Per la libertà e il diritto nel mio Paese, l'Albania
SOMMARIO: Biografia di un intellettuale albanese, regista teatrale, dissidente critico verso la dittatura. Tutti gli intellettuali emarginati dal regime quasi automaticamente diventavano "dissidenti". Si ritrovavano facilmente, ma sapevano di essere spiati. Venuto in Italia, ha incontrato radio radicale e ha comincato a lavorarvi. I vecchi dissidenti ora si stanno integrando, anche se sono ciascuno alla ricerca di una propria piattaforma politica.
(1994 - IL QUOTIDIANO RADICALE, 25 novembre 1993)
"Mi sono laureato all'Accademia di Belle Arti di Tirana, in regia teatrale. In quel periodo in Albania vivevamo una sorta di Primavera di Praga. Mi nominarono drammaturgo presso il Teatro Nazionale di Tirana, dove ho lavorato per tre anni. Poi ho dovuto lasciare tutto perchè mi sono trovato in una posizione critica nei confronti della nomenklatura culturale e letteraria del regime. Ed allora ho deciso di emigrare". Arthur Zheij, giornalista, da circa 3 anni lavora a Radio Radicale.
Nel suo paese Arthur era un dissidente. Ma come viveva un intellettuale critico verso la dittatura? Come funzionavano i meccanismi di emarginazione del regime?
I dissidenti avevano atteggiamenti, comportamenti in comune.
Era la loro stessa esistenza, quasi anonima, a costringerli: gli intellettuali che non si esprimevano negli organi ufficiali, che non facevano carriera, che erano emarginati dalla nomenklatura, che non avevano lavori pubblicati, quasi automaticamente erano dissidenti.
Insomma gli intellettuali emarginati in qualche modo si ritrovavano...
Beh, sì. Ci riuniva l'emarginazione. Tirana, anzi l'intera Albania, è quasi un paesotto. Gli intellettuali quindi hanno pochi punti d'incontro, ma molto frequentati. Non era molto difficile conoscersi.
E la polizia segreta del regime?
Era sempre fra di noi. Si capiva subito chi svolgeva l'attività di informatore e così gli dicevamo "spia, come stai?", oppure "fa quello che vuoi, ma pensa anche per il tuo domani" o cose di questo genere. Funzionava, perchè, in realtà, un po' di paura l'avevano.
Quando sei arrivato in Italia, e perché ti sei iscritto al Partito radicale?
Sono arrivato in questo paese, mandato da alcuni miei amici che adesso sono diventati dirigenti politici in Albania, per sensibilizzare l'opinione pubblica italiana su quello che stava succedendo e che stava per succedere nel mio paese.
Sono arrivato senza alcun mezzo di sostentamento nel novembre del 1990, con un normale visto turistico. Ho contattato molte agenzie, ho rilasciato alcune interviste, e poi sono stato intervistato anche da Radio radicale. Questo è stato il mio contatto diretto con il mondo radicale. Ho trovato in Radio radicale e nel Partito radicale degli insospettati alleati per il mio popolo.
Avevamo bisogno di gente che gridasse allo scandalo per le violazioni del diritto. Non posso dimenticare le trasmissioni dirette che hanno caratterizzato Radio radicale quando è esplosa la vicenda dei boat-people albanesi.
Che cosa stanno facendo ora i tuoi vecchi amici della dissidenza?
Qualcuno continua a fare il dissidente ancora oggi. Qualcuno fa il ministro, qualcuno fa l'ambasciatore, uno il primo ministro.
Ci sono anche ora gli intellettuali emarginati...
Sì. Noi dissidenti eravamo anti-dittatoriali, anti-stalinisti. Il nuovo partito, Democratico, che è attualmente al potere in Albania, in realtà non ha una vera piattaforma politica. E' stato un fronte più che un partito, il fronte degli anti-comunisti.
Con la libertà di pensiero ognuno tende a trovare una propria piattaforma politica. Questo ha portato anche ad un processo di differenziazione fra gli ex-dissidenti; e qualcuno preferisce tuttora rimanere dissidente.