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Calderisi Giuseppe - 30 agosto 1993
RELAZIONE SUI REFERENDUM ED ALTRI TEMI DELLA CAMPAGNA
di PEPPINO CALDERISI

SEMINARIO CLUB PANNELLA - SABAUDIA 30-31 AGOSTO - 1·SETTEMBRE 1993

SOMMARIO: Ipotesi di iniziative referendarie e legislative sui temi della riforma elettorale in senso uninominale, dell'elezione diretta del capo dell'esecutivo, della responsabilità civile dei magistrati, dell'informazione, del valore legale dei titoli di studio, del finanziamento dei partiti, della cassa integrazione, del "capitalismo democratico".

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Prima di passare ai possibili quesiti referendari e ad altri temi della campagna, due considerazioni. La prima sui tempi dell'iniziativa referendaria. Considerata l'altissima probabilità di votare all'inizio della primavera del 1994, i tre mesi della raccolta delle firme vanno necessariamente collocati tra la fine di ottobre/primi di novembre e la fine gennaio/primi di febbraio. Il deposito delle firme va infatti effettuato, per legge, prima della data di convocazione dei comizi elettorali (andare oltre sarebbe pertanto rischioso; partire prima, all'inizio di ottobre, significherebbe non avere più tempo per la definizione dei quesiti). Questo periodo è l'unico possibile, oltretutto, per far tenere la consultazione referendaria nel 1995 perché dopo la convocazione dei comizi elettorali non è consentito depositare referendum per sei mesi e il 30 settembre scade comunque il periodo annuale di deposito delle richieste. Insomma la campagna di raccolta delle firme si colloca rispetto ai tempi delle elezioni politi

che allo stesso modo di quella che ha preceduto le elezioni dell'aprile '92 e che ha portato al voto del 18 aprile. Inoltre la raccolta delle firme coinciderà in pieno con lo svolgimento delle prossime elezioni comunali.

La seconda considerazione riguarda le caratteristiche generali della campagna referendaria, di leggi d'iniziativa popolare e di iniziative parlamentari. A mio avviso occorre scegliere pochi e fondamentali nodi politici per ciascuno dei quali deve essere possibile sviluppare un'autonoma campagna politica nel paese. Altrimenti sarebbe impossibile farne un'occasione di confronto con altri soggetti. Anche al fine di denunciare il vuoto politico e di contenuti degli altri, credo sia utile rifarsi al metodo radicale di contrapporre ai programmi onnicomprensivi e indistinti la concretezza di poche ma fondamentali battaglie.

Certamente, soprattutto a livello parlamentare, si potranno e dovranno assumere varie altre iniziative. Ma da sviluppare nel paese vedo - personalmente - tre, al massimo quattro grandi temi (ciascuno dei quali potrà o dovrà articolarsi in più iniziative): quello elettorale e di riforma istituzionale (elezione diretta del capo dell'esecutivo), ordine giudiziario, statalismo-pubblica amministrazione-debito pubblico, informazione.

Veniamo all'esame dei temi e alla fattibilità dei referendum.

A) RIFORMA ELETTORALE E ISTITUZIONALE

LEGGE ELETTORALE CAMERA - Grazie agli accorgimenti adottati durante l'esame parlamentare (come già avvenne attraverso la legge "Mancino" per il referendum sul Senato tenutosi il 18 aprile) è possibile formulare con perfezione un quesito referendario per abrogare il 25 % di proporzionale con tutti i meccanismi barocchi annessi e connessi (scorporo, collegamenti con liste, contrassegni plurimi, eccetera). Il sistema diverrebbe uninominale ad un turno puro, puro. Per i collegi (il numero di 630 seggi è fissato dalla Costituzione) occorre considerare che è stata costituita una Commissione di natura non temporanea ma permanente. Essa ha per legge il compito di rivedere i collegi all'inizio di ogni legislatura, dopo ogni censimento e "ogni volta che ne avverta la necessità". Applicando l'articolo 37 della legge sul referendum, cioè ritardando l'entrata in vigore dell'effetto abrogativo di 60 o 120 giorni, la Commissione avrebbe tempo per rivedere i collegi portandoli da 475 a 630 (o 610 se passerà l'assurda legge

costituzionale per i 20 seggi nelle circoscrizione estere). Oppure, se verrà aperta la questione della riduzione del numero di parlamentari, si potrà cogliere l'occasione per ridurre il numero di deputati a 475.

Rimane solo un problema. La legge recentemente approvato ha modificato circa trenta articoli chiave del testo unico delle leggi per l'elezione della Camera. Circa altri quaranta articoli necessitano di modestissime correzioni lessicali (quasi sempre per introdurre le parole "collegi uninominali" accanto a "liste elettorali"). A questo fine è stata prevista una apposita delega al Governo. Stiamo lavorando per vararla in tempi rapidissimi, spero entro settembre-primi di ottobre. Altrimenti nel quesito referendario si dovranno tralasciare questi articoli, con qualche problemino.

LEGGE ELETTORALE SENATO - E' possibile ritagliare un quesito per ottenere anche in questo caso l'uninominale secco ad un turno, senza quota proporzionale. Non c'è il problemino visto sopra per la Camera.

LEGGE ELETTORALE COMUNI - E' possibile (con un ritaglio analogo a quello del precedente referendum sulla legge elettorale per i Consigli comunali) abrogare il sistema a due turni basato sulle coalizione di più liste e premio di maggioranza estendendo a tutti i comuni il sistema vigente sotto i 15 mila abitanti: cioè il sistema maggioritario ad un turno in cui la lista (al singolare) che ottiene la maggioranza relativa conquista i tre quarti dei seggi. Anche per l'elezione diretta del sindaco si passerebbe al sistema previsto per i comuni con meno di 15 abitanti in cui i candidati a sindaco capeggiano le rispettive liste. (Non ci sono gli inconvenienti del precedente referendum, cioè il panachage potendosi esprimere una sola preferenza).

ELEZIONE DIRETTA DEL CAPO DELL'ESECUTIVO.

Ovviamente non si può fare un referendum, ma una legge di iniziativa popolare su cui raccogliere possibilmente lo stesso numero di firme dei referendum. L'iniziativa è a mio avviso da promuovere non solo per l'importanza in sé della questione (essenziale per garantire la governabilità, l'unità nazionale e per superare l'assemblearismo e il consociativismo). C'è anche un'altra ragione di estrema attualità politica: il 7 agosto è entrata in vigore la legge costituzionale che dà i poteri alla Bicamerale, poteri in base ai quali la Commissione e i suoi papocchi rischiano di divenire inarrestabili. Alcuni giorni fa Nilde Iotti ha annunciato la ferma intenzione di voler procedere di gran carriera in modo che il referendum confermativo obbligatorio previsto alla fine del processo di revisione costituzionale si tenga insieme alle elezioni politiche.

Il contenuto della revisione costituzionale dovrebbe essere il seguente: 1) attribuzione di molte più funzioni e competenze alle regioni (corrispondenti al 70 % della spesa pubblica); 2) per la forma di governo: il Presidente del Consiglio/Primo Ministro verrebbe eletto dal Parlamento a maggioranza assoluta (in Germania alla terza votazione è richiesta la maggioranza relativa, la differenza è enorme); verrebbe introdotto il meccanismo della fiducia costruttiva e il Primo Ministro non potrebbe mettere la fiducia né su provvedimenti né su sé medesimo (come prevede l'articolo 68 della Costituzione tedesca), il Presidente della Repubblica non potrebbe più sciogliere le Camere. Avremmo cioè il sistema assembleare puro, con il Primo Ministro del tutto prigioniero del Parlamento (è il sistema della quarta repubblica francese). E' come se in questi 45 anni avesse fallito il sistema presidenziale e non il sistema assembleare-consociativo che abbiamo conosciuto !; 3) il tutto dovrebbe essere condito con la riduzione d

el numero di parlamentari per rendere popolare l'operazione.

Ad essa occorre evidentemente opporsi con la massima intransigenza contrapponendo una proposta alternativa e non lasciando a Segni il campo libero al riguardo.

C'è il problema di fondo della scelta tra l'elezione diretta del Primo Ministro e il sistema presidenziale vero e proprio. A favore del primo c'è la sua molto più concreta realizzabilità, a favore del secondo la chiarezza e la forza di un sistema nettamente alternativo. Non mi soffermo oltre in questa sede, ma occorre scegliere.

B) ORDINE GIUDIZIARIO

RESPONSABILITA' CIVILE DEI MAGISTRATI - Sono possibili due formulazioni alternative del quesito referendario. La prima è quella dell'abrogazione totale della legge. Il referendum produrrebbe l'identico effetto di quello dell'86-87. Occorrerebbe poi rifare una legge. La seconda ipotesi riguarda il ritaglio della legge vigente con un risultato che sembra molto interessante se non addirittura perfetto: anziché contro lo Stato (che può poi rivalersi sul magistrato), l'azione potrebbe essere promossa direttamente nei confronti del magistrato. Si potrebbe agire nei casi di dolo, colpa grave e denegata giustizia (niente colpa semplice ed equiparazione alla situazione dei pubblici funzionari). Potrebbero inoltre essere abrogate le limitazioni alla colpa grave che sono state introdotte con la casistica dell'articolo 2 (molti aspetti della vicenda Tortora non vi rientrano; da sottolineare che la legge esclude la casistica per la responsabilità disciplinare). Rimarrebbe il filtro dell'ammissibilità (la cui mancanza è p

er la Corte Costituzionale causa di incostituzionalità della legge, perché necessaria a salvaguardare la particolare funzione e l'indipendenza della magistratura). Il giudizio di ammissibilità non potrebbe però fondarsi sulla casistica limitativa della colpa grave. Si potrebbe eliminare anche la manifesta infondatezza lasciando che eventualmente sia la sentenza a dichiararla (condannando chi ha promosso l'azione per lite temeraria); bisogna però valutare la fondatezza della tesi secondo la quale con un'azione manifestamente infondata ci si può comunque sbarazzare del magistrato.

SISTEMA DI ELEZIONE DEL CSM - Non è purtroppo possibile trasformare con un referendum il sistema elettorale attuale (proporzionale con scrutinio di lista) in un sistema uninominale-maggioritario. Si può farlo ovviamente con una legge.

ORDINAMENTO GIUDIZIARIO - Bisogna studiare la possibilità di un referendum sui meccanismi di progressione automatica della carriera dei magistrati e sui relativi poteri del CSM. Altro tema da verificare è quello della separazione della carriera dei pubblici ministeri da quella dei giudici. Con proposte di legge ordinaria e costituzionale si possono evidentemente perseguire anche altri obiettivi.

C) INFORMAZIONE

CANONE RAI - La natura del canone è ormai quella di un'imposta legata al possesso del televisore. Sembra pertanto impossibile un referendum.

COMMISSIONE PARLAMENTARE DI VIGILANZA SULLA RAI - E' possibile abrogarla con un referendum (agendo sulla legge n. 103 del 1975 che l'ha istituita) per restituire ogni potere al Parlamento e per proporre altro eventuale organo di controllo. Ma non mi sembra che il referendum abbia gran forza.

PUBBLICITA' RAI E ASSETTO SISTEMA TELEVISIVO - Un'ipotesi da considerare riguarda l'eliminazione della pubblicità per la concessionaria del servizio pubblico, come la BBC (occorrono però due distinte richieste referendarie sulla legge n. 103 del '75 e sulla "Mammì", richieste che la Cassazione potrebbe però in seguito concentrare in un solo referendum). L'iniziativa referendaria andrebbe evidentemente accompagnata da una proposta di legge di iniziativa popolare per introdurre una nuova normativa antitrust nel settore privato. Occorrerebbe infatti limitare il numero di emittenti da parte dei privati e disciplinare la raccolta pubblicitaria (la mancanza di pubblicità da parte della Rai consentirebbe l'esistenza di più soggetti privati anche con una sola rete ciascuno). L'iniziativa è certamente di grande consistenza. Vanno valutate tutte le implicazioni che essa comporta.

ORDINE DEI GIORNALISTI - E' possibile un referendum abrogativo (lo si propose già nel 1974), ma non so proprio se è un tema da referendum.

STATALISMO/PUBBLICA AMMIN.ZIONE/DEBITO PUBBLICO/PARTITI/SINDACATI

Sotto queste voci possono rientrare una molteplicità di temi. La ricerca è certamente incompleta (anche per l'impossibilità nel mese di agosto di raccogliere alcuni possibili apporti).

ABOLIZIONE DEL VALORE LEGALE DEL TITOLO DI STUDIO - Nonostante i rischi che essa può comportare, varrebbe proprio la pena di riprendere questa antica battaglia liberale, soprattutto per quel che riguarda i titoli universitari.

Ci sono però grosse difficoltà a formulare un quesito referendario perchè bisognerebbe toccare tutte le varie leggi in cui sono previsti i concorsi pubblici e i relativi titoli di studio necessari per l'ammissione (tali leggi sono numerosissime oltre al testo unico sugli impiegati civili dello Stato che costituisce la normativa più corposa).

C'è però una norma del 1933 (l'art. 148 del Regio Decreto n. 1592 sull'istruzione superiore) la quale afferma che "Gli studi compiuti e gli esami superati presso Università o Istituti superiori hanno valore legale per ogni altra Università o Istituto". Abrogando questa norma si elimina l'equiparazione dei titoli di studi rilasciati dalle varie Università. Per l'accesso ai concorsi, le pubbliche amministrazioni continuerebbero a richiedere i titoli di studi universitari ma potrebbero poi stabilire un valore diverso a seconda dell'Università che li ha rilasciati. La questione potrebbe essere di grande interesse.

CONCORSI RISERVATI AGLI INTERNI NELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE - Potrebbe essere un consistente filo rosso da tirare per avviare una profonda riforma della pubblica amministrazione. Un referendum sembra però molto difficile (la questione necessita e merita un approfondimento) perchè la materia è dispersa in moltissime norme non solo di natura legislativa ma anche regolamentare e contrattuale. L'articolo 97 della Costituzione che prevede che "agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge", è stato aggirato prevedendo deroghe non solo per legge. E' pertanto difficile acchiappare una norma che abbia le caratteristiche della completezza (anche relativa). Ma, di più, si rischia di non mordere il problema perchè non è regolato solo con lo strumento con la legge.

TARIFFE AMMINISTRATE - Sono un'ostacolo al libero mercato. Il problema è da studiare e verificare.

COMITATI REGIONALI DI CONTROLLO (CORECO) - Sono gli organi di controllo regionali sugli atti degli enti locali. Quattro dei suoi cinque membri sono nominati dallo stesso consiglio regionale (controllori-controllati). Con un referendum è possibile far sì che non sia il consiglio regionale a sceglierli (per ragioni di formulazione tecnica del quesito, i membri verrebbero ridotti a tre di cui uno rimarrebbe nominato dal commissario di governo e due scelti dagli ordini professionali degli avvocati e dei commercialisti). Si potrebbe toccare (con un altro quesito) anche la Commissione di controllo sul'amministrazione regionale composta da sette membri di cui due scelti dallo stesso Consiglio regionale.

CONTROLLO PREVENTIVO DI LEGITTIMITA' SUI SINGOLI ATTI DA PARTE DELLA CORTE DEI CONTI - Sia Amato durante il suo governo sia ora Cassese stanno tentando di abolire questo inutile controllo (che la Corte dei Conti utilizza in termini di potere) per passare ad un controllo di tipo successivo sull'attività. Ma questa importante riforma incontra in Parlamento enormi ostacoli. Siamo infatti al quarto decreto legge non convertito.

FINANZIAMENTO PARTITI - Si può pensare ad una legge (d'iniziativa popolare o parlamentare) non per disciplinare la fornitura di servizi ai partiti (impostazione impraticabile salvo che per l'uso della tv) ma su punti seguenti. Per il finanziamento ai partiti prevedere unicamente la possibilità di detrazione dall'imponibile, entro un certo limite, dei contributi dei cittadini (solo ai partiti e non anche ad una infinità di associazioni, cosa che farebbe divenire incontrollabile il sistema). Quanto al problema della responsabilità per il finanziamento della politica, prevedere esattamente il contrario di quello che ha approvato la Commissione affari costituzionali del Senato (e che era anche contenuto nel famoso decreto del Governo) cioè la deresponsabilizzazione del partiti, dei loro leader e dei loro iscritti attraverso la creazione di fondazione che affidano tutto a fondazioni dirette da "tecnici". Al contrario va previsto che la responsabilità, anche giuridica, del finanziamento dei partiti sia imputata ai

responsabili politici al massimo livello.

PREPENSIONAMENTO/CASSA INTEGRAZIONE PER I DIPENDENTI PARTITI - Convertendo un recente decreto legge, il Parlamento ha inserito una disposizione (art. 9 quater) secondo cui i dipendenti dei partiti in servizio, licenziati o disoccupati a decorrere dal 18 aprile 1993, i quali possono far valere almeno 28 anni di anzianità contributiva (vera o falsa), hanno facoltà di chiedere la pensione di anzianità con una maggiorazione del periodo contributivo per la maturazione del requisito dei 35 anni. Ovviamente sarebbe tecnicamente possibile un referendum.

ISCRIZIONE ATTRAVERSO TRATTENUTA AUTOMATICA AI SINDACATI - I sindacati percepiscono le quote di iscrizioni associativa con trattenute automatiche (anche se formalmente volontarie) non solo sui salari (da parte dei datori di lavoro), ma anche sull'indennità di mobilità e sui trattamenti ordinari e straordinari di disoccupazione e di integrazione salariale (da parte dei datori di lavoro e dell'INPS). Forse anche sulle pensioni (non ho fatto a tempo a verificare).

Si tratta di specifiche norme di legge (statuto dei lavoratori e un altro paio). I contratti stabiliscono solo le modalità delle trattenute. Sarebbe possibile pertanto agire con referendum.

CASSA INTEGRAZIONE ORDINARIA E STRAORDINARIA - La questione è da approfondire. E' noto che la cassa integrazione è utilizzata al di fuori di quanto prevedono le leggi, sia per i tempi sia per l'inesistenza (o l'esistenza meramente cartacea) dei piani di ristrutturazione delle aziende che dovrebbero costituire una condizio sine qua non per la concessione della cassa integrazione stessa.

PREFETTI - Non credo sia possibile un referendum.

Verso il capitalismo democratico

L'iniziativa politica per la formazione di un capitalismo democratico nel nostro sistema politico - economico è in primo luogo diretta ad eliminare quegli ostacoli che oggi esistono al diffondersi di una vera partecipazione diffusa dei risparmiatori alle attività imprenditoriali e conseguentemente al rafforzamento dei poteri di conoscenza, controllo ed autotutela che agli stessi devono essere riconosciuti sulla gestione delle imprese, alle cui sorti gli stessi partecipano attraverso l'investimento dei propri risparmi.

Il sistema economico italiano appare, invece, caratterizzato da un elevatissimo tasso di familismo, che se da un lato ha consentito una notevole capacità di resistenza delle piccole imprese (anche attraverso diffuse pratiche elusive della legge, quando non direttamente illecite), dall'altro ha reso assai debole la struttura delle grandi imprese italiane troppo spesso governato da "politiche" estranee alla logica imprenditoriale. In tale contesto l'apporto del piccolo risparmio è stato troppo spesso ridotto a moduli meramente speculativi, in cui tra piccolo investitore e l'impresa si instaurava un sorta di "gioco del cerino", in cui naturalmente era il risparmiatore a rimetterci. Occorre invece riconoscere che la forza, la stabilità e la stessa "democraticità" di un sistema economico sono direttamente proporzionali al numero, alla forza ed al radicamento tra i piccoli risparmiatori del sistema delle grandi imprese; troppo a lungo la cultura economica della sinistra si è cullata nel mito del "piccolo è bello"

che dissimula una radicata cultura anticapitalistica.

La battaglia per il capitalismo democratico potrebbe articolarsi su alcune precise iniziative referendarie e di democrazia diretta.

Referendum sull'art. 2372 (Rappresentanza nell'assemblea), commi 1, 2, 3 e 5, del codice civile.

L'ipotesi di referendum abrogativo dei commi 1, 2, 3 e 5 dell'art 2372 del codice civile mira ad eliminare la disciplina restrittiva della rappresentanza dei soci nelle assemblee delle società per azioni. L'attuale disciplina restrittiva prevede i seguenti limiti:

- possibilità per l'atto costitutivo di escludere la rappresentanza dei soci in assemblea;

- procura per iscritto;

- procura limitata ad una singola assemblea (con effetto anche per le convocazioni successive);

- indicazione obbligatoria del rappresentante e dell'eventuale sostituto;

- rigorosi limiti quantitativi del numero di soci che ciascun procuratore può rappresentare (da dieci sino a duecento a seconda delle dimensioni della società).

Tale disciplina limitativa è stata introdotta dalla legge 7 giugno 1974, n. 216, art. 8, nell'ambito del più generale disegno di riforma della disciplina societaria, che ha previsto in tale contesto l'istituzione della CONSOB, l'introduzione delle azioni di risparmio.

La filosofia dell'intervento è quella della sostituzione del controllo interno esercitato dagli azionisti di minoranza, con un controllo esterno esercitato da un organo pubblico. Tale idea è in realtà sbagliata perché il controllo pubblico esterno, pur essenziale in un mercato complesso quale quello borsistico, si limita per forza di cose ad un controllo esterno di mera regolarità, mentre solo un intervento degli azionisti può garantire un controllo di merito sull'operato degli amministratori. La CONSOB, come dimostrano le recenti vicende Ferruzzi, arriva sempre a "cose fatte". Il suo intervento in tal senso non va inteso come sostitutivo del controllo interno degli azionisti, ma come aggiuntivo ed anzi in tal senso andrebbero rafforzati i suoi poteri e soprattutto la sua indipendenza (come dimostra ancora una volta il suo coinvolgimento nella vicenda Enimont).

La prospettiva del capitalismo democratico postula invece un rafforzamento del ruolo dei piccoli azionisti nel controllo sulla gestione delle imprese. Un ruolo che trova nella disciplina limitativa della rappresentanza in assemblea un ostacolo insormontabile. Tale norma infatti impedisce il diffondersi di quelle forme, che sono invece assai diffuse ad esempio nel contesto statunitense, di raccolta del consenso e del dissenso interno alle società attraverso procure diffuse e stabili. Solo tale pratica infatti costituisce motivazione sufficiente ad attivare i piccoli azionisti verso attività di controllo sull'operato degli amministratori. Tale possibilità costituirebbe inoltre un micidiale deterrente verso pratiche predatorie da parte degli amministratori.

La disciplina della rappresentanza costituisce inoltre un ostacolo altrettanto insormontabile alla diffusione nel nostro ordinamento delle public company, e quindi del fatto che le privatizzazioni annunciate configurino effettivamente la nascita di public company nel nostro sistema economico. La public company infatti si caratterizza non tanto per l'assenza di uno o più soci che controllano la maggioranza dei diritti di voto, ma per il fatto che nessun socio può comunque esercitare una qualunque forma di vero e proprio controllo indipendentemente dal possesso della maggioranza delle azioni. In tale prospettiva risulta essenziale la formazione di una piena dialettica preassembleare attraverso la raccolta delle procure da parte di procuratori che rispondano a requisiti di onestà e professionalità (un profilo critico in tal senso è quello della possibile incetta di procure da parte delle banche che in tal modo finirebbero per intervenire nella gestione delle imprese anche oltre i limiti di partecipazione al ca

pitale delle imprese già enormemente aumentati dal recente t.u. bancario).

Il sistema economico italiano invece appare caratterizzato non solo da un elevatissimo tasso, unico nel mondo capitalistico occidentale, di controllo familiare sulle grandi imprese (sintomatico è il fatto che al vertice della struttura societaria del maggiore gruppo industriale italiano - la FIAT - vi sia addirittura una società in accomandita per azioni, figura che in un certo senso rappresenta un retaggio di antichi modelli societari precapitalistici), ma anche dal fatto che i rari casi (ad esempio le Generali) di società di rilevanti dimensioni non controllate maggioritariamente da singole famiglie capitaliste, l'uso disinvolto degli accordi parasociali e la sostanziale emarginazione dei piccoli azionisti, garantita dalla disciplina limitativa della rappresentanza in assemblea, sono comunque sostanzialmente controllati dal salotto buono del capitalismo familiare italiano.

Il rischio e che le privatizzazioni invece che costituire un fattore di allargamento della base sociale del capitalismo italiano finiscano per essere assorbite nella logica del capitalismo familiare, semmai con la "complicità" del sistema bancario che grazie alle recenti aperture nei rapporti banca impresa potrà partecipare in misura rilevante al capitale delle imprese da privatizzare così come delle grandi imprese in crisi. In tal modo, considerata la natura pubblica della maggior parte delle grandi banche italiane, si porrebbero le basi per la definizione di un nuovo grande compromesso fra il sistema dei partiti (che controlla le banche) e quello delle imprese dopo che il primo compromesso è stato denudato e sconfitto dalla crisi della prima repubblica..

Altre iniziative

Sempre in materia societaria possono essere prospettate altre possibili iniziative che completerebbero un disegno organico di tutela dell'azionista di minoranza:

- nomina del collegio sindacale; attualmente la nomina è di competenza della maggioranza dell'assemblea che nomina anche il consiglio di amministrazione secondo criteri che garantiscano una presenza nello stesso anche per le minoranze. Tale rappresentanza è coessenziale alla funzione di controllo che dovrebbe svolgere il collegio sindacale;

- azione di responsabilità verso gli amministratori e i sindaci; attualmente l'azione può essere promossa dall'assemblea ordinaria e pertanto dalla maggioranza sociale di cui sono espressione il consiglio di amministrazione ed il collegio sindacale. Andrebbe estesa la titolarità dell'azione anche a minoranze qualificate di soci, ed il contenuto dell'azione anche ai risultati della gestione;

- informazione; andrebbero potenziati gli strumenti di informazione dei soci, prevedendo ad esempio la pubblicità dei progetti di bilancio dopo la certificazione operata dalle società di revisione in modo da rendere possibile l'analisi degli stessi da parte di analisti, esperti, giornalisti economici, prima dell'approvazione da parte dell'assemblea.

Per quanto concerne invece specificamente la politica delle privatizzazioni, che costituiscono un momento essenziale nella costruzione del capitalismo democratico, importante è soprattutto l'introduzione di procedure di vendita certe dirette al collocamento prioritario delle azioni presso il pubblico dei risparmiatori attraverso offerte pubbliche di vendita, accompagnate anche da forme di agevolazioni, con riconoscimento di una golden share (azione di diritto speciale) allo Stato per la tutela di determinati interessi pubblici (sul modello inglese). Attualmente la materia non è disciplinata se non da una delibera del C.I.P.E. che prevede alternativamente l'OPV, una sorta di licitazione privata e la trattativa privata. Il Governo ha assunto un iniziativa attraverso un ddl in materia, all'esame della VI Commissione permanente (A.C. n. 2140), che non fissa limiti vincolanti alla discrezionalità del Governo e sul quale si registrano forti dissensi.

 
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