di Filippo Ceccarelli(Per molti anni giornalista di "Panorama", lavora attualmente alla redazione romana de "La Stampa" come inviato e giornalista parlamentare)
SOMMARIO: Lunghissima, interessantissima ricostruzione storico-giornalistica - non priva di umorismo e ironia, ma anche di sensibilità e partecipazione - delle campagne radicali degli anni '60 in tema di libertà sessuale, dal divorzio alla pillola, ecc. Impossibile sintetizzare la narrazione, ricchissima di spunti biografici, di coloriti e vivaci bozzetti dei protagonisti (da Marco Pannella a Sergio De Marchi, da Enzo Sabàto, il direttore del settimanale pornografico-divorzista ABC, a Mauro Mellini e persino ad Aldo Braibanti, il filosofo omosessuale attorno al quale venne inscenato uno dei processi più incredibili degli anni '70). Accanto alle efficaci descrizioni degli ambienti radicali, dalla sede di Via XXIV Maggio alla stessa abitazione di Pannella, vengono registrati i giudizi dei protagonisti e dei giornalisti su di essi e rievocati episodi famosi, come l'esposizione dei cartelli inneggianti alla pillola durante la cerimonia pasquale in Piazza San Pietro, o le campagne contro la Sacra Rota e gli "annu
llamenti facili" condotta dallo stesso Mellini, ecc. In sostanza, una valida, colorita, simpatetica riesumazione di temi e soggetti del primo radicalismo, quello dei "diritti civili", accompagnata da un'ottima bibliografia, assai utile a consultare.
(Filippo Ceccarelli, IL LETTO E IL POTERE, ed. Longanesi e c., gennaio 1994)
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7. Pannella, la pillola, Braibanti e il divorzio. I demoni della liberazione sessuale
Marco Pannella, invece, se ne fregava. Dei ricatti, delle spiate, delle soffiate morbose ai giornali, e di tutto il resto. Se ne fregava così tanto, e così platealmente, da aver fatto togliere la serratura della porta di casa sua, "sua" oltretutto per modo di dire: il Pannella degli anni '60, ritornato dalla Francia, ospitava con allegra, curiosa naturalezza.
E quando ritornava a casa la sera, la notte, chissà a che ora, e con chi, non l'attendeva una mogliettina premurosa, né pantofole, né tv, né vivande da riscaldare nel forno. C'erano corpi, semmai, nel buio, corpi anche di sconosciuti e sconosciute, involtolati nei sacchi a pelo, sul pavimento, da mezza Europa.
Apparentemente non c'era nulla, in quella soffitta addormentata, che potesse minacciare l'ordine, o "i tenutari di quel casino", come già preferiva Pannella, "che chiamiamo l'Ordine". In realtà, quando la mattina si aprivano le finestre della sua casa dietro Fontana di Trevi, con un po' di poesia e di buon umore si sarebbe anche potuto pensare che la luce del sole, oltre che a svegliare ospiti, amici e amanti più o meno rintronati, e rintronate, era destinata a illuminare pure una simbolica oscurità, un'ombra nevrotica di paure, oppressioni e speculazioni.
Adesso "liberazione sessuale" suona un po' enfatico, fa sorridere, oppure immalinconisce per l'infuocata ingenuità del proposito. Eppure, se qualche passo avanti s'è fatto, se il costume civile di questo Paese è riuscito a ridurre il peso di qualche infelicità, è giusto ritornare a Pannella. O meglio: al Pannella di quegli anni di passaggio, anche per l'Italia, tra l'avvio del centrosinistra (1963) e la "vampata di socialità convulsa, caotica e informale" che, secondo Ernesto Galli della Loggia, segna l'inizio della contestazione, il fatidico Sessantotto (e dintorni). (1)
Ecco, un Pannella che fisicamente assomiglia ancora al ricordo quasi di Arrigo Benedetti: "Alto, tutto spalle, esile, gli occhi vellutati, la voce calda, i capelli lisci e lunghi ricadenti sulla fronte...". (2) Ancora in giacca e cravatta, eterno goliardo fuoricorso (in realtà s'è laureato, voto 66, il minimo, ha già fatto il giornalista a Parigi...), povero in canna, mezzo italiano e mezzo francese. Ma di lì a poco non si vestirà più in quel modo, è quasi pronto il maglione dolcevita nero destinato a celebrare tanti pallori e poi a essere addirittura venduto all'asta per una raccolta fondi del Partito radicalel (3). Al collo, sul nero della nuova uniforme penzolerà a lungo l'orrido, indimenticabile medaglione pacifista: "Fate l'amore, non la guerra".
L'amore, appunto. La scoperta - semplice, quindi rivoluzionaria - è che c'è modo di farlo senza vergognarsi, senza temere, senza sacramentarlo, l'amore, senza dedicarlo necessariamente a Dio, alla Patria, alla Rivoluzione, alla Famiglia.
E se Pannella se ne frega, con tanto di porte e finestre spalancate - "Io non ho mai tenuto segreto nulla, vivere alla luce del sole è il sistema migliore per non essere visto" (4) - questa sua spensieratezza è una ribellione molto più efficace e dirompente di quanto si possa immaginare. E' come uscire dalla clandestinità, colmare un vuoto ansioso, annullare un abisso di lontananza, mettendo le basi per quell'altra formula - "Il personale è politico" - che oggi appare anch'essa vaniloquente, e tuttavia nel Paese del SIFAR e dei ricatti, che riusciva a stracciarsi le vesti da La Zanzara del liceo Parini, beh, doveva suonare come una benedizione laica. Un barlume di libertà.
Come ci arriva, Pannella, a questa speranza per lui e per tanti, dopo quali scoperte, dubbi, esperienze, emozioni e travagli esistenziali, è questione troppo complicata. E poi oggi non è nemmeno più tanto vero che il "personale" debba essere necessariamente pubblico. Quel che importa, semmai, è il ruolo che Marco Pannella gioca in questo frangente e che lo porta a essere tra i primi, in Italia, a sfasciare il giocattoletto ipocrita, e di potere, del "si fa ma non si dice".
Forse perché nel suo caso l'uomo coincide davvero con il politico. Più o meno disordinato, incasinato, felice o infelice come tutti, certo difficile da comprimere dentro schemi di normalità benpensante - ma non solo per quel che riguarda le inclinazioni sessuali - alla metà degli anni '60 Marco Pannella vive (e teorizza) ciò di cui lascia testimonianza scritta solo qualche tempo dopo, quando ormai viaggia su e giù per l'Italia vestito come Amleto: "...E raccontavo quel che per altri dovrebbe necessariamente arrestarsi alla soglia della politica per nutrire invece il tempo dei dialoghi 'privati' di amicizia e di amore".(5) Oltre la soglia: là dove s'incontrano "i problemi essenziali della vita e della felicità della persona". (6) Di nuovo l'amore, i sentimenti, il letto, le corna, moltitudini di cornuti che fra poco riscatteranno quella loro umiliante condizione diventando divorzisti.
La ricerca di questa "verità più scarna, più essenziale, più privata" ricorre in un'ideale summa pannelliana per tutti gli anni '70: "Non ci può essere distanza tra vita pubblica e privata...i fatti della vita privata diventano occasione per fare politica. E' sempre l'esperienza personale che ti dà la forza per combattere le battaglie". (7)
In un congresso di partito, a Napoli, Pannella, questo scapolo che digiuna per il divorzio, incanta e coinvolge la platea in un'autocoscienza prima del tempo: "Io, alle tre di notte, esco per la città perché ho voglia di piangere e di amare..."(8) Oppure disconosce lo stesso concetto di privacy: "Che vuol dire? Non vedo dove essa cominci e dove finisca".(9) Così come "l'eterna polemica tra amore e amicizia: che grosso equivoco!" Qui - è un'intervista su Playboy - Pannella si fa seminatore di scandali anche dal punto di vista del linguaggio: "Dire che con la ragazza puoi chiavare e con l'amico devi parlare, vuol dire dividere in due la propria vita. Un'assurdità".(10)
"Credo", scrive (più controllato) nell'introduzione al libro di Andrea Valcarenghi Underground a pugno chiuso, "credo sopra ogni cosa al dialogo e non solo a quello 'spirituale': alle carezze, agli amplessi, alla conoscenza come a fatti non necessariamente d'evasione o individualistici: e tanto più 'privati' mi appaiono, tanto più pubblici e politici, quali sono, m'ingegno che siano riconosciuti..."(11) Al di là degli incisi, tipici della prosa di Pannella, e della disseminazione di virgolette, pure queste si direbbero mirate a suscitare moti di complicità; che nel repertorio di un uomo politico entrassero vagheggiamenti notturni, carezze e amplessi è una novità che spiazza un po' tutti, un'altra sfida all'ambiguità della politica.
Inarrestabile nella sua trasgressione solare, alla metà degli anni '60, il leader radicale anticipa e si prepara a intercettare quell'afflato libertario (sociologicamente benestante e giovanile) che l'autoritarismo e l'ipocrisia sessuofobica non riusciranno più a soffocare. Di suo, in una cultura politica che si nutre quasi esclusivamente di encicliche, marxismo e testi crociani, il Pannella di quelle prime lotte per i diritti civili porta la rivoluzione freudiana e le analisi di Reich. Ma non sarà mai un teorico, Pannella, anzi non lascia nessun scritto organico o sistematico, neppure alla lontana, e quel che rimane sulle pagine di qualche libro lo si deve a un'editoria pirata che arraffa articoli qui e là, rimedia qualche foto e pubblica il tutto secondo criteri assai discutibili.
Vero è anche, però, che il carattere, il fiuto, la vitalità e perfino una certa carica seduttiva fanno di Pannella, più di chiunque altro, un politico d'azione (lui preferisce "da marciapiede"), d'istinto, da "giorno per giorno". Un politico comprensibile a partire dai risultati, più che da compiute elaborazioni teoriche. (12)
Nessuno più di lui scaglia la politica in una dimensione fisica, addirittura sensuale: "Le raisonnable dérèglement de tous les sens", il ragionevole sregolamento dei sensi. E si trova spesso questo verso di Rimbaud nelle interviste di quegli anni. (13) Giacché "le leggi non devono affondare solo nei giorni, ma anche nelle notti".(14) E "non esistono dei 'perversi'" - ancora le virgolette - "ma dei 'diversi'".(15) In nome di questa diversità Pannella sceglie di difendere le speranze dei più deboli, dei più poveri, dal momento che "le Istituzioni producono, in serie industriale, a centinaia di migliaia, 'puttane' non di lusso; 'omosessuali' non presidenti del Consiglio, costretti a subire la violenza della prostituzione contro se stessi; 'travestiti' che non possono offrirsi il lusso di acquistare un po' di ragazzi fuggiti per una notte dal carcere..."(16)
Ardente e lirico provocatore, a tratti schiavo del proprio fascino e comunque oggetto di desideri plurimi, scheletrico per i digiuni - ancora il corpo: offre di farsi fotografare nudo - o massiccio com'è quando non fa lo sciopero della fame, dopo aver vinto la campagna del divorzio e prima di essere rincorso da fotografi e giornalisti di Novella 2000, che gli attribuiscono flirt di tutti i tipi, sembra caricarsi sulle spalle un esercito di reietti e pare quasi che ce la faccia a traghettarli verso un'indistinta liberazione: "Dobbiamo prepararci, banda di avanzi di galera, di drogati, di facitori di angeli, di omosessuali, di giudei di ogni tipo, di mezzi fascisti, di ex pazzi, di marciatori e di digiunatori, di piccoli borghesi esasperati e avventuristi, esibizionisti come me..."(17)
Come lui, che tocca corde delicatissime nella psicologia collettiva. E c'è chi perde la testa e farebbe tutto, per Pannella, e chi molto semplicemente lo scambia per il diavolo.
Don Francesco Fuschini, per esempio, un parroco romagnolo, collaboratore dell'Osservatore romano, consegna alle stampe un pregevole saggetto che si intitola, appunto, Pannella, il diavolo e comincia così: "La struttura su cui si è fabbricato è di derivazione cristiana, cattolica e vetero-testamentaria. Il Pannella è un cattolico all'opposizione in vitam aeternam amen. Come Lucifero non riuscirà mai a slacciarsi le ali di angelo bruciato..."
Naturalmente, l'assunto di base, che don Fuschini articola anche con ironica levitas, ha parecchio a che fare con il sesto e nono comandamento, con quell'altra questione degli omosessuali che, nella Genesi, "sono sepolti dentro la fornace del fuoco e dello zolfo perché il loro peccato 'grida contro Dio'". Pannella - è la conclusione - "fa da etichetta a una stagione balorda e forsennata. In principio c'era Dio, Pannella è venuto dopo. E chi l'ha mandato è stato il diavolo".(18) Il che, con tutto il rispetto per il sacerdote-libellista, e anche per Pannella, pare davvero un po' eccessivo.
Sulla stagione "balorda e forsennata" dei radicali, e ancora di più sugli eventi e sui personaggi che l'hanno ora sommessamente, ora rumorosamente preannunciata, vale piuttosto la pena di gettare un occhio.
Nel silenzio di una domenica mattina, il sole filtra dalle finestre e solleva un leggero pulviscolo: chiunque voglia farsi un'idea di come il sesso, sotto forma di pillola, divorzio, aborto, movimento di liberazione della donna e diritti delle minoranze, si sia rovesciato nella vita pubblica cambiandone i connotati deve per forza venire in cima a questo antico palazzo. Passare qualche ora nello studio-archivio di uno dei pochissimi radicali conservazionisti, perdersi tra i ciclostilati ingialliti, le rilegature irregolari - Notizie radicali cambiava formato ogni due-tre numeri - le raccolte di carte introvabili e i cimeli di Massimo Teodori. Collezionista febbrile e benemerito, storico della nuova sinistra europea e americana oltre che del nuovo radicalismo italiano.
Quello vecchio e un po' aristocratico degli anni '50, di liberazione sessuale se ne occupa quasi per nulla. E comunque sarebbe stato un azzardo anche solo aspettarselo, o peggio pretenderlo da quei radicali ai quali nel 1958 Pier Paolo Pasolini aveva dedicato questa sua acida, ma davvero vivida rappresentazione:
Lo spirito, da dignità mondana,
l'intelligente arrivismo, l'eleganza,
l'abito inglese e la battuta francese,
il giudizio tanto più duro quanto più liberale,
la sostituzione della ragione alla pietà,
la vita come scommessa da perdere da signori,
vi hanno impedito di sapere chi siete:
coscienze serve della norma e del capitale. (19)
Nel 1975, diciassette anni dopo l'epigramma "Ad alcuni radicali" e a pochi giorni dalla sua morte, è ancora Paolini a riconoscere, stavolta con una generosità e un'enfasi perfino evangelica, l'avvenuta mutazione politica e antropologica del radicalismo: "Siete riusciti a trovare forme alterne e subalterne di cultura dappertutto: al centro delle città e negli angoli più lontani, più morti, più infrequentabili: non avete avuto alcun rispetto umano, nessuna falsa dignità, e non siete soggiaciuti ad alcun ricatto. Non avete avuto paura né di meretrici né di pubblicani e neanche - ed è tutto dire - di fascisti..." (20)
Dice in sostanza Pasolini: non avete avuto paura dello scandalo. Ciò che il potere utilizza come arma, il nuovo radicalismo lo assume su di sé e lo annulla in nome della libertà. In altre parole rovescia lo strumento della vergogna, ritorce la contraddizione sugli avversari, e per farlo accetta anche di insudiciarsi. Rinasce perciò sporcandosi, il Partito radicale, ormai in mano a questi giovani progressisti che le foto d'epoca mostrano vestiti con decoro borghese dietro palchi sovrastati da un anacronistico capoccione con il berretto frigio.
Marco Pannella, Mauro Mellini, Silvio Pergameno, Massimo Teodori, Angiolo Bandinelli, Alma Sabatini, Gianfranco Spadaccia, Franco Roccella, Peppino Loteta, Adele Faccio, Mario Signorino, Sergino Stanzani, i fratelli Strik Lievers, Roberto Cicciomessere, poco più che adolescente: quasi tutti reduci della politica universitaria, alcuni ancora un po' legati ai moduli della normalità: fidanzati, ammogliati, impiegati. Altri che invece, come stile di vita, pencolano verso l'esistenzialismo: convivenze, rapporti liberi, lavori precari. Ebbene, già impegnati nella campagna divorzista, ma un paio di anni prima che cominci a soffiare il vento della contestazione, scelgono di farsi contaminare da quanto di più strano e colorato va già smuovendosi nel mondo giovanile: anarchici, beatnik, hippy, provos, ribelli e mattacchioni vari sparsi per l'Italia, quasi tutti con foglio di via in dotazione.
I radicali si mischiano con i capelloni. Quelli dei primi giornali come Mondo Beat, diretto da quel Melchiorre Gerbino (quello stesso che adesso compare, pelatissimo, come ospite-animatore al Maurizio Costanzo Show): "Non ci vanno le autorità, la famiglia, la repressione sessuale, l'economia dei consumi, la guerra e gli eserciti, i preti, i poliziotti, i culturali, i pedagoghi e demagoghi".(21)
Così, il filone laico-positivista, europeo, ottocentesco dei diritti civili, quello di cui i radicali si sentono figli più o meno legittimi, entra in contatto con la rivolta spontanea e generazionale che proprio sul sesso, anzi sull'"amore libero", comincia a produrre slogan provocatori: "Conosci te sesso", "L'amore everte, l'astinenza perverte".
S'incontrano, questi trentenni venuti su alla scuola dell'UGI, con i gruppetti di Onda verde, gli abitanti della tendopoli milanese di via Ripamonti, quelli di Urlo Beat, Aligi Taschera, Carlo Silvestro, e sempre a Milano Andrea Valcarenghi, ieri ispiratore di Re Nudo, oggi arancione con il nome di Majid. Poi anche con la galassia situazionista che vive di fantasia e anche di trovate bislacche e che, nel quadro della sopravvivenza metropolitana, quale metodo anticoncezionale arriva a consigliare - con bislacche e complicatissime manipolazioni - "le comuni bibite gassate, come la Coca-Cola".(22)
Ed è ancora un fatto di ospitalit, di porte senza lucchetti: la fusione fra questi due mondi è completa dopo che i nuovi radicali avranno lasciato aperte le loro sedi. "Le rare sedi del prestigioso partito dei Pannunzio e dei Carandini, dei Benedetti e dei Piccardi", così Pannella qualche anno dopo, "divengono il ritrovo di bande sottoproletarie e capellute." (23) E a partire dal 1970 anche delle femministe del MLD e nel 1972 dei primi omosessuali organizzati nel FUORI.
A Roma, prima di approdare a via di Torre Argentina, l'osmosi ha luogo nello storico appartamento di via XXIV Maggio. E qui, proprio quando sta per nascere la LID, Lega italiana per il divorzio, accade che le pulsioni libertarie vadano a sfogarsi in una stanza da bagno ormai trasfiguratasi nella leggenda. Qui, poco romanticamente con i criteri di oggi, si pratica l'amore libero, a porte chiuse, anche se non manca chi ricorda meno discreti accoppiamenti pure in un non meglio identificato "camerone". Ma tant'è.
Nell'autunno del 1967, in vista del congresso di Firenze, per la prima volta, pur senza uscire dal bagno di via XXIV Maggio, il sesso entra ufficialmente in un documento di partito. E' una relazione cicl. in prop. sui diritti civili a cura dei milanesi Luca Boneschi e Carlo Oliva. Vi si legge che "la società spinge il suo autoritarismo fino a sindacare sul diritto dell'individuo a disporre liberamente del proprio corpo, a godere del piacere dei sensi...Una politica che non si ripromettesse di spazzar via questi odiosi soprusi sarebbe veramente qualcosa di assurdo, di monco, di contraddittorio".(24)
Al congresso vero e proprio, 3-5 novembre, con tre voti contrari e tre astensioni è approvata una mozione che, oltre a proclamare la libertà sessuale "strumento non esclusivo ma certamente indispensabile per il perseguimento della felicità dell'individuo", riconosce l'esistenza di "una correlazione evidente fra tutte le forme di oppressione sociale e repressione sessuale". Di qui la necessità di individuare e combattere "i centri di repressione sessuale". Di qui la necessità di individuare e combattere "i centri di repressione sessuale, quali ad esempio le grandi organizzazioni di massa cattoliche, in particolare quelle giovanili..." (25)
Sempre in quello stesso 1967, dichiarato "anno anticlericale", i radicali tengono un convegno su "Sessuofobia e clericalismo". Nel gennaio dell'anno seguente ne organizzano un altro, al teatro Parioli di Roma, su "Repressione sessuale e oppressione sociale". Questo secondo appuntamento è preannunciato da un'iniziativa di Luca Bracci e Marcello Baraghini (il futuro editore dei libri a mille lire) che vanno a spasso per la città con un cartellone sandwich su cui hanno incollato foto di guerra, di torture, di stragi e nudi femminili ritagliati da riviste "per soli uomini" sequestrate nei giorni precedenti dalla Polizia. Sotto le immagini è scritto: "Dov'è l'osceno?" Baraghini e Bracci sono fermati e denunciati. (26)
E' anche questa dei "giornaletti", allora, una battaglia di libertà. Mauro Mellini difende il direttore di King, che è stato arrestato: "Non cadremo nell'errore di lasciare, per ragioni di "gusto", per perbenismo borghese o per falso moralismo, la strada libera ai clericali". (27)
Fuori delle sedi radicali la soglia del pudore è ancora piuttosto alta, la tolleranza minima. Anche se oggi risultano un po' buffi, con frasi fatte che sembrano prese da una commedia all'italiana, i censori interpretano la mentalità della grande maggioranza della popolazione. Davvero pochissimi, allora, sorridono di fronte all'intemerata antiporno del Pubblico Ministero Pedote: "Siamo un popolo di lavoratori e non vogliamo essere infastiditi da donnine e champagne!" (28)
Sulle questioni del buon costume si costruisce una certa fama sopratutto l'onorevole dc Agostino Greggi che contro i primi nudi si tira appresso ben 186 deputati del suo partito. Abc, giornale nemico, gli attribuisce parole e concetti così stentorei da sembrar finti: "Lo sappiamo! L'Italia ha una quantità di problemi da risolvere, sul piano economico e sociale, problemi gravi e urgenti. Ma nessuno, in questo momento, è più grave e urgente di quello morale! Bisogna moralizzare gli italiani! Bisogna riportarli ai loro sani principi!" (29)
Un concitato parlottio di monsignori, alle spalle del Papa.
Paolo VI ha appena annunciato la prossima enciclica Populorum progressio e sta per dare la benedizione pasquale "Urbi et orbi". Improvvisamente, le telecamere delle TV straniere ruotano di novanta gradi e puntano in mezzo alla folla, oltre alle transenne e agli elmetti.
Sui giornali del "Fondo Teodori", le fotografie di quella Pasqua radicale in piazza San Pietro si fermano agli istanti in cui culmina la clamorosa, simbolica "azione diretta" a favore della contraccezione. Confusi nella folla si vedono giganteschi striscioni e cartelloni con su scritto "Birth control", "Più figli, più fame", "Sì alla pillola". Vessilli fino a qualche attimo prima mascherati, impacchettati con scritte inneggianti al Santo Padre. Poi, a un dato segnale, scartati velocemente e messi in mostra. (30)
Non danno conto, quelle foto, né dei laboriosi preparativi - sensibilizzazione preventiva di giornalisti stranieri, sacrificio (la PS sospetta qualcosa) di tre provos-civetta spediti a manifestare sempre a favore della pillola a via Veneto - né della fuga precipitosa, dopo neanche due minuti di esibizione, in mezzo alla calca, con un militante, la Marcellotta, "scoperta da un gruppo di suore che la volevano cristianamente linciare, e che", nella ricostruzione un po' epica e un po' comica di uno dei raiders, Carlo Silvestrini, "fu salvata con decisione da Pannellik" (sono i tempi di Dorellik, e anche i più gagliardi libertari si lasciano influenzare dalla TV). (31)
Azione diretta e certo provocatoria. Anche se, per la verità, nel marzo 1967 sulla pillola la Chiesa non ha ancora una posizione di condanna, anzi. Così, in quella domenica c'è chi può scambiare tranquillamente i radicali per "gruppi cattolici".(32)
Con grave scorno, si può immaginare, di uno degli ispiratori del commando pasqualino: il professor Luigi De Marchi, psicologo, saggista e divulgatore, fondatore della Scuola reichiana in Italia e dell'AIED, Associazione italiana per l'educazione demografica.
A manifestare a piazza San Pietro, più tardi De Marchi ci torna addirittura da solo, con una enorme pillola di polistirolo espanso che viene scaricata da un camioncino e quindi rotolata con aria indifferente fin sotto l'obelisco. Qui ci sono i fotografi che scattano prima che il professore venga, come previsto, fermato dai carabinieri e il pillolone sequestrato dalla gendarmeria vaticana.
Dopo tanti anni ancora ridacchia, al ricordo di quella sua quasi solitaria incursione in partibus infidelium. Non più giovanissimo, De Marchi ha l'orgoglio del pioniere e la malinconia di chi, forse, ha avuto ragione troppo presto. Un altro demonio del sesso, per la cultura cattolica , e non solo. Uno sperimentatore-corruttore forse anche con risvolti stregoneschi, oppure un agente della CIA...
In realtà, a vederlo adesso, è un signore distinto e curioso, piccolino, occhi azzurri dietro grandi lenti. Con piena consapevolezza dell'idiozia della definizione è un tipo perfettamente "normale", solo con il berrettone in testa - se proprio bisogna trovare qualche anomalia - è un po' buffo.
Si attribuisce quel che Aldous Huxley diceva di D.H.Lawrence: "Un puritano della trasgressione". Con onestà e semplicità spiega che molti degli esperimenti sessuali ed esistenziali intrapresi in prima persona negli anni '60, coppia aperta e tutto il resto, sono falliti perché era stata sottovalutata la gelosia. Senza averne eccessive responsabilità, ha ispirato un filmaccio, La rivoluzione sessuale, ove la parte del professore sporcaccione è stata eseguita, con la consueta, sofferta diligenza, dall'attore Riccardo Cucciolla. In compenso, riconoscibilissimo come Marco De Luigi, fa un'ottima figura in un racconto di Luciano Bianciardi. In un mondo fantastico dove tutti sono obbligati a mangiare sempre e solo semolino, c'è un professore gastronomicamente antiproibizionista che si batte perché ognuno possa gustare ciò che più gli aggrada.
Con i radicali ha rotto quando Pannella, ai tempi della lotta contro lo sterminio per fame, ha del tutto trascurato l'antica battaglia per il controllo delle nascite ed è ritornato a piazza San Pietro, questa volta a omaggiarlo sul serio, il Papa.
Oggi scrive su L'Indipendente e si è presentato alle elezioni per la Lega, "senza la quale", sostiene, "il teatrino dei pupi della partitocrazia sarebbe durata ancora un altro mezzo secolo". E' la Lega, insiste, il movimento che ha più donne, movimento né misogino né maschilista, l'unico ad aver attaccato frontalmente le gerarchie cattoliche.
Convinto che "le ideologie sono maschere e le economie macchine" è iniziatore della psicopolitica, metodo di analisi psicologica dei grandi fenomeni sociali. Richiesto di esprimere una valutazione sullo slogan priapistico di Bossi -"La Lega ce l'ha duro"-, De Marchi risponde però in modo piuttosto deludente, vago, riduttivo. Spiega infatti, il professore, che è solo un modo di dire un po' rozzo. Tipo: "Ha due palle così". Stop.
Personaggio chiave, comunque, di quei primi anni '60, la dimostrazione vivente di come allora bastasse mettersi a scherzare con i tabù per attirarsi l'odio imperituro di tre-quattro ideologie, di tre-quattro schieramenti politici, un paio di Chiese, un intero apparato statale di repressione, senza che quasi nessuno spendesse una parola per difendere lui e quei pochissimi altri che oggi De Marchi ha il piacere di definire, con allegro protagonismo, "una combriccola di utopisti". Figure curiose, forse anche bizzarre, sicuramente un po' fissate con questa storia della "catastrofe demografica", dell'"oscura tragedia della prolificità coatta", della cieca casualità procreativa". (33)
E tuttavia adesso, nell'Italia crescita zero, viene pure da chiedersi se non sia stato un piccolo miracolo caritativo (e organizzativo) l'avventurosa sopravvivenza dell'AIED, nella foresta di paure e nel deserto di conoscenze di quell'Italia inutilmente perbenista, anzi un po' doppia, se non del tutto falsa.
Lui era un professorino milanese con barbetta, papillon e strane letture da verificare nel concreto. Doveva sembrare uno scandinavo che aveva sbagliato barzelletta, ma intanto cercava disperatamente di affibbiare la presidenza onoraria dell'AIED (organizzazione con cui oggi non ha più nulla a che fare) a politici che funzionassero in qualche modo da rete di protezione. Alla fine trovava solo quell'altro dolcissimo, generoso eccentrico che era, che è l'onorevole Giancarlo Matteotti, misteriosamente socialdemocratico e libertario: uno che a quei tempi - ricorda De Marchi - aveva paura in egual misura delle esplosioni termonucleari e degli effetti delle mutande, per cui si era costruito un sistema di aerazione e di spacchi sul cavallo dei pantaloni, e andava tutto bene finché non accavallava le gambe perché a quel punto, plòk, usciva fuori un testicolo.
Tenuto d'occhio, il professor De Marchi, dalla destra neofascista fin dall'inizio, come si deduce da un terribile resoconto di Gianna Preda sul Borghese: "La faccia esangue...gli occhi verdastri...individuo squallido e sgradevole. Questo giovanotto dalle labbra insalivate ispira una incontrollata e irragionevole sensazione di repugnanza". (34)
Dei preti s'è detto, forse val la pena di aggiungere che negli anni '60 L'Osservatore romano ne chiede l'arresto, e che i responsabili di un'opera di assistenza ecclesiastica che sentono l'AIED "concorrenziale" fanno la posta sotto casa sua, fotografano la moglie, Maria Luisa Zardini, impegnata anche lei nella propaganda e nell'assistenza contraccettiva nelle borgate. (35)
Si becca la bellezza di sei processi, De Marchi, per conferenze scientifiche a favore della regolamentazione delle nascite: tutte ipotetiche violazioni del famigerato articolo 553 del codice penale, quell'insensato divieto di divulgazione dei mezzi anticoncezionali che contribuiva a rendere l'aborto un reato di massa, così di massa che in certe zone, le più abbandonate a se stesse, le donne non lo sapevano nemmeno che era un reato.
Con un fardello giudiziario già piuttosto nutrito e una certa fama di precursore iperminoritario, incontra i nuovi radicali ai quali porta in dote quel suo scomodo credo: "Dove c'è sessuofobia, lì c'è autoritaritarismo".(36)
Per la verità anche De Marchi si sforza di dimostrarlo in modo piuttosto hard, pure lui si diverte soprattutto a spese dei cattolici. Il suo pezzo forte, da recitarsi in modo incalzante e ripetitivo, prevede l'esposizione di come alcuni santi, o comunque figure della tradizione cattolica, respingevano le tentazioni di natura sessuale: "Macario si spinse nudo in una palude e vi restò fino a che il suo volto non fu sfigurato e il corpo non fu gonfio per le punture. San Simeone si ulcerò inguaribilmente le carni con una cintura ferrea. Ammonio si marchiò..." e così via. (37)
Predestinato, si direbbe, all'isolamento politico. Anche con la sinistra, infatti, il professore è sin da allora piuttosto pungente: "E' necessario che impari a spuritanizzarsi, perché la sinistra stessa ha sofferto e soffre delle stesse tare sessuofobiche che abbiamo rimproverato al clericalismo". E anche pungente: "Attenti a quei rivoluzionari che tuonano nei termini più estremisti, o addirittura sono pronti a tirare le bombe, e poi viceversa, quando si tratta di tematiche sessuali, si comportano come l'ultimo dei barbieri siciliani". (38)
Per il momento i "barbieri" prendono tempo, poi lo scavalcano a sinistra. Nel 1970, l'anno del divorzio e della nascita del Movimento per la liberazione della donna, all'interno dello stesso gruppo reichiano che ruota intorno al mondo radicale c'è già chi sostiene "la necessità di un momento rivoluzionario violento che fa rinviare al dopo i temi della libertà sessuale".(39) Più tardi anche una certa sinistra dogmatica si scatenerà addosso a questo strano profeta additandolo come "agente dell'imperialismo" e "neomalthusiano fautore della guerra atomica preventiva".(40)
Intanto, per misteriose, anche contraddittorie congiunzioni di uomini, tempi e interessi, la liberazione sessuale - o qualcosa del genere - si poteva acquistare in edicola a cento lire. Per i radicali Abc non era solo graditissimo motivo di scandalo. Era, a suo modo, pedagogia, speranza, sperimentazione. Era orgogliosa e insieme umile manifestazione di "diversità", la prova provata, per certi versi machiavellica, che se i fini sono giusti "tutto fa brodo".
Tutto, anche "Antonella Lualdi vi insegna come si seduce d'inverno", anche "le geishe-party" raccontate da Tony Dallara, "Aloisia, schiava bionda con troppa fantasia", "Il fantasma sexy che insidia tre donne", addirittura, per non dire della strepitosa - oggi - pubblicità di Bang!, "fotogiallo dell'amore violento", in cui si vede uno con le basette, in mutande, tutto peloso, la catenona al collo, lei in reggipetto, rinforzatissimo, l'aria annoiata, e il fumetto: "Le tratti così tutte le donne? Ecco perché sei un tipo desiderato..."
Eppure se tra il 1965 e il 1967 il divorzio riesce a diventare una questione di massa, lo si deve più di quanto sembrerebbe a prima vista a questo ibrido giornalistico su cui possono scatenarsi in simultanea la fantasia politica di Pannella e la smania di riscatto, di successo e di quattrini di un editore genialoide, Enzo Sabàto.
Dopo una ventina d'anni, la storiografia radicale ha riconosciuto ad Abc tutti i meriti dell'ircocervo pornolibertario, primo fra tutti quello di aver veicolato il divorzio in un nuovo ambiente, "nel piccolo ceto medio estraneo all'impegno politico".(41) Così come, sempre a proposito del caso Abc, Umberto Eco e Patrizia Violi hanno notato come "i radicali si mostrano capaci di occupare spazi originariamente non alternativi per farli diventare luogo di un'informazione provocatoria".(42)
Anche Sabàto, è ovvio, ha il suo tornaconto. Personaggio curioso, vitalista, generoso, un po' avventuriero. Proprietario di una tipografia, ha rilevato il giornale da Gaetano Baldacci e dalle iniziali 50.000 copie in qualche anno lo porta a mezzo milione. E' quel signore con gli occhiali da sole che si vede in foto, accanto a Loris Fortuna, al primo congresso della LID. Quello che in un'altra immagine sta parlando al microfono, e sotto il palco c'è una montagna, ma davvero una montagna di cartoline, a pacchi, tenute con lo spago. "Il sottoscritto", era il testo, "chiede che la Camera dei deputati si pronunci quanto prima, nel corso di questa legislatura, sulla proposta di legge dell'onorevole Fortuna..."
Dura tre, al massimo quattro anni la stagione più felice del settimanale, forse anche quella del suo editore. Così almeno fa capire oggi Pannella, passeggiando su e giù per il Transatlantico, e il ricordo di Abc, di quell'ormai lontana amicizia e di un uomo che non c'è più sfumano in un giudizio affettuoso, malinconico, eppure agrodolce: "Alla fine Enzo non beveva più vino, ma whisky. Non si spostava più in treno, ma con l'aeroplanino privato..." Insomma, l'ex tipografo di era montato la testa. Ma questo non ha annullato, in Pannella, un sentimento anche profondo di riconoscenza.
Sentimento neanche troppo diverso da quello che, al momento della rottura, proprio Pannella esprime su Notizie radicali, nel luglio del 1968: "Presentato come un giornale pornografico Abc è stato invece (in modo certo contraddittorio, a volte inadeguato) un grande giornale popolare democratico. Per il gusto prevalente della borghesia, certamente, era volgare. Ma i silenzi dei suoi concorrenti, tanto più 'prestigiosi' e 'stilé', ci appaiono sul piano morale e del costume infinitamente più gravi delle mancanze di gusto e delle compiacenze pseudopornografiche imputate ad Abc".(43)
Oltre che sul divorzio, finché dura il rapporto con i radicali, il giornale s'è impegnato sulla pillola, la maggiore età a diciotto anni, le spese e le servitù militari, i reati d'opinione. A risfogliare la raccolta, tra pagine e pagine che traboccano di donne spogliate - diversamente da Lo Specchio, qui le terribili strisce nere nascondono seni, pubi, sederi - si trovano già, tra il 1966 e il 1967, articoletti sulla legalizzazione delle droghe leggere e perfino una piccola campagna per l'installazione di distributori automatici di preservativi nella metropolitana di Milano.
Forse anche per questo, oltre che per le foto, è comunque una vita editoriale piuttosto agitata. Poliziotti che stracciano le locandine, sequestri (24 su 43 numeri, nel 1965), roghi in piazza (accade a Udine, da parte dell'Azione Cattolica) e innumerevoli processi per oscenità, dopo i quali Sabàto fa ripubblicare le immagini incriminate e, sotto, le sentenze assolutorie: "Giulia Sievert, la modella, appare di fianco, accovacciata sulle ginocchia, con il busto eretto leggermente girato, in modo che risulta in evidenza la schiena: questa appare scoperta, presentandosi slacciato il reggiseno, che peraltro è sostenuto da spallini non molto sottili..."(44)
L'Abc su cui, almeno in quella fase, scrivono De Marchi, con foto e papillon, e talvolta lo stesso Pannella, con pseudonimo. Altre firme, più o meno saltuarie, sono Giuseppe Berto, Alberto Bevilacqua, Luciano Bianciardi, Calisto Cosulich, Giancarlo Fusco, Fulvio Grimaldi, Marcello Marchesi, Massimo Pini. La moglie di quest'ultimo, il futuro ministro Margherita Boniver, tiene una rubrica intitolata "Snob" nella quale indica, anzitempo, ciò che è "in" e "out": "Molto 'In' è il tentativo di certi novaresi di sfuggire alla noia marcescente della provincia corrompendo graziose lolite con madri particolarmente distratte..." Ci sono anche dei brutti fumetti con i politici del centrosinistra "Domor" e "Pietrik", Moro e Nenni, che in genere fanno la figura dei fessi e sono consolati da donnine con farfalle sui capezzoli che li chiamano "Tesorucci!", "Amorini!".
Pubblicazione corsara, esuberante, sempre a caccia di avversari. Al Ministro dei Trasporti Oscar Luigi Scalfaro si mette nel conto la non ammissione agli esami di guida di un'anonima ragazza che s'è presentata in minigonna. "Evidentemente non siete molto assidui in Chiesa", si attribuisce poi, con ardita equiparazione, a Scalfaro. "Sulla porta di ogni Chiesa c'è la tabella che prescrive come ci si deve vestire per non dare scandalo". Quindi si racconta come dopo questo episodio l'esponente dc abbia ricevuto, in busta chiusa, la foto di Claudia Cardinale accolta in minigonna dal Papa. Foto accompagnata da un biglietto: "Signor ministro, invece che ai parroci, non si potrebbe ispirare al Santo Padre?"(45) Sarà.
Un certo gusto giornalistico per gli "effettacci", la consapevolezza di essere un grande strumento di pressione spingono a volte Abc sulla strada degli attacchi personali, un po' selvaggi, con colpi bassi. Al futuro presidente della Commissione Inquirente Alessandro Reggiani, per esempio, che pur essendo socialista si oppone al divorzio, o non vuole che a Treviso venga proiettato il film Bella di giorno, si rinfacciano la fama di playboy, "una carriera prematrimoniale molto movimentata", il matrimonio tardivo, "si fa vedere poco con la moglie..."(46)
Più o meno con lo stesso malanimo è trattato un altro onorevole socialista, Giuseppe Averardi, che "coinvolto in un processo per adulterio", così lo espone il giornale, "si trincera dietro l'immunità parlamentare invece di mettere in discussione l'iniquità della legge" e, sottinteso, sposare la causa divorzista.(47)
In qualche caso, però, l'imboscata ad personam sembra prescindere da motivazioni ideali, o comunque di parte. E' quindi più sospetta, obliqua, insinuante, tanto più quando va a colpire, ancora, la sfera privata degli individui.
Ha tutta l'aria di essere un messaggio, un avvertimento, comunque qualcosa di poco simpatico quella strana foto, ad esempio, di ragazza seminuda, con due curiose coppe di cartone sul seno, presentata come "La cugina dell'onorevole Michelini". Nel suo genere il testo è un capolavoro: "Come di frequente accade, la natura ha ripartito i propri doni tra cugini con singolare unilateralità: le virtù dell'intelligenza all'uomo politico, gli attributi della grazia e della bellezza alla cuginetta..."(48)
Allo stesso modo ha davvero poco a che vedere con il divorzio, i diritti civili, e neppure con la liberazione sessuale,un lungo servizio illustrato sull'ex presidente della Repubblica Gronchi, della cui vita privata s'era pure a lungo favoleggiato.(49)
Sospetta è la ricchezza dei dettagli, come del resto colpiscono verbi al presente, soprattutto se si pensa che Gronchi non era più al Quirinale da cinque anni. Comunque: "I romani parlano spesso della porticina che Gronchi ha fatto aprire su un lato del Quirinale, in via dei Giardini. Si mormora che dalla romantica porta passino le amicizie femminili del Presidente, che non potrebbero introdursi per il portone principale senza dar adito a pettegolezzi". Insinuante il tono, accurata la confezione fotografica del servizio: "Gronchi è di larghe vedute e di temperamento giovanile. Fra le sue amicizie fanno spicco Anna Maria Gambineri (ritratta in costume da bagno, cuffia, pinne), Giorgia Moll (anche lei in bikini che maneggia un grongo infiocinato), Tina De Mola (si asciuga accanto a una vasca da bagno), Sandra Milo (occhi chiusi e lingua fuori) e le signore Ciucci e Mugelli. Compagnie che servono a distrarre un po' il Presidente dalle fatiche della carica e consentono a Gronchi-uomo di trascorrere qualche ora s
erena in libertà, senza le costrizioni del cerimoniale..." (50)
E anche qui la qualità della prosa, oltre al particolarissimo momento in cui l'articolo è pubblicato, maggio 1967, esplosione del caso SIFAR, rendono più che fondato il dubbio che ABC abbia pubblicato pari pari un fondo di magazzino dei servizi segreti e che comunque possa essere utilizzata come buca delle lettere per giochetti poco chiari, anzi decisamente sporchi. Più sporchi dello "spogliarello western" o di altre scemenze tipo "O la borsa o lo slip".
Con la malizia di questi anni '90 si intuisce che le "mancanze di gusto e le compiacenze pseudopornografiche" cui faceva cenno Pannella nel suo cavalleresco congedo da Sabàto corrispondevano più o meno all'immaginario erotico della post Italietta. Rigorosamente eterosessuale, maschile e un po' piccolo borghese con i suoi stereotipi e le sue manie classificatorie: le "lolite", le "sbarbine", le "tigri" (varianti: "rosa" e "alla dinamite"), le "tardone".
C'è semmai da notare che tra una variazione esotica ("Le orge pagane degli Orinahuas") e un'inchiesta rassicurante "alla ricerca del vizio genuino" nella provincia, tra un brivido tecnologico ("L'ormone miracolo"), un pretesto per mostrare una mezza poppa ("Ecco le fantavergini!") o mettere in pagina quattro etti di sedere ("E' in arrivo la 'filigonna'!"), ABC punta parecchio sui desideri che ispirano le donne dei capelloni, le "yè yè", le figlie dei fiori, quelle dell'amore libero e così via. E qui la tentazione sarebbe di chiudere in qualche modo il cerchio, l'esplosione antiautoritaria riassorbita e commercializzata da un giornale che scaricava i radicali per buttarsi nelle braccia di chi sa chi.
Niente omosessualità, comunque, nemmeno su ABC. e anche questo dà l'idea di quanto apparisse intatto e inviolabile il tabù, di quanto fosse facile, allora, massacrare un omosessuale dentro un'aula di tribunale. Nel caso del professor Aldo Braibanti, poi, pareva ancora più facile.
A tanti anni di distanza dall'estate del 1968, dalla notte del 17 luglio in cui lo condannano a nove anni di carcere - nove! poco più ne toccano, per intendersi, ai responsabili del disastro del Vajont che si portano sulla coscienza 2OOO morti - viene da pensare: se l'erano scelti proprio giusto, l'omosessuale.
Bruttino, certo, come tanti. No, peggio: "Piccolo, stortignaccolo, fisicamente disgraziato", lo dipinge un avvocato di parte civile, "solo cervello, solo sesso..." Porta anche la barba, che allora è vissuta come orrendo segno di ribellione. I barbudos..... alla larga!
Un intellettuale, laureato in filosofia. No: "Un professorucolo", secondo il Pubblico Ministero Lojacono, in una requisitoria così sessuofobicamente violenta e fuori dell'ordinario da ispirare un bel racconto sarcastico-surreale di Dacia Maraini, felice eccezione di impegno civile, a quei tempi.
Tempi in cui un articolo, una presa di posizione, una raccolta di firme autorevoli - è giusto ricordare, tra i pochi che difendono Braibanti, Guido Calogero - sono ancora gesti di coraggio, e ancora servono a qualcosa. Come serve del resto la presenza di Amnesty International al processo di appello, ove, da nove che erano, la pena viene ridotta a quattro anni.
La mobilitazione radicale, probabilmente, arriva tardi. Ma forse è proprio in quell'ansia di recuperare tempo, in quella gratuita e perfino vana concitazione che se ne coglie la nobiltà, alla memoria e per il futuro.
Peppino Loteta, oggi giornalista de Il Messaggero, ieri fervente direttore di Notizie Radicali, vecchio amico di Pannella fin dai tempi della goliardia, ricorda bene che " a Marco, capitato al Palazzo di Giustizia quasi per caso, bastano appena venti minuti nell'aula di quel processo per capire, subito, che lì dentro si sta distruggendo un 'diverso'.
"Diverso", non c'è dubbio, è il professor Braibanti. "Diverso", però anche nel capo d'accusa che gli rifilano, dopo averlo scovato nei più oscuri meandri del codice penale: l'articolo 603, che si trova subito dopo quelli relativi al commercio degli schiavi. Braibanti, insomma, è accusato di aver soggiogato, sottomesso, schiavizzato due giovani maggiorenni. Il reato di plagio.
Mesi prima gli avvocati di casa Savoia hanno cercato di appiopparlo - invano - a Maurizio Arena durante la tempestosa love story con Maria Beatrice di Savoia che ha destato terribile scandalo a destra e grande divertimento a sinistra. Ma qui non c'è davvero niente di spassoso. A differenza del dotatissimo fusto della "dolce vita", Braibanti è un uomo triste, introverso. A suo tempo partigiano, per giunta torturato dai fascisti sadici della banda Carità, ex comunista, ora si dichiara anarchico. Scrive cose che nessuno legge, fa bellissime ceramiche che non vende (Gio Ponti, che ha chiesto di poterle acquistare, si è sentito rispondere no). Non ha relazioni di comodo e di potere, non ha incarichi accademici.
E tuttavia è intellettuale e artista quanto basta perché per suo tramite, meglio a sue spese, si possano fare i conti con tante altre cose: la filosofia indiana, la psicoanalisi, l'avanguardia, in fondo la complessità di una società che sta cambiando. Sotto processo c'è però soprattutto l'omosessualità. Un'omosessualità ingigantita, "un'idea dell'omosessualità", protesta Alberto Moravia, "travestita da cultura". (52)
Anche qui c'entra - come ti sbagli - il diavolo. "Pervertimento demoniaco", accusa il pubblico ministero Lojacono. "Diabolico invasore di spiriti", secondo l'avvocato Taddei, "reincarnazione del demonio". "Un demone", questo è l'avvocato Alfredo De Marsico, principe dei penalisti, "che deve essere respinto agli Inferi".
Braibanti. Un essere senza patria, senza casa, senza famiglia, senza fissa dimora, tra Fiorenzuola d'Arda e Roma. Una cattiva condotta esemplare: "Praticamente un fallito", scrive il giudice Orlando Falco, "che vive una vita fatta di miseria, di panini imbottiti, di panni lavati da sé, di carità degli amici..." (53)
Se non bastasse c'è anche questa storia che studia le formiche. Anch'esse non piacciono al giudice: "Orribili vermini neri", le definisce Falco. Indizio di pericolosità sociale come se quelle cassette piene di insetti che Braibanti si porta sempre appresso fossero " il segreto laboratorio in cui sperimenta le sue utopie filosofiche sull'annientamento della volontà dei discepoli". (54)
I discepoli: due giovani con cui ha avuto rapporti, anche sessuali. Uno, ormai sposato, sostiene di essersi liberato della sua schiavitù mentale, al suono di campane, di chiesa. L'altro ha una storia complicata alle spalle, fughe, rapimenti, ospedali psichiatrici, elettroshock. E' soprattutto la famiglia del secondo ragazzo, straziata, a intentare il processo e a chiedere la punizione esemplare. Invano Leopoldo Piccardi, che ha reindossato la toga, ricorda ai giudici che l'ultimo processo famosi per omosessualità fu celebrato settantatrè anni prima in Gran Bretagna contro Oscar Wilde" (55)
Quando arriva la condanna, davvero esemplare, un bel pezzo d'Italia si mette l'anima in pace: "I giurati hanno coraggiosamente difeso e tutelato", questo il giudizio del giornalista Franco Salomone, sul Tempo, "il tradizionale bagaglio ideologico e morale di tutti noi".56)
Ma "noi" chi, ormai? E anche sui contenuto del bagaglio, nell'estate 1968, è lecito e ragionevole nutrire qualche dubbio.
Intanto Braibanti torna in carcere: a quel punto, per Pannella, l'unica strada è salire lui, lucidamente, sul bando degli accusati, ancora una volta caricarsi addosso lo scandalo, per poi rovesciarlo su chi si scandalizza, aprendo il varco alla contraddizione: "Non c'è che da colpire i potenti, se si vuol davvero difendere le loro vittime. C'è da tirar fuori il condannato, ma ancora di più da portar dentro chi ha abusato delle leggi per realizzare un ignobile linciaggio..." (57)
Insieme con Loteta perciò attacca a freddo i giudici Falco e Lojacono e la maxisentenza presentata, con parecchio ritardo, nella primavera del 1969. Scrive della "cupa vocazione a rovistare con la lama dell'Inquisizione e della persecuzione nelle coscienze di ciascuno"; dell'"ossessivo e allucinante bisogno del sessuofobico e dell'impotente a parlar di sesso e a vederlo ovunque".
Braibanti - e qui di nuovo Pannella con quel suo stile un po' criptico fa un'uscita a sorpresa, non accusa i "giudici cattivi", ma ne denuncia le paure, le proiezioni che li hanno spinti a sceglierselo come vittima - Braibanti "è il nome dato ad autobiografie più o meno interiori che non osano confessarsi". Braibanti sono "i demoni interiori di questo nostro tempo, di ceti dominati dalla cattiva e spaurita coscienza; d'una società medusata dalla follia, dalla violenza, dalla perversione che essa stessa produce e diffonde....
Speravano di decapitare o bruciare con Braibanti uno dei loro volti..." (58)
Braibanti esce da Regina Coeli il 5 dicembre di quello stesso 1969. "In una mano", scrive Gigi Ghirotti, "ha una borsa con gli effetti personali e nell'altra un formicaio di gesso di sua invenzione, che s'è costruito in cella." Dice solo: "Voglio togliermi subito di dosso questi panni che puzzano di galera". (59) Un demone smagrito e senza barba.
Otto giorni prima la Camera ha approvato la legge istitutiva del divorzio.
Anche sul divorzio, circa tre anni dopo, sesso e politica si incrociano con allegra, impudica crudeltà.
C'entrano ancora i radicali, più esattamente l'arguzia non solo giudiziaria di Mauro Mellini, l'anti-Andreotti, un avvocato romano sottile e combattivo, una specie di vate dello spirito anticlericale, nel caso specifico il più spaventoso rompiscatole e scopritore di altarini che i reverendi padri della Sacra Rota si potessero mai trovare fra i piedi.
La vicenda è, per parecchi versi, grottesca, e non solo per i laici. Lo "scandalo" degli annullamenti rotali, le bugie più smaccate, la rapida naturalezza - nei fatti, non nelle chiacchiere, ché anzi quei procedimenti paiono particolarmente verbosi - con cui si cancellano matrimoni eccellenti, la stessa escalation della concorrenza che il "divorzio vaticano" aveva cominciato a fare a quello italiano spiegano il clima, nei primissimi anni '70, in cui matura questo appostamento beffardo, una sorta di pasquinata ai danni del fronte andidivorzista in vista del referendum.
E tuttavia, a onor del vero, in questo caso l'intento polemico oscura un ideale codice di convivenza civile. Perché comunque di agguato si tratta, di persone riconoscibilissime nonostante le iniziali con cui compaiono in quel raro numero della Prova radicale del marzo 1973. (60) Personaggi di rilievo, pubblicamente impegnati contro il divorzio, ma pur sempre beccati nella loro più intima dimensione, quindi divulgati, esposti al pubblico ludibrio, messi alla berlina, peggio al "cavalletto": "Specie di supplizio, creduto necessario alle natiche del nostro volgo", come spiegava il Belli, poeta supremamente anticlericale che Mellini di sicuro conosce e sa apprezzare. (61)
A dare un tocco di ridicola, solenne stravaganza all'affare delle "onorevoli nullità" non era comunque la lingua romanesca del Belli - tra l'altro la stessa usata in quegli anni dal comunista Maurizio Ferrara per dare una poetica ripassata ai radicali e ai loro costumi sessuali: "'na manica de gente assai lasciva/finocchi e vacche ignude alla Godiva" (62) - ma il latino delle sentenze di annullamento della Sacra Rota.
Per anni e anni quelle carte l'avevano, come dire, fatta franca: nessuno, nel registrare gli annullamenti, aveva mai perso tempo a tradurli. Fino a quando, disgraziatamente per onorevoli, sottosegretari ed ex presidenti del Consiglio antidivorzisti, nell'ufficio Affari Civili della Corte d'Appello di Roma non s'era insediato il giudice Gambino, gagliardo latinista. (63)
"Una specie di maledizione biblica sembra pesare sulle famiglie dei notabili democristiani e missini, dei parlamentari che in nome dei princìpi cristiani si sono strenuamente battuti...": così, con maliziosa ingenuità, Mellini comincia il suo truce e bizzarro viaggio tra vaginismi, impotenze, frigidità, verghe, semi buttati di qua e di là, in un mortificante campionario di infelicità sessuali (fortunatamente più finte che vere), tutte comunque tese alla conquista del sospirato annullamento.
Una sfilata di umilianti e fantasiose ammissioni-invenzioni da parte di protagonisti, amici e parenti. Come il senatore G.P., pover'uomo, chiamato a testimoniare sulla "virilis impotentia" del genero, "che poi, tutto sommato, era la più ardua a sostenere, dato che questi", come fa osservare Mellini, "gli aveva dato una bella nipotina".
Oppure il vecchio senatore G.B., che risulta informatissimo sui rapporti sessuali del figlio, anch'egli parlamentare: "In coscienza, sotto la santità del giuramento prestato, dirò che il matrimonio di mio figlio non è stato consumato. Perché egli stesso mi ha sempre detto di non aver potuto penetrare, neppure parzialmente, in vagina".
Tutto così. Dell'on. missino L.T. si viene a sapere di come fosse stato scelto, invece che dalla sposa, dalla madre di lei. La futura moglie, anzi, l'aveva trovato "un bamboccio... fatuo, vuoto, effeminato. Si presentava con modi e parole ampollosi, che mi urtavano. Prese a mandare fiori a mia madre, e quando si presentava si prostrava a baciarle la mano tutto scivoloso: anche questo mi dava ai nervi". Matrimonio annullato.
Mentre per quello del figlio del sottosegretario F.M.D. tutta la colpa è evidentissima, della giovane nuora, di rinomata famiglia socialista ("puella e notoria socialistarum familia"), inchiodata da una testimonianza che Mellini giustamente definisce "colorita e incisiva". Eccola: "Ella non crede assolutamente a niente, ha sempre fatto vita libera. Diceva che un figlio l'avrebbe fatto 'col fischio', e aggiungeva un gesto volgare".
Di tutte le disavventure coniugali, anche per i risvolti pubblici che aulicamente si dispiegano nella lingua degli antichi romani, il perfido Mellini si accanisce su quella, complicatissima, dell'onorevole, sempre democristiano, M.B. Qui le cose erano prese alla lontana, giacché "Quod negotia thalami, usque ab initio, recte non processerint, id est, ad normam expleri non potuerint, imprimis patet e depositione actoris": che l'affare del letto, fin dall'inizio, non procedesse bene, cioè non potesse essere espletato a dovere risulta anzi tutto dalla deposizione dell'attore. Infatti: "Ad primum conatum copulae quod ille perfecit... eidem impossibile fuit penetrare in vaginam mulieris et in eam semem effundere", al primo tentativo di copula che fece... gli fu impossibile penetrare nella vagina della moglie e versare in essa il seme, "ob reactiones repentinas atque acerrimas a muliere oppositas, quibus ipsa viri potentia pessumdabatur, cum effusione seminis super corpus ipsius viri", per le reazioni repentin
e e violente opposte dalla donna, davanti alle quali la stessa potenza virile andava in malora, con effusione del seme sul corpo dello stesso uomo.
Come diretta conseguenza di tale situazione - ecco le ripercussioni politiche - "vir, qui, uti asseritur, nunquam potuit perficere carnalem copulam cum uxore, exacerbatus, totum se profundit ad vitam publicam", l'uomo, che come si sostiene non potè mai realizzare la copula carnale con la moglie, esacerbato, si dedicò tutto alla vita pubblica.
E qui, quasi a rendere la vicenda personale e politica ancora più scabrosa e complicata di quel che già fosse, si inserisce la testimonianza dell'onorevole Giovanni Galloni, secondo il quale proprio l'impossibilità di consumare il matrimonio aveva spinto M.B. a rifiutare in passato candidature di prestigio come quella a sindaco (munus Syndici) e a deputato (legatus Populi). Sosteneva infatti l'illustre amico e collega: "Quapropter verebatur ne ex instauranda forte causa ad nullitatem obtinendam admiratio in vulgo orietur, cum detrimento suae activitatis admninistrativae et politicae", per cui temeva che dall'eventuale instaurazione di una causa per ottenere la nullità del matrimonio sorgesse clamore nel volgo, con detrimento dell'attività amministrativa e politica dello sfortunato M.B. (64)
In compenso, anche sull'altro fronte, non è che poi si andasse tanto per il sottile. E passi per le omelie elettorali antidivorziste e per i suggerimenti da confessionale; passi per la campagna lacrimevole sulle prodigiose virtù del matrimonio indissolubile; passi pure per l'inaugurazione, a pochi giorni dal referendum del 12 maggio 1974, di un monumento a Caprese, paese di Michelangelo, un gruppo scultoreo che l'allora segretario democristiano Amintore Fanfani aveva voluto personalmente dedicare: "Dai figli riconoscenti ai genitori uniti".
Fanfani non era tipo da fermarsi a questo. Perciò anche lui, trascinato dal clima e intuita l'estrema risorsa propagandistica, si catapultava sul sesso e l'agganciava alle paure, esagerando. Eccolo, il 26 aprile 1974, in un cinema di Caltanissetta: "Se il divorzio passerà, in Italia sarà persino possibile il matrimonio tra omosessuali..." E scrutata quella platea di coppole, totalmente maschile, non solo si faceva venire strane idee in testa, ma le esprimeva con l'aria di chi la sa lunga: "Vi piacerebbe, gentili ascoltatori, se vostra moglie vi lasciasse per sposarsi con la moglie del vostro amico, e magari per scappare con la donna di servizio, diventeremo tutti degli scimuniti dello stesso sesso e magari vostra moglie vi lascerà per scappare con qualche ragazzina..." (66)
E questa delle mogli di Caltanissetta che convolavano verso il tiaso di Lesbo con la giovane cameriera rimaneva lì, piccola perla di un'antologia per un'Italia che avrebbe dovuto aver paura e invece se la cominciava a ridere.
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NOTE
1 Ernesto Galli della Loggia, "E l'Italia cambiò", in Storia dei giovani, prima durante e dopo il Settantotto, Panorama, 1988, p.17
2 Gigi Moncalvo, Pannella, il potere della parola, Sperling & Kupfer, Milano, 1983, p. 40
3 "All'asta il giubbino di Enzo Tortora", La Repubblica, 27 marzo 1986. L'articolo dà conto dei cimeli radicali venduti all'asta: 530.000 lire per il giubbino, appunto, indossato da Tortora al momento dell'arresto; 350.000 per il "dolcevita" di Pannella; 120.000 per un disegno di Mauro Mellini; 100.000 per i jeans di Emma Bonino (su cui era scritto: "Ne hanno viste di tutti i colori"); 50.000 per un quadro di Gianluigi Melega. L'iniziativa di autofinanziamento dei radicali suscitò un corsivo da parte de L'Osservatore romano, "Il Vaticano ironizza sull'asta dei radicali", La Repubblica, 28 marzo 1986. Quanto al maglione girocollo di Pannella, scriveva L'Osservatore romano, "farà bella figura di sé, forse a mo' di natura morta, sulla parete di casa del suo acquirente. Un divorziato? Chissà? Forse una persona che spezzando la propria realtà matrimoniale ha abbandonato lungo la strada della propria vita quella verità sull'amore che si fonda sull'autentica donazione di sé...."
4 "Il carisma è soltanto una lunga pazienza", intervista a Marco Pannella di Adele Cambria, Il Giorno, 21 gennaio 1987
5 Pannella su Pannella, Magma, Roma, 1977, p 42
6 Discorso al congresso costitutivo del FUORI, aprile 1972, in Marco Pannella, Scritti e discorsi. 1959-1980, Gammalibri, Milano, 1982, p. 76
7 Intervista a Playboy, in Marco Pannella, Scritti e discorsi. 1959-1980, cit., p. 165
8 Intervento al congresso di Napoli, in aa.vv., Super Pannella, Matteo, Treviso, 1977, p.149
9 Intervista a Playboy, in Marco Pannella, Scritti e discorsi. 1959-1980, cit. p. 166
10 Ibidem
11 Prefazione ad Andrea Valcarenghi, Underground a pugno chiuso, Arcana, Milano, 1974, in Pannella su Pannella, cit. p.7
12 "Due o tre cose che abbiamo scoperto di Marco" intervista a Marco Pannella di Gian Antonio Stella, Sette-Corriere della Sera, 14 gennaio 1993. Oltre che per obiettiva mancanza di tempo, Pannella spiega la sua ritrosia a scrivere libri "perché credo nell'importanza della parola"
13 Intervento al XV congresso di Verona, novembre 1973. In Marco Pannella, scritti e discorsi. 1959-1980, cit., p. 105
14 Intervista a Playboy, in Marco Pannella, Scritti e discorsi. 1959-1980, cit., p. 166
15 Prefazione ad Andrea Valcarenghi, Underground a pugno chiuso, cit. in Pannella su Pannella, cit., p. 8
16 Prefazione a Mario Appignani, Un ragazzo all'inferno, Napoleone, Roma, 1975, in Pannella su Pannella, cit., p. 7o
17 Intervista a Il Mondo prima del congresso di Firenze, novembre 1975, in aa.vv., Super Pannella, cit., p. 58
18 IVI, Francesco Fuschini, "Pannella, il diavolo", pp.171-177
19 Pier Paolo Pasolini, La religione del mio tempo, Garzanti, Milano, 1961, p. 115
20 aa.vv. (Tanta gente), Il pugno e la rosa, a cura di Walter Vecellio, Bertani, Verona, 1979, p, 325
21 Ma l'amor mio non muore. Origini documenti strategie della "cultura alternativa e dell'underground" in Italia, Arcana, Roma, 1971, p.150
22 Ivi, pp. 248-249. Nel quadro di un manuale di sopravvivenza alternativa e metropolitana vengono propagandate "le comuni bibite gassose come appunto la Coca-Cola" in quanto dotate di "un notevole potere anticoncezionale. Sono però necessari, per rendere efficace questa operazione, alcuni accorgimenti. In sostanza bisogna procedere così: agitare la bottiglia di bibita gassata tenendola tappata con il pollice della mano destra, quindi introdurre nella vagina il collo della bottiglia e contemporaneamente lasciare aperta la bocca della bottiglia. Allo stesso modo con la mano sinistra tenere il più possibile unite le labbra intorno al collo..." Aggiunge il "manuale": "Questo metodo molto primitivo, se è applicato con attenzione e cura, permette di ridurre fortemente i rischi di una gravidanza non voluta".
23 Prefazione ad Andrea Valcarenghi, Underground a pugno chiuso, cit., in Pannella su Pannella, cit., p.9.
24 Luca Boneschi e Carlo Oliva, "Relazione sui diritti civili", presentata al VI congresso del Partito Radicale, Firenze, 4-5 novembre 1967
25 "Mozione sulla libertà sessuale", presentata e approvata al VI Congresso del Partito Radicale, Firenze, 4-5 novembre 1967, in Agenzia Radicale, 4 dicembre 1967
26 Notizie Radicali, 26 gennaio 1968. Il comitato di presidenza del convegno su "Repressione sessuale e oppressione sociale" era composto da Alberto Moravia, Cesare Zavattini, Marco Pannella, Loris Fortuna, Giancarlo Matteotti, Gabriella Parca, Guido Calogero, Cesare Musatti e Marcello Mancini (direttore editoriale di Men)
27 Notizie radicali, 3 gennaio 1968
28 Pietro Petrucci, "Il secondo fronte", L'Astrolabio, 3 novembre 1968
29 "I contrabbandieri di Cristo", ABC, 9 aprile 1967
30 "Pillola-strip in Piazza San Pietro", ABC, 31 dicembre 1967
31 Guido Aghina e Claudio Jaccarino, Storia del Partito Radicale, Gammalibri, Milano, 1977, pp 41-42
32 I radicali furono scambiati per cattolici dal giornale del PSIUP Mondo nuovo. A proposito della Chiesa e della pillola, vedi Orazio La Rocca, "Così i vescovi bocciarono il Papa", La Repubblica, 23 luglio 1993. Nel giugno del 1966 la commissione preparatoria del documento-base della futura enciclica "Humanae vitae" si espresse a grande maggioranza contro l'illiceità della contraccezione, orientandosi quindi verso un chiarissimo placet per l'uso della pillola. Ma Paolo VI non tenne conto dell'esito dei lavori di quella commissione.
33 Luigi De Marchi, "Prolificità coatta", Il Radicale, giugno 1962, e Ornella Avenati, "Relazione su situazione demografica italiana e su problemi giuridici", in Agenzia radicale, 1o dicembre 1966
34 Il "Chi è" del Borghese, a cura di Gianna Preda, Edizioni del Borghese, Milano, 1961, pp. 163-164
35 Maria Luisa Zardini De Marchi, Inumane vite, Sugar, Milano, 1969, pp. 12-13
36 Luigi De Marchi, "Sessuofobia e clericalismo", in Agenzia radicale, 10 agosto 1967
37 Ibidem
38 Ibidem
39 "L'incontro reichiano del 5 e del 6 dicembre", Notizie radicali, 10 dicembre 1970
40 Maria Luisa Zardini De Marchi, Inumane vite, cit., pp. 8-9
41 Massimo Teodori, Pietro Ignazi e Angelo Panebianco, I nuovi radicali, Mondadori, Milano, 1977, pp 72-79
42 Umberto Eco e Patrizia Violi,"La controinformazione", in Valerio Castronovo e Nicola Tranfaglia, La stampa italiana del neocapitalismo, Laterza, Bari, 1976, p.142
43 Marco Pannella, "Saluto ad ABC e a Sabàto", Notizie radicali, 16 luglio 1968. "Infine", scriveva Pannella, "chi ha avuto per primo in Italia l'intelligenza, l'onestà e il coraggio di scatenare l'ormai indilazionabile campagna divorzista?
Chi, in definitiva. ha popolarizzato in ceti che non l'avevano mai conosciuti, certi valori laici e democratici? Chi raccolse la nostra campagna sui gangster della carità, sui Petrucci, sull'INPS?"
44 "Facciamo il punto sul caso ABC", ABC, 6 febbraio 1966
45 "L'onorevole Scalfaro moralizza gli esami di guida", ABC, 25 giugno 1967
46 "Morale e moschetto social-clerofascista perfetto", Abc, 15 ottobre 1967
47 "L'onorevole preferisce l'immunità", ABC, 17 dicembre 1967
48 "La cugina dell'onorevole", Abc, 3 settembre 1967, Arturo Michelini scrisse ad Abc per negare qualsiasi parentela con la modella.
49 In Corrado Pizzinelli, Scelba, Longanesi, Milano, 1982, p. 178, è raccolta la testimonianza dell'ex direttore de L'Osservatore romano Valerio Volpini: "Sapevamo che Gronchi faceva il galletto". Ne La Velina, Mondadori, Milano 1988, pp 23-24, Vittorio Orefice racconta di complicatissimi sforzi per far incontrare, naturalmente fuori del protocollo, il presidente della Repubblica con una signora di Livorno. Sforzi che valsero all'allora ministro dei Trasporti, Armando Angelini, il nomignolo di ministro dei "Trasbordi". Della fama da dongiovanni di Gronchi, in particolare di un provvedimento ribattezzato "legge Pompadour" perché destinato a una delle favorite del presidente, ha anche scritto diffusamente Guido Quaranta, Ritratto di presidenti con signora, SEI, Torino, 1978, pp. 70-71
50 "Gronchi, Anonima Arricchimenti", Abc, 21 maggio 1967
51 "Il Papa buono approverebbe il divorzio", Abc, 6 novembre 1967
52 Andrea Barbato, "E' reato criticare una sentenza", Tempo illustrato, 1· novembre 1969
53 Camilla Cederna, "Il peccato è sempre anarchico", L'Espresso, 13 febbraio 1972
54 Gigi Ghirotti, "Braibanti davanti ai giudici d'appello. Un demone smagrito e senza barba", La Stampa, 7 novembre 1969
55 Gianfranco Spadaccia, "L'inquisizione 1968", L'Astrolabio 21 luglio 1968
56 Ibidem
57 Giuseppe Loteta, "Braibanti, il demonio in Corte d'Appello", L'Astrolabio, 30 marzo 1969
58 In Pannella su Pannella, cit., pp 21-23
59 Gigi Ghirotti, "Braibanti esce dal carcere con i suoi libri", la Stampa, 6 dicembre 1969
60 Mauro Mellini, "Le onorevoli nullità", La prova radicale, marzo 1973, pp. 81-90
61 Il sonetto con l'annotazione belliana sul "cavalletto" è il celebre "Piazza Navona": "Cqua s'arza er cavalletto che ddispenza/ sur culo a cchi le vo' ttrenta nerbate, / e ccinque poi pe la bbonofiscenza". Nell'edizione classica, Mondadori, a cura di Giorgio Vigolo, pp. 1165-1167
62 Anonimo Romano (Maurizio Ferrara), Er compromesso rivoluzzionario, Garzanti, Milano, 1975, p. 208
63 Alessandro Coletti, Il divorzio in Italia, Savelli, Roma, 1974, p.184
64 Indicati con le iniziali su La Prova radicale, i nomi del piccolo saggio di Mellini sulle "Onorevoli nullità" sono segnalati in "Come gira la ruota", Panorama, 2 agosto 1973
65 Aretino 75, Lo stile del professore, Sugar, Milano, 1975, pp.162-163
66 Ivi, p. 160, e Giorgio Galli, Fanfani, Feltrinelli, Milano, 1975, p. 6