo Jervolino, di una commissione di studio per elaborare un progetto di introduzione dell'esperanto nelle scuole elementari, il quotidiano "Avvenire" intervista il sosttosegretario Giuseppe Matulli, il deputato Elio Vito, il segretario dell'associazione radicale esperantista Giorgio Pagano.

(AVVENIRE, 12 maggio 1993)

Un decreto del ministro Jervolino ha istituito, la scorsa settimana, una commissione di studio per elaborare un progetto di introduzione dell'esperanto nelle scuole elementari.

Il decreto, prima di essere operativo, dovrà avere tutte le autorizzazioni di rito, ma intanto il dado è tratto: un'altra piccola rivoluzione linguistica che si aggiunge a quella, tanto attesa, della seconda lingua nel ciclo dell'obbligo.

Idea peregrina o lungimiranza culturale e politica?

Le opinioni si dividono, ma sotto sotto c'è un problema serio di egemonia linguistica di alcuni Paesi, come l'Inghilterra e l'America, che sono riusciti a imporre, nella cultura, nei commerci, nell'uso quotidiano, le loro parole e i loro modi di dire.

Intanto però le ricchezze e le tradizioni di linguaggio dei diversi popoli della terra sono sempre meno note e più lontane.

Gli esperantisti, che nel nostro Paese hanno estimatori di primissimo piano - alcuni sostengono che anche il presidente Scalfaro sia con loro -, dicono che il nuovo idioma, per struttura e grammatica, è un aiuto importante per chi vuole imparare le lingue nel mondo, a cominciare proprio dall'inglese. Strenui difensori delle minoranze, affermano inoltre che l'esperanto garantisce il rispetto di tutte le culture, e rappresenta un baluardo contro ogni minaccia si supremazie culturali, a favore del principio della pari dignità e uguaglianza tra tutti i popoli della terra.

La nostra inchiesta raccoglie i pareri degli addetti ai lavori e l'opinione del ministero che ha gettato un grosso sasso nello stagno, destinato a far nascere un acceso dibattito nel prossimo futuro.

* * * * *

Intervista all'on. Matulli

Perché il ministero della Pubblica Istruzione ha scoperto all'improvviso l'esperanto? E perché si parla di sperimentare questa lingua semisconosciuta nelle nostre scuole elementari proprio alla riforma che introduce lo studio delle lingue straniere?

"Tempo fa - spiega Giuseppe Matulli, democristiano, riconfermato la scorsa settimana sottosegretario alla Pubblica istruzione - l'onorevole Vito della Lista Pannella chiese in un'interrogazione parlamentare perché nelle scuole italiane non venisse insegnato l'esperanto. Ci abbiamo riflettuto, abbiamo incontrato diversi studiosi e alla fine è nata una commissione per studiare le modalità di introduzione dell'esperanto nella scuola italiana".

La Commissione è composta da un gruppo di linguisti (Andrea Chiti Batelli, Gabriella Fanello Marcucci, Umberto Broccatelli e Giorgio Pagano) coordinati dallo stesso Matulli. Il sottosegretario alla Pubblica Istruzione smorza però i facili entusiasmi.

"Non abbiamo fatto discorsi velleitari né chiuso porte in faccia a nessuno. La creazione formale di una commissione è una tappa importante. Ci riuniremo nei prossimi giorni per definire rapidamente un piccolo progetto. Quindi ci metteremo alla ricerca di una scuola elementare che voglia sperimentare lo studio dell'esperanto. Ci muoveremo in sintonia con l'ufficio Studi del Ministero e la direzione nazionale della scuola elementare".

D. - Onorevole Matulli, secondo lei la scuola recepirà con favore questa iniziativa? Si potrebbe obiettare che sarebbe più opportuno migliorare lo studio dell'inglese o del francese.

R. - "L'esperanto non è una lingua da studiare in contrapposizione all'inglese o al francese. La questione è da porre in termini di didattica linguistica. Stiamo portando avanti con difficoltà la riforma delle elementari che prevede l'introduzione di una lingua straniera. Ma la percentuale delle classi in grado di fare lezioni di questo tipo è molto bassa. Quindi si rischia di avere solo pochi alunni in grado di apprendere una lingua straniera oppure di far studiare questa lingua come alle medie inferiori, cioè poco e male. L'esperanto, mi hanno confermato pedagoghi e linguisti, è propedeutico allo studio delle lingue. In una realtà nuova, come quella che si delinea con l'introduzione della lingua alle elementari, potrebbe rivelarsi una tecnica di apprendimento linguistico idonea per bambini. In sostanza la commissione dovrà verificare se l'esperanto nelle elementari può diventare una nuova metodologia per facilitare lo studio delle lingue. Non è un'operazione costosa in termini economici e di tempo, se fall

iremo cercheremo altre strade".

D. - La commissione troverà dei modelli di riferimento nelle scuole di altri Paesi europei?

R. - "No, non mi risulta che l'esperanto sia stato introdotto nelle scuole elementari europee. E' una realtà conosciuta più che altro a livello di esperti e di cultori".

* * * * *

Intervista a Elio Vito

D. - Chi canta vittoria per l'istituzione della commissione ministeriale è Elio Vito, deputato nella Lista Pannella e coordinatore dell'intergruppo parlamentare federalista sulla lingua e per la ricerca della politica linguistica.

"L'Unesco ha riconosciuto che l'esperanto facilita l'apprendimento delle lingue per le sue caratteristiche di sintesi. Questo è un aspetto importante, ma il discorso è più complesso, c'è la necessità di avere una lingua neutra. L'integrazione europea obbliga decine di milioni di persone che parlano svariati idiomi e dialetti a comunicare in una lingua sola. Se questa è una lingua etnica, si corre il rischio di creare l'egemonia di una cultura e di una politica con la conseguente scomparsa di altre lingue e di altre culture, come è successo con il latino. La proposta dell'esperanto soddisfa l'esigenza di comunicazione senza intaccare le identità culturali, etniche e politiche. Per questo abbiamo chiesto che venga aggiunto allo studio di un'altra lingua nelle elementari".

D. - Qual'è la situazione in Europa?

R. - "Accogliendo le richieste della nostra commissione, il Parlamento europeo ha recentemente approvato una risoluzione per la diffusione dell'esperanto nella scuola".

D. - Però l'esperanto non è molto conosciuto. Se approdasse nelle nostre elementari, gli insegnati dovrebbero frequentare dei corsi di formazione. Non è un ostacolo per la diffusione?

R. - "In Italia esistono diversi istituti per l'insegnamento dell'esperanto. Comunque è una lingua facile da apprendere, specialmente se si conosce già una lingua etnica. Non credo quindi che l'orientamento dei docenti costituisca un problema. Questo lo verificherà in ogni caso la commissione Matulli".

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Intervista alla Federazione esperantista

Sono contenti i discepoli italiani del Dokctoro Esperanto, "il dottore che spera", come si era ribattezzato il dottor Zamenhof, inventore di questa lingua sovranazionale.

Creando la Commissione che studierà come diffonderlo nelle scuole, il governo ha dato una piccola soddisfazione ai cultori di questo idioma nato per abbattere le frontiere linguistiche, senza tuttavia riuscire a decollare.

D. - Ma quanti sono gli esperantisti italiani?

R. - "E' difficile dare una risposta precisa - chiarisce il dottor Gianfranco Polerani, presidente del Circolo esperantista milanese e membro della Federazione italiana esperantista - perché in molte città si tengono corsi di esperanto, ma non tutti coloro che apprendono la lingua restano poi in contatto con il movimento esperantista. Attualmente gli iscritti alla Federazione italiana sono circa duemila".

D. - E' difficile imparare l'esperanto?

R. - "No. L'esperanto è stato creato sullo schema delle lingue orientali soprattutto il turco e il cinese, tant'è che nelle maggiori università cinesi l'esperanto si studia da tempo.

Il modello orientale è stato scelto perché quelle lingue hanno una struttura che facilita l'apprendimento. L'esperanto non ha eccezioni, ha regole grammaticali fisse e ben precise, è una lingua chiara e logica. Anche le regole di pronuncia non hanno eccezioni".

D. - Viene insegnato nelle università italiane?

R. - "Quest'anno l'Università di Trento ha istituito la cattedra in esperantologia, ma non è stata attivata perché non è stato ancora nominato il docente. Riguardo alla scuola dell'obbligo, volevo ricordare che già qualche anno fa si tennero lezioni sperimentali di esperanto in alcune quarte e quinte elementari.

Quegli allievi hanno poi dimostrato alle medie superiori di essere più avvantaggiati nello studio delle lingue. E' stato calcolato che i tempi di apprendimento sono circa un quinto di quelli necessari per una lingua nazionale: due mesi per leggerlo e cinque per parlarlo".

D. - In un momento di revival localistico e nazionalistico in tutt'Europa, non è superato l'esperanto?

R. - "No, perché ha un preciso carattere propedeutico e non vuole soppiantare le lingue nazionali come sta facendo l'inglese.

Gli esperantisti sono difensori delle minoranze e del pluralismo linguistico".

D. - Quante persone parlano l'esperanto nel mondo?

R. - "Sicuramente qualche milione. A ogni congresso internazionale ci sono in media 4000 delegati".

D. - Secondo lei, l'esperanto potrà mai diventare uno strumento di comunicazione tra il Nord e il Sud del nostro pianeta?

R. - "Sicuramente ne ha le potenzialità culturali proprio perché rispetta l'identità di ciascuno.

Nella Cee esiste una federazione di parlamentari europei amici dell'esperanto, costituita addirittura da deputati inglesi, in Asia è abbastanza forte, in Africa e in America Latina si sta sviluppando ed è apprezzato soprattutto dai giovani che hanno una grande voglia di comunicare con il mondo".

* * * * *

Articolo di Giorgio Pagano (segretario Associazione radicale esperanto)

Questione di democrazia.

Con la decisione di estendere a tutti, fin dalla più tenera età, l'apprendimento di una lingua straniera, l'Europa sta per compiere la scelta di politica culturale più importante dell'intero secolo. Tale scelta può portare o alla fine delle nostre lingue e culture, e cioè del pluralismo che costituisce l'"identità" stessa dell'Europa, o al compimento di un primo passo, ma decisivo, per risolvere il problema della comunicazione internazionale nel rispetto di tutte le culture.

Attualmente la tesi maggiormente avvalorata sembra essere la prima, basta leggere le percentuali sull'apprendimento delle quattro lingue straniere inserite nella scuola elementare italiana: tutti vogliono che il loro bambino impari l'inglese. Piccolo ma immediato effetto di questo disinteresse per altre lingue è, ad esempio, la perdita del posto di lavoro per tutti gli insegnanti di lingue diverse dall'inglese.

Certo oggi nel mondo il bisogno di comunicazione linguistica transnazionale è urgente. Ma una lingua etnica nella posizione egemone di lingua franca europea e mondiale, in cui si trova oggi l'inglese, minaccia direttamente nel giro di poche generazioni l'esistenza di tutte le altre: come dimostrano gli esempi del latino, che distrusse le lingue autoctone dell'Europa antica, e delle lingue dei popoli bianchi che distrussero le parlate indigene delle due Americhe.

D'altronde, sostituire a un monopolio linguistico l'idea di un oligopolio, come ventilato dal Programma Lingua della Comunità Europea, non significa ancora arrivare alla libertà di mercato anche in campo linguistico, con adeguate "barriere antimonopolio".

Solo una lingua non etnica può servire alla comunicazione europea ed universale senza pericolo di morte per gli altri idiomi, senza popoli privilegiati che non devono imparare la lingua franca internazionale, senza persone privilegiate perché riescono a procurarsi i mezzi costosi per imparare una lingua difficile e complicata come una lingua nazionale nella funzione artificiale di lingua internazionale...

Tra le centinaia di progetti di lingue universali degli ultimi quattro secoli solo l'Esperanto è diventato una vera lingua e oggi è pronto per l'uso. Come provano oltre cento anni di esperienza, con una mole ingente di letteratura tradotta e originale, di comunicazione verbale, di rapporti umani.

E' attraverso l'adozione dell'esperanto come lingua veicolare internazionale che, di fatto, riusciremo a tutelare il diritto alla lingua garantendo le lingue nazionali, gli idiomi delle minoranze, e, nel contempo, ad assicurare la comunicazione transnazionale democratica.

Ma, intanto, l'esperanto, appreso come prima lingua non materna può servire per imparare meglio e in meno tempo l'inglese; esperimenti studiati dall'Istituto di Cibernetica pedagogica dell'Università tedesca di Paderborn, testimoniano inequivocabilmente che un apprendimento preliminare dell'esperanto costituisce, per i bambini che si apprestano a studiare le lingue straniere, uno strumento fondamentale, al tempo stesso migliore e più rapido, per l'apprendimento, in una fase successiva, di tali lingue.

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IL FASCISMO DISSE NO di Paolo Lambruschi

L'esperanto è una lingua sovranazionale creata nel 1887 dal glottologo polacco Zamenhof, originario di Bialistok, città dove convivevano 4 etnie e 4 lingue diverse. Con lo pseudonimo di dottor Esperanto presentò in Russia il primo vocabolario della nuova lingua che si diffuse in Svezia e in Germania. Nel 1905 si tenne il primo congresso internazionale di esperantisti a Boulogne sur Mer, in Francia.

Dal 1964 l'Associazione universale esperantista con sede a Rotterdam, è membro consultivo dell'Unesco. Presidente è il professore inglese John Wells. Un Comitato linguistico e un'Accademia curano l'evoluzione e l'attività culturale: esistono traduzioni dei classici in esperanto, una letteratura originale in lingua e addirittura programmi radiofonici trasmessi da stazioni dell'Europa settentrionale e orientale. La diffusione e la promozione dell'esperanto spettano alle associazioni nazionali. Il presidente della federazione italiana è il professor Giordano Formizzi, docente dell'Università di Verona.

In Italia l'esperanto visse un momento felice agli inizi degli anni '20, quando veniva insegnato nelle scuole comunali milanesi. Poi, durante il ventennio fascista, venne proibito. Dopo la guerra il movimento esperantista italiano si è riorganizzato nelle maggiori città italiane. L'alfabeto è di 28 lettere, il vocabolario ha solo 4413 radici lessicali, tratte dalle lingue indoeuropee, per lo più slave e germaniche. I derivati e i composti si ottengono con prefissi e suffissi. I sostantivi terminano in -o, gli aggettivi in -a, gli avverbi in -e. I verbi hanno una sola coniugazione con l'infinito in -i e si coniugano in tre tempi: presente, preterito e futuro.

 
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