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Piersanti Claudio - 26 ottobre 1993
Non è questione di civiltà
di Claudio Piersanti

SOMMARIO: Editoriale del secondo numero di "1994". "Forse noi abolizionisti dovremmo partire da una convinzione metodologica", e cioè non basarsi sulla "spocchia moralistica" di chi guarda gli altri, gli "incivili", dall'alto in basso. Noi dobbiamo solo indicare "una nuova linea di confine giuridico-sociale". Basti ricordare l'esempio della schiavitù: solo nel secolo scorso gli schiavi hanno cessato di essere "il motore dell'economia". Come ieri con la schiavitù, oggi "nella maggior parte del mondo la pena di morte è un dato di fatto". "L'elenco della barbarie è infinito: ma essa si riconosce tale soltanto quando qualcuno solleva il velo del dato di fatto".

(1994 - IL QUOTIDIANO RADICALE, 26 ottobre 1993)

Forse noi abolizionisti dovremmo partire da una convinzione metodologica: non si tratta di basare i nostri argomenti sulla spocchia moralista di chi guarda gli altri, gli incivili, dall'alto in basso. Da quale alto poi? Certo non da quello della storia. Perché nessun popolo può giudicarne un altro, nessuna religione può giudicarne un'altra. Noi, come singoli individui, indichiamo una nuova linea di confine giuridico-sociale, come in epoche lontane altri uomini ne hanno individuate altre che sfuggivano anche ai più sensibili.

Abbiamo l'esempio della schiavitù, con date e luoghi imbarazzanti: soltanto nel secolo scorso gli schiavi hanno cessato, forse solo parzialmente, di essere il motore dell'economia. Oggi, nessuno di noi frequenterebbe una casa dove si è serviti da schiavi. Anche il più indifferente, il più cinico, avvertirebbe uno stridore interiore simile a quello di chi assiste a un pasto cannibalico. Dice Gottfried Benn: "La società antica poggiava sulle ossa degli schiavi; le consumava, e al di sopra fioriva la città... Nessuno rifletteva su loro, Platone e Aristotele li vedono quali esseri che stanno in basso: il nudo dato di fatto." Ecco, quel che non si vede, quello che neppure le menti più profonde e geniali della storia dell'uomo riescono a isolare dal resto: il dato di fatto. Un tempo si credeva che mangiando le carni dell'avversario se ne assumevano anche le virtù; poi si è creduto che uccidendo chi ha ucciso il conto si potesse pareggiare... Nella maggior parte del mondo, la pena di morte è un dato di fatto.

La nostra sfida è scrivere, all'inizio del terzo millennio, la data di interdizione alla pena di morte: o meglio, il 2000 può essere la data in cui il consesso internazionale consideri un nuovo principio: l'uccisione di Stato non è più un risarcimento collettivo. A quel punto, gli uomini si saranno accorti che lo Stato non può uccidere, non può torturare, non può incarcerare chi ha opinioni diverse... L'elenco della barbarie è infinito: ma essa si riconosce tale soltanto quando qualcuno solleva il velo del dato di fatto.

 
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