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Chimurenga Ashanti - 1 febbraio 1994
NESSUNO TOCCHI CAINO - 17 - L'APPELLO DI AMNESTY

Ashanti Chimurenga -USA

Direttrice del Programma di Amnesty International per l'abolizione della pena di morte negli Stati Uniti

SOMMARIO: Amnesty International ha scritto una lettera aperta al presidente Bill Clinton perché venga abolita la pena di morte negli Stati Uniti. Spesso le sentenze capitali sono comminate sproporzionatamente nei confronti dei poveri, di minoranze, di malati mentali e di persone che non si possono adeguatamente difendere. Gli Stati Uniti permettono l'esecuzione di minori.

("NESSUNO TOCCHI CAINO", 1 febbraio 1994)

Amnesty international ha lanciato una grande sfida al presidente americano Bill Clinton affinché, nella sua qualità di massimo rappresentante politico della nazione, si pronunci sul fondamentale diritto alla vita, violato dalle esecuzioni capitali. Amnesty - in una lettera aperta sull'uso della pena di morte, rivolta al Presidente - nel gennaio di questo nuovo anno ha espresso la sua posizione. Abbiamo così chiesto al presidente Clinton di costituire una Commissione presidenziale che esamini e relazioni su tutti gli aspetti legati all'uso della pena di morte. La lettera chiede di sollecitare gli Stati ad imporre un'immediata moratoria sull'uso della pena di morte fino a quando dalla commissione non siano stati consegnati gli accertamenti della ricerca.

"Non ci può essere atto di governo più grave che quello di uccidere deliberatamente un essere umano" - ha dichiarato Amnesty. Abbiamo sostenuto che è giunto il momento per il Governo americano di esaminare al più alto livello possibile tutte le informazioni disponibili sull'impatto sociale e costituzionale, e sulla effettiva richiesta di una tale pena.

Nel solo 1993, dieci Stati sono responsabili dell'esecuzione di 38 esseri umani. Il numero di esecuzioni è cresciuto dal 1976, quando la Corte suprema degli Stati uniti ha consentito la reintroduzione della pena di morte, nonostante fosse evidente che essa non è un deterrente ma anzi distoglie risorse economiche da un utilizzo mirato alla riduzione della criminalità. Vengono spesi milioni di dollari per uccidere e la società è sempre meno sicura.

Mentre si assiste ad una recrudescenza nel ricorso alla pena di morte, il Congresso federale non si è ancora pronunciato sul documento che denuncia il razzismo nell'amministrazione della giustizia e mira a ottenere misure legislative che evitino condanne improntate a pregiudizi razziali.

In uno dei più famosi casi di condanna capitale - il caso Mc Cleskey contro Kemp - la Corte suprema degli Stati Uniti ha riconosciuto l'esistenza di pregiudizi razziali nel sistema giudiziario americano, ma l'ha ritenuta "inevitabile".

Il nostro documento parte da questo "scandalo".

Un'abbondante documentazione rivela che le sentenze capitali sono comminate in maniera sproporzionata nei confronti di poveri, di minoranze, di malati mentali e di persone che non si possono adeguatamente difendere.

La Suprema corte degli Stati uniti ha consentito si uccidessero minori, malati mentali, e ora anche probabili innocenti. Gli Stati uniti sono una delle sei nazioni che ancora permettono le esecuzioni di minori: probabilmente possiamo dire che vi sono più minori condannati a morte negli USA che in ogni altra nazione del mondo.

La lettera aperta a Clinton chiede che gli USA ritirino le riserve frapposte in sede di ratifica del Patto internazionale sui diritti civili e politici, nel '92. In palese contrasto con lo spirito del Patto, gli USA hanno posto riserve all'articolo che vieta le esecuzioni dei minori. Queste riserve sono state duramente criticate dalla Svezia, che ha adottato misure formali per modificare la posizione americana.

La lettera aperta è una delle recenti iniziative prese da Amnesty per rafforzare la sua lotta per l'abolizione della pena di morte. Nell'agosto del 1993, la nostra sezione statunitense ha organizzato una Commissione di inchiesta sull'uso della pena di morte negli USA. Hanno partecipato ai lavori numerosi personalità internazionali, fra cui Nicolò Amato, già direttore degli Istituti di pena italiani e rappresentante per l'Italia presso il Comitato europeo contro la tortura e i trattamenti disumani.

 
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