di Rinaldo BoggianiIncaricato di Diritto Pubblico presso il Libero Istituto Universitario Carlo Cattaneo
SOMMARIO: Si discutono i concetti-base della problematica istituzionale che si riferisce alla "pluralità dei diritti individuali fondamentali" in quanto specificazione e mezzo "per la realizzazione della libertà dell'individuo"; questo è il vero "fine" che non bisogna mai dimenticare (almeno se si considera che la persona è un "assoluto"). Da questo punto di vista, diventa "assurdo" "affidare alla credibilità d'un sistema l'importanza della verità e gli interessi del genere umano". Devono, in quest'ottica, scomparire tutte le ideologie "organiche" del "bene comune" e devono invece sorgere istituzioni che servano a "tutelare, garantire nell'effettività della vita politica la libertà della persona". A questo deve tendere ogni "Costituzione", e a questo punta ogni vero sistema "liberale".
(1994 - IL QUOTIDIANO RADICALE, 5 novembre 1993)
L'uomo è nato libero, e ovunque è in catene". Così inizia J.J.Rousseau il "Contratto Sociale" (1776), manifesto dei rivoluzionari francesi . "Tutti gli esseri umani nascono liberi ed uguali in dignità e diritti". Questo il primo articolo della "Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo".
La pluralità di diritti individuali fondamentali è quindi una specificazione, mezzo per la realizzazione della libertà dell'individuo. Sembra si sia perso questo rapporto di "mezzo a fine" fra diritti inviolabili e libertà individuale, tanto che è usuale trovare testi di diritto pubblico che stabiliscono dapprima quali e quanti sono (la libertà personale, di coscienza, di manifestazione del pensiero, domicilio, riunione, ascociazione ed altri) e, successivamente, propongono una gerarchia che "riduce", in sostanza, ciò che per definizione non è riducibile: la libertà dell'individuo.
Se la persona è un "assoluto", se l'individuo è un valore in sé, allora non si può sezionare nella sua caratteristica essenziale: la libertà. E se "l'uomo ha in se stesso tutto ciò che gli appartiene" allora si capisce quanto è assurdo "affidare alla credibilità d'un sistema l'importanza della verità e gli interessi del genere umano" (Giuseppe Compagnoni, primo costituzionalista europeo).
Se è l'individuo il centro di un sistema e quindi il parametro di riferimento per valutare un'istituzione o un istituto, quel sistema, quella istituzione, quell'istituto hanno un senso se sono a misura d'individuo. Scompaiono così tutte le ideologie "organiche", totalizzanti, sempre imperniate su un sedicente "bene comune", "interesse generale" che è sempre "bene di pochi", "interesse meschino di una classe", non importa quale. E sorgono in modo naturale quelle costruzioni istituzionali che altro non servono che a tutelare, garantire nell'effettività della vita politica la libertà della persona.
Una persona la quale vuole garantita nel tempo la sua libertà: qualsiasi Costituzione che non realizzi questo non è una Costituzione. Se "Costituzione in politica non è quel certo e stabile modo, con cui un popolo esiste e si regge" (G. Compagnoni) allora il problema politico principale è bloccare le prerogative del potere legislativo, cioè dell'attuale maggioranza.
Che senso ha, in termini liberal-democratici, la legislazione speciale? Quale certezza del diritto si può avere se il legislativo può intervenire in ogni situazione che giudica "di emergenza"? Come qualificare un sistema in cui vige l'"onnipotenza del decreto"? Un sistema in cui la Corte costituzionale (ennesimo inutile centro di potere) avalla il processo penale inquisitorio, ammette - costretta dalla degenerazione dell'ordinamento - la scusabilità dell'ignoranza della legge? Che senso ha discutere di "garantismo sì, garantismo no", quando il garantismo non è che la conseguenza logico-istituzionale di un sistema liberale?
Le idee sono chiare. Realizzarle non sarà facile. Ma se guardiamo alle lotte del Partito radicale, una minoranza dapprima derisa, poi osteggiata, che sente e crede nel valore della tolleranza, allora una soluzione c'è: lavorare con chi guarda a un mondo migliore.