di Mario Signorino
Presidente dell'Associazione Amici della Terra
Gli ambientalisti devono ormai abbandonare il vecchio localismo. E la Cee darsi una visione politica che superi i suoi stessi confini
SOMMARIO: "Dove è finita la questione ambientale?" Le risposte sono contrastanti. La Conferenza di Rio ha aperto una nuova fase, "che tende ad incardinare il tema ambientale nelle politiche degli Stati e degli Organismi internazionali". Il tema è anzi "un binomio: ambiente e sviluppo...sostenibile". Vi è un limite che grava sulle prospettive di sviluppo:"l'esportazione dei nostri modi di produrre e consumare nelle aree povere del pianeta potrebbe compromettere...il patrimonio ambientale": occorre uno sforzo di "innovazione ambientalista". Dunque, Rio non è stato un "fallimento", ma l'ONU non ha gli strumenti per attuare Rio. La CEE sembra, al paragone, una "isola" di progresso. Ma l'avanzato diritto ambientale comunitario è solo un "privilegio" di pochi paesi sviluppati. Subito fuori delle dogane CEE premono enormi problemi, che le sue istituzioni non si curano di affrontare.
(1994 - IL QUOTIDIANO RADICALE, 19 novembre 1993)
Dov'è finita la questione ambientale? Cos'è rimasto delle ambizioni dell'ambientalismo?
Visto dall'Italia il tema sembra declassato a un ruolo di secondo piano, tra i detriti della grande crisi politica. Fuori d'Italia, lo scenario dà risposte contrastanti. Con il lungo negoziato che ha portato alla Conferenza di Rio, l'ONU ha aperto una nuova fase che tende a incardinare il tema ambientale nelle politiche degli Stati e degli Organismi internazionali.
Il tema, anzi, è diventato un binomio: ambiente e sviluppo, vale a dire "sviluppo sostenibile". La miseria - dicono i documenti di Rio - genera disastri che fanno sembrare poca cosa i guasti ambientali prodotti dalla rivoluzione industriale in Occidente; ma evidenziano anche un limite che grava sulle prospettive di sviluppo: l'esportazione dei nostri modi di produrre e consumare nelle aree povere del pianeta potrebbe compromettere irreversibilmente il patrimonio ambientale. Occorre dunque uno sforzo di innovazione ambientalista, se si vuole rendere realistica una prospettiva, appunto, di "sviluppo sostenibile".
Chi dice che Rio è stata un fallimento fraintende. Rio è stato un inizio, ha avviato un processo, ha tracciato un sistema di obiettivi, lasciando alle diplomazie e agli Stati l'onere di definire tempi, risorse e strumenti. Qui, certo, grava l'ombra del fallimento possibile, quì l'"Agenda 21" (che guarda cioè al 21· secolo) rischia di ridursi a inutile elenco di desideri.
La comunità degli Stati non ha gli strumenti per attuare Rio. L'ONU non ne ha la forza: così come oggi è configurato, il diritto internazionale impedisce ogni progresso. Mancano norme cogenti verso gli Stati, sanzioni per le infrazioni, Nazioni Unite dotate della forza per garantirle, tribunali per giudicare i reati. Senza tutto questo, la comunità internazionale può solo assistere inerme alle violenze, alle crisi ambientali...
Ma forse neanche un tale rafforzamento del diritto internazionale basterebbe, se non fosse accompagnato dalla maturazione culturale, civile, e dunque politica. Prendiamo la Comunità europea.
La CEE rappresenta oggi, per le politiche ambientali, una "isola" di progresso. Mentre l'ONU è legata all'evanescente diplomazia dei trattati, la CEE costituisce un effettivo sistema sovranazionale di governo dell'ambiente. Ma, così forte e penetrante quale è, questo diritto comunitario non è - alla fin fine - che il privilegio di pochi paesi sviluppati.
Fuori dei confini dei Dodici non genera una politica o un ruolo internazionale della Comunità. Questa resta, al più, una grande Svizzera.
Alle sue dogane premono tutte le crisi - ambientali, civili, politiche - del vecchio continente: neanche per le trenta potenziali Chernobyl che possono esplodere all'Est riesce a muovere un dito. E nemmeno a Rio la CEE ha avuto un ruolo, restando sopravanzata dai singoli suoi Stati membri o ridotta ad elemento aggiuntivo, quasi fosse solo un 13· partner.
Cosa manca a questa CEE? Manca quello che può nascere solo dalla politica, una politica adeguata alla globalità dei problemi. Mancano capacità, forze e azioni politiche svincolate dal nazionalismo e che facciano vivere le Istituzioni e le norme sovranazionali come autonomi soggetti di iniziativa.
Con una ONU priva di strumenti giuridici e di forza, con una CEE giuridicamente forte ma priva di politica, il destino della questione ambientale resta precario: peggio, appare secondario. L'ambientalismo ne tragga le conseguenze: non esiste ecologia in un solo Paese, non basta più "agire localmente". L'urgenza di oggi è "agire globalmente", se si vuole davvero sfogliare l'Agenda del 21· secolo.