di François FejtöSOMMARIO: Lo stato civile, in quanto rappresentante dell'interesse pubblico, deve dare l'esempio del comportamento etico che esige per legge dai cittadini. Non può quindi applicare la pena capitale
(CAMPAGNA PARLAMENTARE MONDIALE PER L'ABOLIZIONE DELLA PENA DI MORTE ENTRO IL 2000 - Partito Radicale/Lega Internazionale per l'abolizione della pena di morte entro il 2000)
Giovane scrittore, ho molto riflettuto alla legislazione dell'imperatore Giuseppe II di Asburgo, figlio di Maria Teresa, che era ciò che si definisce un despota illuminato. Se non abolì completamente la schiavitù, alleggerì notevolmente la sorte dei servi, pubblicando un decreto di tolleranza, che apriva la strada all'emancipazione dei protestanti e degli ebrei. Inoltre, abolì la pena di morte nei paesi della monarchia.
Perché? Per spirito di indulgenza o di clemenza? Certamente no. Così come l'ho descritto nella monografia che gli ho dedicato, Giuseppe II
-contrariamente a suo fratello Pietro Leopoldo di Toscana, uomo di Stato gioviale e flessibile- era un uomo duro, esigente nei confronti dei suoi sudditi come di se stesso, un puritano. Egli era contro la pena di morte per spirito di giustizia. Per ciò che pensava essere lo spirito di giustizia. Egli giudicava che per i grandi crimini, gli infanticidi o i parricidi, o per l'alto tradimento, che generalmente -seguendo la legge del taglione tanto diffusa, si puniva con la morte- il supplizio non costituisse una punizione sufficientemente dura. I lavori forzati per tutta la vita erano più adeguati e anche più conformi al comandamento: Tu non ucciderai.
Io non sono né monarca, né puritano, ma ho studiato abbastanza i Discorsi di Machiavelli per non confondere l'etica e la politica. So per esperienza che il lassismo non è redditizio per la società che deve difendersi dalla criminalità. Il diritto alla vita, alla proprietà, debitamente acquisita, la sicurezza personale, devono essere difese, e, coloro che la violano, castigati.
Di sicuro, in tutta la misura del possibile, bisogna lottare contro la criminalità con la prevenzione, l'educazione, e l'organizzazione sociale. Ma il fatto di ammettere la responsabilità della società nell'aumento della criminalità alla quale si assiste negli ultimi tempi, anche nei paesi i più sviluppati, non giustifica l'impunità dei crimini.
Se io sono contro la pena di morte, è soprattutto perché giudico che lo Stato civile -in quanto rappresentante dell'interesse pubblico- deve dare l'esempio del comportamento etico che esige per legge dai cittadini. Lo Stato deve punire i colpevoli, rendere inoffensivi i criminali e fermarsi davanti all'esecuzione capitale, della quale tutte le forme sono ripugnanti, e che irritano profondamente la nostra sensibilità morale.
In un mondo dove certi odii e certe violenze che credevamo scomparsi, si propagano e -su tutti i continenti- sono minacciate le conquiste della civiltà da un ritorno di fiamma della barbarie, io penso che l'abolizione generale, solenne, della pena di morte, proclamata dalle Nazioni Unite, sarebbe un atto di fede nella sacralità della vita umana e nei valori di fraternità e libertà che siamo chiamati a difendere.