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Il quotidiano radicale, Allen Beverly - 25 novembre 1993
Storie del transpartito: Beverly Allen
Il transnazionale è conforme alle verità che ho cercato

SOMMARIO: Docente di letteratura italiana a Syracuse, traduttrice, il suo parlare italiano è in realtà un "confronto con l'identità culturale": famiglia di immigrati svedesi, spinta a integrarsi nella società americana, è venuta in Italia a studiare musica e vi è rimasta per avere un "contrappeso" all'"identità svedese". Il tema dell'identità ritorna sempre nella sua ricerca. Da qui il suo approccio con le vicende degli "stupri genocidiali" in Bosnia: con questo stupro si cerca di "distruggere una identità". La conoscenza con il Partito Radicale Transnazionale è stata fondamentale: avverte infatti che il tema "transnazionale" è poco teorizzato e poco politicizzato.

(1994 - IL QUOTIDIANO RADICALE, 25 novembre 1993)

Roma è sotto il primo nubifragio d'autunno che, come ogni anno, la sta mettendo in ginocchio. Beverly Allen arriva alla sede del Partito radicale per una breve visita: sarà invece "costretta" a rimanerci per tutto il pomeriggio. Il traffico è bloccato, i taxi sono spariti. Alta, bella, elegante, la professoressa Allen sfoggia un italiano perfetto, colto, quasi naturale. E' obbligatorio per lei, docente di letteratura italiana (ma non solo, anche di letteratura francese e comparata, e di studi femminili) all'università statunitense di Syracuse, traduttrice e studiosa dei nostri migliori poeti contemporanei: Pasolini, Zanzotto, la Spaziani. Eppure il suo parlare italiano nasconde qualcosa che va oltre la sua competenza professionale: è più un confronto con l'identità culturale.

E' questa passione per le identità che l'ha condotta, spontaneamente si direbbe, verso il Partito Radicale Transnazionale. Basta seguire i brevi cenni che lei stessa dà della sua biografia.

Provengo da una famiglia di immigrati svedesi. Sono stata la prima figlia a nascere negli Stati Uniti. I miei genitori avevano la fierezza tipica degli immigrati che volevano fare dei loro bambini degli americani: tanto che non volevano che io imparassi lo svedese. Dovevo parlare solo l'americano, anche se la mia educazione - al contrario - era quella di una famiglia svedese, tradizionale, che frequentava la chiesa evangelica. Il risultato è che, da bambina, non mi sentivo né svedese né tantomeno americana.

Poi sono andata a Berkeley a studiare musica, nel pieno del movimento studentesco americano. Sono diventata marxista, ho manifestato contro la politica americana nel Vietnam. In Italia sono arrivata - strano il destino - nel 1968. Ho cominciato a imparare l'italiano, mentre studiavo musica e suonavo il piano. L'esperienza in Italia, per me, faceva da contrappeso all'identità svedese: era la sensualità (anche estetica), il laicismo.

Il problema dell'identità quindi torna costantemente nella tua vita...

Sì. Vedi, la situazione soggettiva di essere e sentirsi straniera ti fa essere in una posizione piacevole: godi di un'enorme irresponsabilità, negativa da un lato, dall'altro estremamente positiva perché hai modo di essere più libera di indagare.

Così, tutto il mio lavoro mira non a trovare un'identità, ma a chiarire come funziona l'identità. Questa è stata la strada attraverso la quale mi sono avvicinata al femminismo, occupandomi dell'identità sessuale (eterosessuale, omosessuale) e dell'identità del genere sessuale (maschile, femminile). E lo stesso vale per le mie ricerche letterarie: la mia indagine e la mia critica si incentrano tutte sul problema dell'identificazione culturale.

Poi un giorno, hai cominciato a occuparti della guerra nella ex Jugoslavia. Dello stupro, in particolare...

E' stata una mia allieva croata a farmi conoscere ciò che di orribile stava succedendo prima in Croazia, poi in Bosnia Erzegovina. Due estati fa venne a trovarmi a casa, in California, con un mucchio di documentazione sugli stupri nella ex Jugoslavia. Ho letto le testimonianze, e mi sono subito resa conto che quello che stava succedendo nella ex Jugoslavia era ben diverso da quello che era successo nelle altre guerre. Il paradosso dello stupro genocidiale è che qualcuno sta usando la violenza sessuale per distruggere un'identità (non solo quella del genere sessuale, ma quella etnica) attraverso la procreazione di altri esseri umani: lo stupro, insomma, ha come fine la gravidanza, perché attraverso la nascita si annulla un'identità, in questo caso quella musulmana. Da allora in poi cerco di parlare dello stupro genocidiale dovunque io vada. Ho messo in contatto la mia allieva con i giornalisti, ho cominciato a scrivere io stessa per quotidiani e periodici.

E così hai conosciuto il Partito radicale.

Sì. Alessandra Filograno aveva letto un mio articolo sugli stupri pubblicato dal "Giorno". Mi ha rintracciato. Emma Bonino stava per andare negli Stati Uniti. L'ho incontrata a New York, e ho subito deciso di iscrivermi.

Del Partito radicale sapevo poco: lo conoscevo per Cicciolina, per il percorso di alcuni intellettuali e letterati italiani. Poi Emma mi ha parlato del progetto transnazionale: una politica che è molto conforme alle verità che ho rintracciato nella mia vita, non solo nella letteratura. Il transnazionale è stato troppo poco teorizzato, troppo poco politicizzato. Cosa che invece si dovrebbe fare, perché l'identità nazionale - ce ne accorgiamo ogni giorno - non funziona più tanto bene. Da un lato emergono identità multinazionali e transnazionali, dall'altra quelle locali ed etniche: due poli che stanno tentando di negoziare tra di loro.

 
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