di Emma BoninoSOMMARIO: Emma Bonino avverte che si sta preparando, dopo quello in Bosnia, un altro crimine contro un'intera popolazione, quella del Kossovo. La repressione serba in Kossovo sta diventando sempre più pesante ma nessuno raccoglie gli appelli all'intervento che vengono da Prishtina. Di questa situazione ne discuteranno invece i parlamentari iscritti al Partito radicale che si riuniranno a Sofia. Le proposte per il disconoscimento della Repubblica federale di Jugoslavia (Serbia-Montenegro) e per la concessione al Kossovo di una forma di »protettorato delle Nazioni Unite. L'urgenza di far fronte alla crisi dell'ONU che deve acquistare un nuovo assetto democratico da cui possa trarre la legittimità e la forza necessarie per imporre "erga omnes" il rispetto delle norme del diritto internazionale
(IL GIORNALE, 13 luglio 1993)
Gli occhi del mondo sono ormai puntati sulla fine "annunciata" di Sarajevo che sarà presa »per sete - come nelle guerre antiche - nonostante sia stata dichiarata dalle Nazioni Unite »zona protetta .
Questo crimine ne prepara, ne »annuncia già un altro: lo straripamento dell'aggressione serba al Kossovo con immediate ripercussioni sull'Albania, sulla Macedonia - dove è presente una consistente »minoranza albanese - e di conseguenza sulla Grecia e la Bulgaria.
Ma per il Kossovo la comunità internazionale non potrà nascondersi dietro gli alibi con cui ha giustificato la sua impotenza in Bosnia. Spetterà al suo senso di responsabilità, o alla sua faccia di bronzo, decidere se consentire o meno che il regime di Milosevic realizzi questa seconda operazione di »pulizia etnica sterminando, dopo quello bosniaco, anche il popolo del Kossovo.
Forse siamo già in ritardo, forse già si va cercando gli alibi più repugnanti, perché i segni premonitori non mancano: la repressione serba in Kossovo si sta facendo ogni giorno più spavalda e pesante; recentemente è stato chiuso anche l'ultimo giornale in lingua albanese, e nonostante lo sciopero della fame del Premio Sacharov Demaqi e di altre decine di albanesi del Kossovo, le provocazioni della polizia serba, le perquisizioni senza mandato, gli arresti ingiustificati sono all'ordine del giorno. Noi siamo in stretto contatto con quei popoli: da Prishtina arrivano ogni giorno disperati appelli perché la comunità internazionale, l'ONU, la CSCE faccia qualcosa.
Tutti fanno finta di non vedere. Noi ci ostiniamo invece a non chiudere gli occhi e per questo, tra pochi giorni, i parlamentari iscritti al Partito radicale trasnazionale (oltre 600, provenienti in larga misura dai paesi dell'Est europeo) si riuniranno a Sofia, a pochi chilometri da paesi ancora totalitari come la Serbia o appena usciti dal comunismo. Parteciperanno, tra gli altri, 17 membri del disciolto parlamento del Kossovo (appunto!), 25 parlamentari macedoni, 40 parlamentari bulgari, 12 croati, 8 serbi, 3 rappresentanti della Voivodina, 20 parlamentari albanesi: insomma i più diretti e primi interessati. Molte già sono le proposte d'iniziativa urgente per il Kossovo, su cui il Partito radicale potrà misurare la sua capacità di mobilitazione dell'opinione pubblica e sopratutto di pressione sui parlamenti nazionali e sulle istituzioni internazionali: dal "disconoscimento" della Repubblica federale di Jugoslavia (Serbia-Montenegro) alla richiesta d'invio di forze ONU nella regione, come ha proposto la de
putata Molinari al Congresso americano, dalla concessione al Kossovo stesso di una forma di "protettorato" delle Nazioni Unite, come richiesto dal Presidente del Kossovo Rugova, fino al piano in sei punti dl presidente albanese Berisha che suggerisce di condizionare l'eventuale cessazione dell'embargo alla Serbia alla soluzione, fra l'altro, della questione del Kossovo.
Ma al centro del dibattito sarà, alla fine, l'impotenza della Comunità internazionale di fronte alle nuove responsabilità che un mondo non più diviso in blocchi assegna alle Istituzioni sovranazionali. Dopo le prime speranze di veder attribuito all'ONU il ruolo di "governo" nell'ambito di un nuovo ordine internazionale basato sul diritto, sulla legge e sulla capacità di farla rispettare, abbiamo dovuto amaramente riconoscere, con il fallimento della missione in Jugoslavia e le crescenti difficoltà in Somalia, che la strada è ancora lunga e difficile.
Di una cosa siamo peraltro certi: senza il Partito radicale, senza altri partiti trasnazionali capaci d'imporre nell'agenda politica dei vari paesi la priorità, l'urgenza di un nuovo assetto democratico dell'ONU da cui questa Istituzione possa trarre la legittimità e la forza necessarie per imporre "erga omnes" il rispetto delle norme del diritto internazionale, nuove tragedie e nuove ingiustizie si preparano. E non lontane da noi, ma alle soglie di casa nostra.
Ancora una volta sarà ritenuta una sfida e una ambizione sproporzionata per il piccolo Partito radicale?