Radicali.it - sito ufficiale di Radicali Italiani
Notizie Radicali, il giornale telematico di Radicali Italiani
cerca [dal 1999]


i testi dal 1955 al 1998

  RSS
sab 27 apr. 2024
[ cerca in archivio ] ARCHIVIO STORICO RADICALE
Archivio Partito radicale
Casanova Antonio Glauco - 1 dicembre 1993
I "discorsi-fiume" al Parlamento italiano
di Antonio Glauco Casanova

SOMMARIO: Analisi storica del "diritto alla parola" (cioè dell'ostruzionismo) nel parlamento italiano. Divisa in due paragrafi, il primo dei quali prende in considerazione i precedenti storici e le forme in cui esso venne esercitato fino al 1970, mentre il secondo tratteggia l'evoluzione avutasi tra il 1976 e il 1981.

Dopo aver ricordato i precedenti illustri del Parlamento inglese nel XVIII, ecc., e le vicende dell'ostruzionismo posto in atto nel 1899 da radicali e socialisti "contro le leggi restrittive della libertà di stampa e di associazione", si passa al primo dopoguerra, quando l'ostruzionismo non venne più praticato; è nel periodo repubblicano che invece venne largamente applicato l'art. 39, coma VI, del regolamento, che prevedeva appunto le deroghe "ai consueti limiti di tempo". Si segnala l'episodio del 1949 (sull'adesione al Patto Atlantico) e gli exploits degli onn. Capalozza e Cerruti all'epoca della "Legge truffa", ma sopratutto si analizza l'uso fatto dell'ostruzionismo durante la VII e VIII legislatura . Nel periodo 1976/1981, il modello dell'ostruzionismo è il leader radicale Marco Pannella, con episodi del 1976 e del 1978 cui faranno seguito, nel 1980, i colleghi radicali coi loro interventi sulle norme eccezionali di sicurezza del governo Cossiga, quando in sedici parlarono per complessivamente 95 ore.

Un ulteriore momento in cui i radicali fecero uso dello strumento regolamentare si ebbe nel 1981. Poi questa prassi si esaurì.

(IL PARLAMENTO ITALIANO, Storia parlamentare e politica dell'Italia, 1861 - 1992 - Volume 23·, 1979 - 1983 - Nuova CEI Informatica, Milano - dicembre 1993)

La centralità tenuta nel periodo repubblicano dal Parlamento favorisce nella pratica il più ampio diritto alla parola nelle aule di Montecitorio e di Palazzo Madama, al di là delle stesse norme parlamentari o delle usanze osservate nell'Italia post-unitaria e prefascista.

L'ostruzionismo parlamentare "storico"

La dilatazione progressiva dei tempi concessi agli oratori, dal secondo dopoguerra in poi, fa sì che i discorsi lunghi o lunghissimi - i cosiddetti "discorsi-fiume" - non si registrino solamente nelle sedute preventivamente destinate da parte delle opposizioni all'ostruzionismo, ma anche in quelle che prevedevano dibattiti normali. Tanto nel periodo post-unitario o prefascista quanto nel periodo repubblicano, ovviamente sono sempre i settori delle opposizioni che ricorrono alla pratica ostruzionistica quando gli oppositori paventano limitazioni all'esercizio della libertà costituzionale o individuano in alcuni disegni di legge presentati dai governi un aperto contrasto con il grado di maturazione politica e civile raggiunto dalla società.

Questo metodo di lotta non appartiene certo unicamente alla storia del Parlamento italiano, perchè già era stato praticato nel secolo XVIII in Inghilterra (e poi lo ritroveremo in Austria al tempo dell'insorgere delle questioni di nazionalità e ancora in Inghilterra per l'opposizione dei deputati irlandesi ad una legge presentata da Galdstone). Nella vita politica italiana è restato a lungo il ricordo dell'ostruzionismo praticato nel giugno 1899 dagli oppositori radicali e socialisti contro le leggi restrittive della libertà di stampa e di associazione, preparate dal presidente del Consiglio generale Luigi Pelloux. Il protagonista di quella famosa battaglia parlamentare era stato il deputato socialista Enrico Ferri, che il 7 giugno 1899 parlò per una intera seduta, pronunciando così il primo "discorso-fiume" del nostro Parlamento. Da allora casi del genere non si ripeterono più, perchè la successiva età giolittiana fu caratterizzata da una pratica parlamentare rigidamente affidata a norme di comportamen

to mirate alla funzionalità della istituzione.

Nel primo dopoguerra l'accensione degli animi e la conseguente tensione politica aprirono alla lotta tra i partiti altri sbocchi fuori dalle aule parlamentari, per cui le opposizioni non sentirono il bisogno di ricorrere all'ostruzionismo nei dibattiti legislativi. "Discorsi-fiume" non ce ne furono, anche se un discorso di Filippo Turati - che nella storia fu tramandato con il titolo "Rifare l'Italia" - usato per la copertina dell'opuscolo che ne riprodusse il testo potrebbe rientrare in quel genere. Comunque, quello che il leader riformista pronunciò a titolo personale il 26 giugno del 1920 - e che durò quasi quattro ore - non fu un discorso di opposizione vera e propria, bensì l'illustrazione di un programma di ricostruzione democratica da proporre a governi illuminati e alle masse popolari e, come tale, sarà favorevolmente ricordato più volte dal leader del PCI, Palmiro Togliatti, nel secondo dopoguerra.

Ma è nel periodo repubblicano che si debbono registrare numerosi episodi ostruzionistici, perlopiù costituiti da maratone oratorie, che raggiungono dimensioni temporali tali da non temere confronti con quelle raggiunte in Parlamenti di altri Stati democratici. Il ricorso a lunghi discorsi è reso possibile per una applicazione frequente da parte dei presidenti delle due Camere della possibilità, concessa dall'art. 39, VI comma, del Regolamento, di derogare ai consueti limiti di tempo.

Non sempre però i discorsi più lunghi si trovano nei momenti in cui si pratica l'ostruzionismo. Per esempio, nel corso della terribile settimana (12-18 marzo 1949), in cui si discusse sulla adesione dell'Italia al Patto Atlantico, ci fu l'ostruzionismo delle sinistre praticato in vari modi e vennero programmati 170 discorsi di deputati comunisti e socialisti nella sola seduta-fiume durata dal pomeriggio di mercoledì 16 fino alla tarda sera di venerdì 18, dopo 51 ore filate, ma non ci fu nessun discorso che avesse superato i limiti normali, compreso quello molto ampio di Pietro Nenni.

La stagione più ricca di tali maratone è quella del periodo 1976-1981, che comprende la VII (1976-1979) e parte della VIII Legislatura (1979-1983). Ma prima di questo tempo non mancarono alcuni precedenti che, per la loro novità, stupirono l'opinione pubblica. Nella serie dei maratoneti della parola in Parlamento il primo posto, in ordine di tempo, tocca indubbiamente all'onorevole Enzo Capalozza, un avvocato di Fano dal passato antifascista, deputato comunista eletto nel collegio delle quattro province marchigiane nelle elezioni del 1948. Capalozza parlò nella seduta del 29 dicembre 1952 quale primo relatore di minoranza contro il disegno di legge presentato dal VII governo De Gasperi (DC-PRI) per istituire un premio di maggioranza al partito o al gruppo di partiti, preventivamente apparentatisi, che avessero conseguito la metà più uno del totale dei voti validi: in pratica 380 seggi contro i 209 che sarebbero toccati ai gruppi di opposizione.

Nonostante il disegno di legge non impedisse a nessun partito o gruppi di partiti di conquistare la maggioranza e rimettesse il verdetto definitivo alla volontà popolare (che infatti - come è noto - si pronuncerà in modo negativo non facendo raggiungere ai partiti maggioritari apparentati la soglia sufficiente per beneficiare del premio previsto), il dibattito nel Paese e nel Parlamento fu molto aspro e produsse lacerazioni tra i partiti, tanto che la legge tenne vive le polemiche anche a distanza di tanti anni da allora, per l'abile propaganda data dal PCI e dal PSI che la bollarono fin dall'inizio con il marchio di "legge truffa". Al deputato comunista Capalozza, che parlò per otto ore di seguito, spetta il vanto di aver dato un contributo notevole alla bocciatura popolare della legge e ciò non tanto per le argomentazioni sostenute e che ovviamente non furono soltanto giuridiche, quanto per i clamore suscitato dalla sua insolita impresa, che si estende per ben 48 pagine del testo delle "Discussioni de

lla Camera dei deputati". Con stile preciso e in forma sempre corretta e garbata Capalozza parlò molto dei precedenti storici e fece anche frequenti divagazioni letterarie. Tentò anche di guadagnare tempo chiedendo una breve sospensione della seduta, affinche egli potesse riordinare i suoi appunti, ma il presidente di turno, Giovanni Leone, dopo aver dato la parola a Pajetta, favorevole alla concessione della sospensiva e a Codacci Pisanelli, contrario, si oppose alla richiesta. L'inatteso e brillante exploit del deputato comunista mise in ombra il successivo discorso del leader missini Giorgio Almirante, che pur si impegnò per più di quattro ore. Provocò minor stupore - tre mesi dopo - il caso del senatore Carlo Cerruti, anche lui di parte comunista, che, nella successiva discussione al Senato, sempre su questa "legge truffa", superò il tempo raggiunto alla Camera da Capalozza, ricorrendo più di lui a divagazioni varie, ma specialmente di natura economia (prezzi, ristagno della produzione, questioni fiscali

, contratti agricoli, risparmio ecc.) grazie alla sua particolare competenza in materia, raggiungendo in tal modo le 9 ore. Ciò avvenne durante la seduta pomeridiana del 23 marzo 1953, con il solo beneficio di dieci minuti di sospensione concessi all'oratore.

Dopo queste imprese oratorie dei parlamentari comunisti nell'ultimo scorcio della I Legislatura repubblicana, si dovranno attendere più di tre lustri per registrare un altro "discorso-fiume", e questo, tra l'altro di notevole interesse per essere stato preventivamente preparato, pur se pronunciato a braccio. Si tratta del discorso, durato 9 ore, pronunciato il 27 agosto 1970 dal deputato, di recente uscito dal PSI e appartenente al gruppo del PSIUP, Lucio Libertini, contro il "decretone" finanziario presentato dal governo Colombo al fine di arrestare l'impennata inflazionistica e di correggere gli squilibri economici, seguiti all' "autunno caldo" sindacale dell'anno precedente, attraverso una serie di misure fiscali e creditizie.

Il deputato del PSIUP inaugurava con il suo intervento una manovra ostruzionistica tale da superare in efficacia quella parallela condotta dal PCI e da indurre alla fine il governo a correggere integralmente il "decretone" stemperandone il rigore. Il suo lungo discorso non ebbe molte divagazioni e fu ripartito e articolato per singoli capitoli, come un libro, e tutti i 14 capitoli vennero annunciati sin dall'inizio - quadro politico, questioni relative alla natura del provvedimento, esame analitico del decreto, componente internazionale della congiuntura economica italiana, controproposte ecc., soltanto per citarne alcuni - e puntualmente esposti fino alla conclusione riassunta nella proposta di un "nuovo modello di sviluppo", legato ad una "logica di utile collettivo".

Nell'opposizione dell'estrema destra il primato della lunghezza degli interventi spetta al leader del MSI Giorgio Almirante, solitamente prolisso - come si è visto - fin dal 1953 e come anche nel 1970 nel dibattito sulla legge di attuazione delle Regioni a statuto ordinario, ma mai come lo fu il 16 gennaio 1971, quando parlò per 9 ore contro il disegno di legge costituzionale per le "Modifiche a integrazione dello Statuto speciale per il Trentino Alto Adige", di cui fu uno dei quattro relatori di minoranza in contrapposizione con il relatore di maggioranza, il socialista Renato Ballardini. Tutto il discorso volle essere una diatriba serrata contro l'Austria quale ispiratrice del movimento rivendicazionistico della popolazione di lingua tedesca e contro il governo italiano, che con quella legge, a suo avviso, svuotava di poteri reali la funzione della Regione, mentre affidava moltissima materia della potestà legislativa primaria e secondaria alla provincia di Bolzano per favorire l'elemento tedesco e avv

antaggiare così la Volkspartei.

Particolarmente criticati furono gli articoli relativi ai libretti di lavoro, alla tutela del lavoro e alla assegnazione di posti e impieghi che veniva contemplata in misura coincidente con la proporzione etnica, e quindi a tutto vantaggio dei giovani di lingua tedesca.

Ma sono sempre le opposizione di sinistra le più disposte e preparate nel praticare l'ostruzionismo sia con discorsi molto estesi sia con la presentazione e illustrazione di emendamenti.

L'ostruzionismo negli anni 1976 - 1981

Chi fornisce il modello del tipo di ostruzionismo, che troviamo più di frequente nel periodo 1976 - 1981, è il fondatore e leader del Partito radicale, Marco Pannella. Nel 1976 è lui che parla più a lungo alla Camera su due argomenti scottanti arrivati in Aula l'uno dopo l'altro nello spazio di tre giorni. Il primo riguarda la revisione del Concordato del 1929 tra Stato e Chiesa, contenuta in una bozza fatta propria dal governo monocolore Andreotti (detto della "non sfiducia"), e respinta dall'oratore, che vi contrappone la tesi dell'abolizione del regime concordatario. Il secondo è il Trattato di Osimo tra Italia e Jugoslavia, la cui parte riguardante la zona industriale da creare nella zona del Carso è contestata per ragioni ecologiche e di equilibrio ambientale.

Nell'aprile del 1978 c'è ancora un lungo discorso di Marco Pannella contro la proposta di legge Balzamo sull'aborto, giudicata insufficiente a garantire alla donna il suo pieno diritto alla autodeterminazione e considerata niente più che un espediente per evitare il ricorso al referendum voluto dai radicali.

I "discorsi-fiume" veri e propri si hanno tra la fine di gennaio e i primi giorni di febbraio 1980 e vengono pronunciati non da Pannella, ma dai suoi compagni del Gruppo radicale, costituito di 18 deputati, che da soli assumono l'iniziativa di fare ostruzionismo al disegno di legge per la conversione in legge del decreto, già approvato dal Senato, concernente "misure urgenti per la tutela dell'ordine democratico e della sicurezza pubblica".

La materia del contendere riguarda le norme eccezionali escogitate dal governo Cossiga per condurre in modo più efficace la lotta contro il terrorismo organizzato. Soprattutto è messa in discussione la possibilità offerta agli ufficiali e agli agenti di Pubblica Sicurezza di ricorrere al fermo prolungato di polizia quando vi siano motivi o indizi per sospettare e dover verificare la sussistenza di atti, i quali possono essere rivolti a commettere reati terroristici, anche se non vi siano gli estremi del tentativo di delitto. I deputati radicali, i soli a contrastare con l'ostruzionismo queste norme, presentano ben 7500 emendamenti, quasi tutti formali, al disegno di legge e, per illustrarli, sedici di loro si sottopongono alla fatica di parlare complessivamente per 95 ore. Pannella parla per ultimo e si accontenta di pronunciare un discorso di 3 ore e 10 minuti, restando quasi in coda ad una classifica che vede Roberto Cicciomessere (già segretario nazionale del PR nel 1970 e 1971) battere tutti i suoi

compagni di gruppo con 11 ore e 35 minuti. Quando Cicciomessere fa il suo exploit, il giorno 9 febbraio, i suoi predecessori avevano già raggiunto misure di tempo eccezionali fino ad allora: Gianluigi Melega (un ex giornalista che fu anche direttore de "L'Europeo") aveva parlato il 29 gennaio per 8 ore e 45 minuti; Alessandro Tessari, un ex comunista passato di recente ai radicali, nella stessa giornata per 10 ore e 30 minuti; Marco Boato (uno dei fondatori di "Lotta Continua", aderente poi ai "Cristiani per il socialismo", fondatore dei "Verdi") il 30 gennaio per 9 ore; Massimo Teodori (cattedratico di storia con al suo attivo molti saggi storici e politologici per 10 ore e 10 minuti; Marcello Crivellini (docente al Politecnico di Milano) per 10 ore esatte. Questo faticoso impegno oratorio impressionò non poco l'opinione pubblica, anche se fu inifluente per l'esito finale della votazione, con cui il dibattito si concluse sabato 2 febbraio a chiusura della seduta del 23 gennaio rimasta ufficialmente fissata

a questa data.

Più che l'illustrazione dei 7500 emendamenti questo torneo oratorio fu tutta una filippica contro il governo e contro una classe politica giudicati incapaci di fronteggiare il terrorismo senza ricorrere - come disse Pannella - a "misure stupide" e "imbelli", quali il prolungamento da due a sei giorni del fermo di polizia e la riduzione di pena del terrorista che volesse collaborare con la giustizia ( i cosiddetti "pentiti"), mentre sarebbe bastato usare meglio le leggi esistenti. Il rimando al codice fascista Rocco fu frequente in tutti gli interventi e così pure fu ribadita l'avversione, per provata inefficacia, alle misure di polizia assunte dal ministro della Giustizia Reale al tempo del IV governo Moro.

L'anno successivo - il 1981 - discutendosi la conversione in legge del Decreto Legge 12 dicembre 1980 n. 851, che prorogava il fermo di polizia (di cui all'art. 6 della Legge 6 febbraio 180 n. 15, ossia quello più contrastato nella già ricordata seduta-fiume del 23 gennaio), i radicali confermarono la loro precipua vocazione a fare dell'ostruzionismo mediante "discorsi-fiume".

Massimo Teodori, Roberto Cicciomessere e Alessandro Tessari in questa seconda stagione si videro nettamente surclassati da Marco Boato, il quale pronunciò il più lungo discorso della storia del nostro Parlamento e presumibilmente di ogni altra libera assemblea legislativa di tutti i tempi: 18 ore e 5 minuti. Se poi si considera che questo suo discorso era seguito ad un altro suo intervento pronunciato appena cinque giorni prima, si ha la misura della eccezionale resistenza dell'oratore. Il discorso di Boato cominciò alle ore 20,10 di martedì 10 febbraio e terminò alle 14,15 di mercoledì 11.

Anche altri deputati radicali superarono se stessi in confronto alla stagione ostruzionistica dell'anno precedente. Teodori, per esempio, raggiunse le 16 ore e 15 minuti, parlando dalle 22,50 di domenica 8 febbraio alle 14,55 del lunedì 9. Soltanto Cicciomessere restò un po' al di sotto della sua prova precedente parlando per 10 ore e 35 minuti, dalle 15 di sabato 7 febbraio all'1,35 di domenica.

Tutto questo susseguirsi di discorsi, di giorno e di notte, dette luogo a tanti episodi, umoristici alcuni, ed altri invece, piuttosto gravi. I presidenti di turno intervennero frequentemente per vari motivi. Pertini, per esempio, il 26 agosto del 1970, accortosi che Lucio Libertini aveva impiegato un'ora per promuovere soltanto poche proposizioni, tolse la seduta rinviandola al giorno successivo e non mancò poi di interrompere polemicamente l'oratore. La presidente Leonilde Iotti dovette rimproverare a Massimo Teodori di fare riferimenti polemici a decreti discussi in passato alla Camera, ma mai diventati legge. Il vicepresidente Luigi Preti, trovandosi a presiedere l'Assemblea durante la notte del 10-11 febbraio 1981, occupata da Boato, ricorse al binocolo per verificare se l'oratore si servisse di appoggi o tentasse di sedersi, e gli negò più volte di sorseggiare un cappuccino, attenendosi strettamente al regolamento, che ammette soltanto l'uso di acqua zuccherata.

La cosa che tuttora sorprende è il fatto che sia nel 1980 sia nel 1981, gli oratori radicali - come già Libertini nel 1970 - non si allontanarono quasi mai dal tema centrale del dibattito, anche se fecero ampiamente ricorso a citazioni di brani, da libri, da giornali o da resoconti parlamentari di legislature passate.

Dopo la stagione ostruzionistica del febbraio 1981, "discorsi-fiume" non se ne ebbero più nè alla Camera nè al Senato.

 
Argomenti correlati:
ostruzionismo
almirante giorgio
cicciomessere roberto
regolamento
pci
terrorismo
fermo di polizia
stampa questo documento invia questa pagina per mail