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Pirani Mario - 31 gennaio 1994
Liberisti ed evasori
di Mario Pirani

SOMMARIO: Sarcastica (pseudo)analisi del referendum relativo all'aborgazione della ritenuta alla fonte che, "se passasse, darebbe via libera a una evasione fiscale infinitamente più estesa di quella attuale". Questa "rivolta" si "avvolge nei nobili panni della liberal-democrazia" che non portarono fortuna a Malagodi: ma oggi "la solfa è cambiata" e occorre rivestire "abiti ideologici acconci". E' vero che la pressione fiscale è intollerabile, ma quel che occorre è far pagare chi elude, non "rovesciare l'assunto"; altrimenti, "le entrate diminuirebbero vertiginosamente". La Consulta "dichiarerà improponibile un simile referendum", ma intanto "cosa c'entra la liberal-democrazia?"

(LA REPUBBLICA, 31 gennaio 1944)

Questa volta Marco Pannella ha fatto tredici. Tanti sono, infatti, i referendum da lui proposti con l'ultima raccolta di firme, prolungata oltre i termini grazie a un decreto in extremis del governo. Naturalmente, come in tutto il corso della sua vita, il Nostro accanto ad alcune cose buone ne ha volute infilare altre che peggiori non potrebbero essere. Questa volta la palma del peggio spetta al quesito abrogativo dell'obbligo della ritenuta alla fonte che, se passasse, darebbe via libera a una evasione fiscale infinitamente più estesa di quella attuale. Come stupirsi, quindi, dell'adesione immediata ed entusiastica di Lega, berlusconiani, liberali d'area ed altri alfieri della rivolta fiscale?

Ovviamente una rivolta avvolta nei nobili panni della liberal-democrazia che in questa campagna elettorale sembrano destinati ad esser tirati da una parte e dall'altra, anche se questa coperta appare troppo stretta per coprire, ad un tempo, progressisti e moderati che ambedue vi anelano.

"L'italiano è liberale e non lo sa", recitava negli anni Cinquanta uno slogan elettorale di Malagodi. Ma allora fu uno slogan sfortunato, perché gli italiani seguitarono nella stragrande maggioranza a non saperlo, con disappunto del segretario del Pli e grande soddisfazione di democristiani e comunisti che continuarono a spartirsi i due ruoli primari e a tutto anelavano tranne che al libero mercato.

Oggi la solfa è cambiata, i vecchi attori sono usciti di scena, i nuovi hanno intuito che gli italiani, pur non avendo nel frattempo acquisito dimestichezza con i principi di Adam Smith, sono alquanto indispettiti nei confronti dello Stato e che, quindi, per conquistare il loro voto conviene abbigliarsi con abiti ideologici acconci.

E dato che i rinnovamenti della moda son sempre dei revival, ecco tornar buone le idee desuete del vecchio Malagodi, con gli opportuni adattamenti alla bisogna. Uno di questi adattamenti - o pezze a colore, come si dice a Napoli - mi sembra, appunto, il referendum di cui sopra, che in nome del diritto dell'individuo di pagare autonomamente i tributi, senza che questi gli siano trattenuti in busta paga dal datore di lavoro, sollecita in realtà il desiderio, del tutto naturale in ognuno, di poter scantonare dagli obblighi fiscali.

Ora è pur vero che la pressione fiscale in Italia risulta eccessiva e che il ministro del Bilancio, Luigi Spaventa, ha solo ragione a metà quando esibisce i dati che dimostrano come, in effetti, essa sia allineata a quella degli altri paesi europei. Ma come ignorare che la gravosità è tutta concentrata su chi paga il dovuto, con palese squilibrio a favore di chi elude o evade, favorito anche dal sistema d'imposizione? Perché la pressione diminuisca sui lavoratori dipendenti - gli unici che versano al centesimo perché vengono alleggeriti direttamente sulla busta paga - occorre, quindi, che le altre categorie siano messe a contributo e controllate in misura analoga (quale che sia la riforma del sistema) e non certo rovesciando l'assunto.

Che è quanto, viceversa, Pannella propone: e cioè collocare anche i lavoratori dipendenti nella condizione degli autonomi permettendo loro di compilare il modello dell'Irpef in modo unilaterale. Secondo quanto suggerirà loro la coscienza loro, la coscienza fiscale e la paura del castigo.

Il risultato è prevedibile: le entrate diminuirebbero vertiginosamente e anche l'Irpef sarebbe resa inoperante. E', quindi, quasi certo che la Consulta dichiarerà improponibile un simile referendum, in quanto l'articolo 75 della Costituzione vieta che se ne facciano in tema di leggi tributarie e di bilancio (scarsa la probabilità che venga accolto l'argomento dei proponenti secondo cui tratterebbesi solo di una modifica dei rapporti aziendali, in quanto attinente solo all'obbligo del datore di lavoro di esercitare la trattenuta alla fonte). Perché, dunque, attorno a questa iniziativa velleitaria e populista si è coagulata l'adesione della Lega e del polo berlusconiano?

La risposta non è difficile: questi movimenti si apprestano a fare del tema fiscale il cavallo di battaglia della competizione politica. Che i loro elettori siano in stragrande maggioranza quei ceti autonomi e micro-imprenditoriali che hanno finora goduto di un trattamento certamente meno severo di quello imposto ai lavoratori dipendenti, non costituisce certo una ragione dirimente: anzi, se tutta l'Italia evade ed elude in egual misura nessuno potrà più imputarli di egoismo sociale. Bravo Marco, ma cosa c'entra la liberal-democrazia?

 
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