SERGIO D'ELIA (della segreteria del Pr)SOMMARIO: Viene analizzata la sentenza (n. 349 del 4 agosto) della Corte Costituzionale in merito alla questione di legittimità costituzionale dell'art. 41 bis dell'ordinamento penitenziario. La sentenza - si sostiene - ha salvato il testo della Legge Martelli che ha introdotto l'articolo in questione, ma le sue motivazioni "demoliscono i provvedimenti con cui è stato in concreto applicato". Segue un'analisi dettagliata della sentenza e si denuncia che "la realtà dell'applicazione del 41bis è sicuramente più grave di quanto la Corte mostri di conoscere".
(IL MANIFESTO, 9 settembre 1993)
Quest'estate in carcere, c'erano mille, duemila detenuti senza problemi di posti letto, topi e suicidio: il regime di detenzione ha garantito loro ordine e sicurezza. Con un solo colloquio al mese attraverso il vetro antiproiettile e il citofono, due ore d'aria al giorno e nessuna socialità, senza viveri dall'esterno, neanche il fornello per fare un caffè, questi detenuti non hanno potuto far rumore, non si sono potuti lamentare e neanche suicidare. A Pianosa, l'Asinara e nelle decine di sezioni speciali dove vige l'art. 41 bis, asetticità da ospedali e silenzio da cimiteri.
Un giorno di agosto, la Corte Costituzionale ha esaminato la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 41bis dell'ordinamento penitenziario avanzata dal tribunale di sorveglianza di Ancona. I giornali hanno scritto che la Corte ha respinto i dubbi di costituzionalità del regime carcerario particolarmente restrittivo.
Ma le cose non stavano cosi.
La sentenza n.349 della Corte Costituzionale (Gazzetta Ufficiale, 4 agosto) salva il testo della legge Martelli che ha introdotto l'art. 41 bis (secondo comma), ma le motivazioni demoliscono i provvedimenti con cui è stato in concreto applicato. Alla luce della sentenza della Corte Costituzionale, quella che è passata sotto il nome »i mafiosi nelle isole fu un'operazione illegittima e la permanenza, oggi, in regime di art. 41 bis di tali detenuti è certamente illegale.
La Corte giustifica l'art. 41 bis per motivi di »ordine e di sicurezza interni al carcere, per la »presenza di soggetti così spiccatamente pericolosi da rendere indispensabile la possibilità di un regime differenziato nei loro confronti : la norma in questione, invece, fa, espresso riferimento a »motivi di ordine e sicurezza pubblica , peraltro prevede una richiesta di applicazione che può venire dal ministro dell'Interno. E rimangono, pesanti come macigni, i rilievi che la Corte muove all'Amministrazione.
»Una norma - conviene la Corte - certamente di non felice formulazione , che sembra riferire il regime restrittivo a tutte le regole di trattamento e agli istituti previsti dalI'ordinamento penitenziario, comprese le misure alternative alla detenzione, il lavoro esterno, i permessi premio e le licenze: »Ma una simile interpretazione va esclusa , avverte la Corte, »a parte la perplessita che può destare l'individuazione per titoli di reato dei destinatari finali dei provvedimenti, non coerente con il principio di individualizzazione della pena . Chi dia un'occhiata a questi provvedimenti scopre i termini dell'illegalità nell'applicazione dell'art. 41 bis. »I provvedimenti ministeriali devono comunque recare una puntuale motivazione per ciascuno dei detenuti cui sono rivolti : invece sono tutti uguali, nessuna motivazione ad personam .
»Non si possono disporre trattamenti contrari al senso di umanità , dice poi la Corte, e anche: »Il ministro non ha competenza in ordine alla sottoposizione a visto di controllo della corrispondenza : a detta dei magistrati di sorveglianza, invece, la posta è censurata »senza che sia previsto un intervento, neanche in via di ratifica, dell'autorità giudiziaria .
Ma la realtà dell'applicazione del 41 bis e sicuramente piu grave di quanto la Corte mostri di conoscere: nella sentenza si fa continuo riferimento all'»esecuzione della pena , e alle »finalità rieducative della pena termini che valgono per i detenuti condannati in via definitiva; non compare il termine »custodia cautelare , come se la Corte ignorasse che a Pianosa e all'Asinara sono decine gli indagati. Un detenuto siciliano, Giuseppe Piero Ocello, ha telefonato al Partito radicale: incensurato, arrestato un anno fa, si era fatto la custodia cautelare a Pianosa, da indagato, all'udienza per le indagini preliminari, è stato prosciolto.
Dalla sentenza della Corte Costituzionale viene una indicazione operativa per i detenuti vittime di questa emergenza: usare questa sentenza. I provvedimenti restrittivi - la Corte lo ha ribadito - possono essere impugnati tramite reclamo al magistrato o al Tribunale di Sorveglianza: potranno controllarli ed eventualmente farli revocare. Molti detenuti a Pianosa e all'Asinara non hanno potuto esercitare questo elementare diritto, spesso i loro reclami non sono stati inoltrati dal carcere oppure non ammessi da giudici.