Radicali.it - sito ufficiale di Radicali Italiani
Notizie Radicali, il giornale telematico di Radicali Italiani
cerca [dal 1999]


i testi dal 1955 al 1998

  RSS
gio 28 mar. 2024
[ cerca in archivio ] ARCHIVIO STORICO RADICALE
Archivio Partito radicale
Sabatino Rosanna - 3 marzo 1994
(2) IL FINANZIAMENTO PUBBLICO DEI PARTITI NELL'ITALIA REPUBBLICANA
di Rosanna Sabatino

UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI NAPOLI "FEDERICO II"

FACOLTA' DI LETTERE E FILOSOFIA

CORSO DI LAUREA IN LETTERE MODERNE

TESI DI LAUREA IN STORIA DELLE ISTITUZIONI PARLAMENTARI

IL FINANZIAMENTO PUBBLICO DEI PARTITI NELL'ITALIA REPUBBLICANA

RELATORE: Prof.PIERO CRAVERI

CANDIDATA: ROSANNA SABATINO

ANNO ACCADEMICO 1992/93

Capitolo primo

IL PROBLEMA DELLA DISCIPLINA GIURIDICA DEI PARTITI POLITICI NELL'ASSEMBLEA COSTITUENTE ITALIANA

SOMMARIO. Dopo aver rievocato come si arrivò alla Costituente, e ricordato i risultati del referendum istituzionale che portò alla repubblica, analizza i lavori della Costituente per quanto rigurda il tema dei partiti e della loro regolazione. I punti presi in esame sono in particolare quelli relativi al rapporto tra partiti e democrazia, cioè in generale su cosa si deve intendere per "metodo democratico" e se la questione debba essere sollevata anche per ciò che riguarda la vita interna dei partiti. E quindi: 1) se ai partiti debbano esser riconosciute - secondo la tesi avanzata da Basso - "attribuzioni di carattere costituzionale", in vista di costituire una democrazia con "forme organiche" aliene dalla vecchia concezione uninominalista liberale di prima del 1919; 2) se ai partiti debba essere chiesto, e in che forme, di garantire al proprio interno una vita "democratica" (la proposta comportava il problema del controllo della vita interna dei partiti); 3) come realizzare il divieto di ricostituzione del p

artito fascista, o di strutture analoghe, ecc.

----------------------------------

L'intenzione di dare una qualificazione al partito politico, attraverso un riconoscimento giuridico, in presenza di determinati requisiti, e la propensione alla disciplina interna, che ne garantisca, in vista della sua funzione pubblicistica, un metodo democratico interno, affiorano durante i lavori dell'Assemblea Costituente italiana. Non trovano, però, come vedremo, spazio nella stesura definitiva dell'art. 49 della Costituzione.

L'Assemblea Costituente fu eletta il 2 giugno del 1946 e iniziò la propria attività il 25 giugno, con un discorso di Vittorio Emanuele Orlando che era il più anziano degli eletti, aveva infatti 86 anni e alle spalle una carriera scientifica e parlamentare del tutto veneranda: nel suo saluto disse di rappresentare »tutto il passato di una storia che si è chiusa . (1) Nei banchi dell'Assemblea sedevano altri rappresentanti di questa storia - da Nitti a Croce, da Bonomi a Sforza, da Paratore a Ruini - ma essi non svolsero (tranne quest'ultimo), nel processo di formazione della nuova carta, un ruolo decisivo.

Tra i 556 deputati eletti prevalevano quelli formatisi interamente nel corso della dittatura. Tra i più giovani, Aldo Moro, Giulio Andreotti e Fiorentino Sullo erano ancora al di sotto dei trent'anni. (2) Secondo il programma iniziale la Costituente avrebbe dovuto sciogliersi entro otto mesi dalla sua prima riunione, (3) ma, prolungandosi i lavori, fu la stessa Assemblea a prorogare la propria vita, una prima volta fino al 24 giugno 1947 (4) e una seconda fino al 31 dicembre 1947. (5)

Il testo definitivo della costituzione repubblicana veniva approvato, in un clima di grande emozione, nella seduta pomeridiana del 22 dicembre 1947: pochi giorni dopo, l'1 gennaio 1948, la nuova carta entrava in vigore.

L'»età della Costituente copre, dunque, un arco di quasi due anni.

1. IL PROBLEMA DELLA COSTITUENTE NEL DOPOGUERRA

Dopo la caduta del fascismo, l'idea di una »iniziativa costituente si era venuta precisando per gradi, attraverso il complesso gioco di patteggiamenti che, dall'autunno del 1943 ai primi mesi del 1944, si ebbe tra gli ambienti della Corona, i partiti antifascisti e le forze alleate.

Inizialmente il re, perseguendo il proprio disegno di restaurazione statutaria, si era limitato a sanzionare, all'atto dello scioglimento della Camera dei fasci e delle corporazioni, l'elezione popolare di una nuova Camera dei deputati, da effettuare entro 4 mesi dalla cessazione dello stato di guerra. (6) Intanto, sempre nell'ottobre di quell'anno, si erano manifestate due prese di posizione importanti: la prima da parte delle potenze alleate, che all'atto del riconoscimento provvisorio del governo Badoglio avevano visto in una soluzione di tipo costituente l'unico sbocco possibile della crisi italiana; l'altra, da parte del Comitato di liberazione nazionale, da poco costituito e ancora operante nella clandestinità, che in una dichiarazione a Roma il 16 ottobre, aveva manifestato la propria opposizione alla corona ed al suo governo, ma aveva anche affermato l'esigenza di una convocazione, dopo la fine della guerra di liberazione, del popolo »per decidere sulla forma istituzionale dello Stato . La soluzi

one costituente venne, successivamente, ribadita dai sei partiti antifascisti uniti nel CLN al congresso di Bari (gennaio 1944) e sostenuta nel corso della trattativa segreta che, all'inizio dell'aprile 1944, portò questi partiti, con la mediazione di De Nicola e di Croce, ma sotto la spinta determinante di Togliatti, ad accordarsi con la corona sulla »tregua istituzionale con il »patto di Salerno .

La sostanza di tale accordo, reso pubblico dal re con un proclama letto alla radio di Bari il 12 aprile 1944, si può riassumere nei seguenti punti: impegno solenne di Vittorio Emanuele III a ritirarsi irrevocabilmente a vita privata al momento dell'occupazione di Roma da parte delle forze alleate; soluzione provvisoria del problema del vertice dello Stato mediante la nomina del figlio Umberto di Savoia a »luogotenente generale del regno; rinvio della scelta finale tra monarchia e repubblica e del conseguente impianto costituzionale ad una Assemblea costituente da eleggere a suffragio universale non appena le vicende della guerra lo avessero consentito. (7)

Nel »patto di Salerno si pongono le basi politiche di quella »costituzione provvisoria che consentirà, poi, il passaggio alla fase costituente e al nuovo assetto istituzionale.

La »costituzione provvisoria trova la sua espressione formale in uno dei primi atti normativi adottati dal governo Bonomi subito dopo la liberazione di Roma, dove con il D. Lgs. Lgt. 25 giugno 1944 n. 151, si pone l'»atto di nascita del nuovo ordinamento democratico italiano . Nell'art. 1 di tale decreto viene, infatti, stabilito che »dopo la liberazione del territorio nazionale, le forme istituzionali saranno scelte dal popolo italiano, che a tal fine eleggerà, a suffragio universale, diretto e segreto, un'Assemblea Costituente per deliberare la nuova costituzione dello Stato . (8)

Secondo il patto di Salerno tra i compiti dell'Assemblea Costituente vi era anche la scelta tra monarchia e repubblica; soltanto successivamente, e quasi alla vigilia della data fissata per l'elezione della Costituente, tale scelta veniva trasferita dall'Assemblea Costituente al corpo elettorale. Questo accadde con il D. Lgs. Lgt. 16 maggio 1946 n. 98, adottato con il consenso di tutti i partiti del CLN e dopo un lungo e appassionato dibattito svoltosi prima in consiglio dei ministri e poi alla Consulta (9). Le forze di sinistra volevano che fosse la futura Assemblea Costituente a decidere sull'assetto istituzionale, mentre gli altri gruppi politici, che poi riuscirono vittoriosi nella contesa, intendevano che fosse il popolo a stabilire se si dovesse conservare l'ordinamento monarchico o dar vita ad un ordinamento repubblicano. Con questo decreto, oltre a regolare le modalità per l'eventuale avvento della repubblica (art. 2) e l'esercizio della funzione legislativa ordinaria nel corso della fase costitu

ente (art. 3), si disponeva soprattutto la convocazione del corpo elettorale per procedere sia alle elezioni dell'Assemblea Costituente che alla scelta, mediante referendum, tra repubblica e monarchia. (10)

2. LA CAMPAGNA PER LA COSTITUENTE E IL REFERENDUM ISTITUZIONALE

La discussione sulla legge elettorale che doveva regolare la duplice consultazione si concludeva alla Consulta il 23 febbraio. Dato il carattere non vincolante dei pareri emessi dal parlamento provvisorio, rimaneva al governo il compito di prendere le decisioni finali ed esecutive.

I termini della questione comprendevano: la scelta della forma istituzionale, la questione relativa alla delimitazione dei compiti dell'eligenda Assemblea Costituente e la scelta del tipo di legge elettorale, prevedendosi sia la soluzione del collegio uninominale, sia quella del sistema proporzionale puro; inoltre si dovette scegliere tra voto obbligatorio con sanzioni fiscali o voto facoltativo.

Sulla prima questione esisteva il decreto legge 151 che demandava ai membri della Costituente la scelta tra la forma monarchica e quella repubblicana, ma nel corso delle discussioni alla Consulta le pressioni dei monarchici, assecondati da De Gasperi, avevano rimesso in discussione il delicato problema.

Le insistenze dei monarchici per il referendum popolare provocarono le violente proteste dei partiti di sinistra, ma De Gasperi riuscì a far accettare le tesi del referendum all'intero governo.

Anche la questione delle competenze da attribuirsi all'Assemblea Costituente fu risolta contro il parere delle sinistre. Esse infatti volevano per l'eligenda Assemblea gli stessi poteri e la sovranità di un comune parlamento per tutte le questioni politiche e legislative che si presentassero durante i suoi lavori.

Diverse erano le posizioni della DC e dei liberali che facevano approvare un decreto legge, che così limitava le attribuzioni dell'Assemblea Costituente: »Creata per formulare ed approvare la nuova carta costituzionale dello stato la Costituente non eserciterà funzioni legislative ordinarie, le quali saranno riservate al governo . (11)

Fu proprio la lotta tra sostenitori della monarchia e quelli della repubblica a dare una foga particolare alla competizione dell'aprile-maggio. »Essa non si svolse solo tra i partiti, ma anche all'interno dei partiti, in particolare di quello liberale, nel quale finì col trionfare la tesi degli agnostici o indifferenti di fronte alla questione istituzionale, agnosticismo che si dimostrò poi favorevole per la scelta monarchica e provocò la prima scissione a sinistra di un gruppo di repubblicani irremovibili, e nel partito democristiano, nel quale fu tenuto un referendum tra gli iscritti, che si pronunciarono a larga maggioranza per la repubblica . (12)

La competizione elettorale fra le principali formazioni politiche italiane dell'aprile-maggio 1946 si chiuse così il 2 giugno con la duplice votazione per il referendum istituzionale e per l'elezione dell'Assemblea Costituente. Nel referendum del 2 giugno 12.717.923 votanti si pronunciarono per la repubblica e 10.719.284 per la monarchia: la scelta repubblicana aveva, dunque, un margine di due milioni di voti, largo abbastanza per assicurarle una notevole vittoria, ma non così largo come molti si aspettavano. Se la scelta istituzionale poneva all'elettorato italiano un problema relativamente semplice, le contemporanee elezioni per l'Assemblea Costituente presentavano difficoltà assai maggiori.

Nel 1946 si votava liberamente in Italia per la prima volta dopo un intervallo di venticinque anni. »Pertanto la prima riflessione che si affaccia alla mente è proprio questa: che un corpo elettorale assai vasto, il quale si trovava ad esercitare il suo diritto supremo di regolare la vita pubblica del paese dopo un grande intervallo di tempo e per larghissima maggioranza per la prima volta, e che lo faceva nel clima infuocato di una lotta istituzionale veramente drammatica dimostrò un'insospettata consapevolezza dell'importanza dei propri diritti e doveri politici. Lo prova il fatto che l'astensionismo dalle urne, che era stato del 41,6% nel 1921, fu nel '46 soltanto del 10,9% . (13)

3. CHI ERANO I COSTITUENTI E COME LA COSTITUENTE SVOLSE I PROPRI LAVORI

Sul piano dei rapporti di forza le elezioni del 2 giugno avevano prodotto questo risultato: 207 seggi erano stati conquistati dalla Democrazia cristiana; 115 dal Partito socialista di unità proletaria; 104 dal Partito comunista; 41 dall'unione democratica nazionale; 30 dal fronte dell'Uomo qualunque; 23 dal Partito repubblicano; 16 dal Blocco nazionale della libertà, 7 dal Partito d'Azione, gli altri tredici da liste minori.

I risultati delle elezioni del 2 giugno sanciscono la fine della cosiddetta »esarchia , intorno a cui, nel corso della fase transitoria, si era incentrato tutto il funzionamento della vita politica italiana. La prova elettorale, infatti, confermava la grande forza dei tre partiti di massa (che totalizzavano insieme più del 74% dei voti complessivi), mentre rendeva chiara la limitata consistenza degli altri raggruppamenti di democrazia laica: il meccanismo paritario di distribuzione del potere tra i sei partiti del CLN, che aveva caratterizzato la fase transitoria, non ha più alcuna ragione di esistere. All'»esarchia si sostituisce il »tripartitismo e inizia il confronto diretto tra marxisti e cattolici destinato a segnare tutti gli sviluppi successivi della storia italiana. (14)

Come sappiamo quando l'Assemblea Costituente iniziò la propria attività non disponeva di un progetto di costituzione elaborato in precedenza, intorno a cui avviene il dibattito. Dopo aver provveduto all'elezione del proprio presidente, nella persona di Giuseppe Saragat (15) e del capo provvisorio dello Stato, nella persona di Enrico De Nicola (16), uno dei primi problemi che la Costituente si pose fu quello relativo alla redazione di un progetto di Costituzione organico e articolato. Fu nominata pertanto una commissione di 75 membri, affidati alla designazione del presidente dell'Assemblea, con il rispetto della proporzionalità tra i diversi gruppi parlamentari. Questa commissione per la Costituzione doveva redigere uno schema, che l'Assemblea avrebbe, poi, esaminato con discussione generale, con discussioni generali parziali sui vari titoli e con discussioni articolo per articolo.

La commissione fu insediata il 19 luglio ed iniziò i propri lavori scegliendo come presidente Meuccio Ruini che era uno dei leader di Democrazia del lavoro e godeva anche di un indiscusso prestigio come tecnico presso tutte le forze politiche. Per favorire la speditezza dei lavori e l'approfondimento dei vari temi, Ruini propose sulla scorta dell'esempio della Costituente francese, di suddividere la commissione in più sottocommissioni con una ripartizione di competenza per materie. Si giunse così alla formazione di tre sottocommissioni (17): la prima - composta di 18 membri e presieduta da Tupini - per i »diritti e doveri dei cittadini ; (18) la seconda - composta di 38 membri sotto la presidenza di Terracini - per »l'organizzazione costituzionale dello Stato ; (19) la terza - con 18 membri e la presidenza di Ghidini - per »i lineamenti economici e sociali . (20)

Avviati i lavori, si constatò che l'attività della prima sottocommissione veniva molto spesso a intersecarsi con quella della terza: pertanto si provvide (ottobre 1946), alla costituzione di un comitato di coordinamento, sempre presieduto da Ruini, con la funzione di armonizzare i testi elaborati dalle due sottocommissioni.

Questo organo fu poi trasformato (novembre 1946) in un comitato di redazione (detto anche »comitato dei 18 ) (21), con il compito di procedere al coordinamento di tutti i testi di volta in volta elaborati dai vari organi interni della commissione e alla stesura del progetto finale. Il comitato di redazione diventerà il vero organo motore della Costituente. (22)

4. IL DIBATTITO ALLA COSTITUENTE SULLA REGOLAZIONE DEL PARTITO POLITICO

Il tema dei partiti, in sede di Assemblea Costituente, fu introdotto dai lavori della prima sottocommissione; e dalle discussioni che ne hanno animato le sedute del 15 e del 20 novembre 1946, un dibattito oscillante »tra una diffusa preoccupazione di salvaguardia della più integrale autonomia e la esplicita richiesta di istituzionalizzazione del partito, colto come il nuovo fulcro del sistema democratico (23)

Infatti in sottocommissione fu prospettato questo problema: che cosa si dovesse intendere per »metodo democratico ; se cioè l'espressione avesse valore esterno, riguardo alla competizione dei partiti da svolgersi con metodo democratico o se invece il metodo democratico dovesse essere affermato ed esercitato anche nell'ambito della vita dei partiti, considerato cioè come un principio imprescindibile per la struttura interna di ogni partito politico. (24) Gli onn. Togliatti e Marchesi (25) si opposero a questo secondo criterio i cui sostenitori furono i deputati Umberto Merlin e Pietro Mancini che proposero alla Commissione il seguente testo: »I cittadini hanno diritto di organizzarsi in partiti politici che si formino con metodo democratico e che rispettino la dignità e la personalità umana, secondo i principi di libertà ed uguaglianza. Le norme per tale organizzazione saranno dettate con legge particolare . (26) In particolare l'on. Togliatti affermò: »Domani potrebbe svilupparsi un movimento nuovo, anar

chico, per esempio. Io mi domando su quali basi si dovrebbe combatterlo. Sono del parere che bisognerebbe combatterlo sul terreno della competizione democratica, convincendo gli aderenti al movimento della falsità delle loro idee. Ora non si potrà negargli il diritto di esistere e di svilupparsi, solo perché rinunzia al metodo democratico . (27)

Quindi la formulazione Merlin-Mancini, a parere dei deputati Marchesi e Togliatti, subordinando la concessione del diritto di organizzazione ai partiti politici »che si formino con metodo democratico e rispettino la dignità e la personalità umana , sembrava sancire il controllo ideologico sui partiti.

Durante la discussione generale del 21 maggio 1947, in Assemblea Costituente, sul titolo IV, l'on. Ruggiero osservò: »L'on. Togliatti affermava così il principio imprescindibile della libertà di riunione di tutti i cittadini, però, naturalmente, implicitamente anzi, riconosceva il diritto anche alla esistenza delle formazioni antidemocratiche. E per far valere la sua tesi faceva rilevare che sarebbe leso quello che è il sacro principio dell'associazione da parte di tutti i cittadini, nel caso in cui venisse imposto il metodo democratico anche nell'interno dei partiti . Poi l'on. Ruggiero affermò di non essere d'accordo con l'on. Togliatti, sia perché non sarebbe giusto tutelare e garantire il diritto di libertà di associazione nei confronti di coloro che spontaneamente, con una forma di cosciente, volontaria, deliberata abdicazione, vi avessero rinunciato, sia perché non si avrebbe nessuna garanzia di democraticità da parte di gruppi di persone le quali difficilmente potrebbero rinunciare al metodo antid

emocratico una volta che avessero adottato il principio dell'antidemocraticità nella struttura interna: »se l'associazione ha fini antisociali o antigiuridici, o contrari ai principi del diritto e dell'etica, essa non ha diritto di esistere: quindi se si riconosce che una formazione sociale è antidemocratica, cioè costituisce una minaccia immanente all'apparato democratico della vita nazionale e non persegue un fine legittimo o giuridico, per questa ragione l'eventuale soppressione di questa formazione non costituisce lesione di diritto . (28)

Come vediamo, i presentatori dei testi presi a base della discussione della I Sottocommissione che elaborò il testo che, sottoposto all'approvazione dell'Assemblea Costituente, divenne l'art. 49 della Costituzione, furono chiaramente convinti di una necessaria correlazione tra riconoscimento e responsabilità dei partiti. Una conferma di ciò possiamo averla dall'analisi della discussione del 20 novembre intorno al testo dell'art. 4 proposto dal socialista Lelio Basso: »Ai partiti politici che nelle votazioni pubbliche abbiano raccolto non meno di cinquecentomila voti sono riconosciute, fino a nuove votazioni, attribuzioni di carattere costituzionale, a norma di questa costituzione, delle leggi elettorali e di altre leggi . (29)

La presentazione dell'art. era ispirata da una volontà di reazione contro il sistema politico e la realtà dei partiti dell'Italia pre-fascista. Basso inseriva la sua proposta in »un evidente processo di trasformazione delle nostre istituzioni democratiche per cui alla democrazia parlamentare, non più rispondente alla situazione attuale, si è venuta sostituendo la democrazia dei partiti . Egli fissava nel 1919 l'anno del »trapasso in concomitanza con l'adozione del sistema proporzionale. Da allora il deputato non è più legato ai suoi elettori, ma al suo partito e aggiungeva, »la lotta democratica, anziché all'interno del Parlamento si stabilisce all'interno dei Partiti . Inoltre: »Il principio del riconoscimento ai partiti di attribuzioni di carattere costituzionale rappresenta una specie di avviamento a superare tutte le forze di tipo puramente individualistico antiquato con una nuova concezione di democrazia di partiti, e pertanto deve trovare posto in una formula della Costituzione . (30)

Le argomentazioni di Basso non trovarono pregiudizialmente ostili i membri della sottocommissione.

Il deputato Togliatti che si era dichiarato contrario alla proposta Merlin-Mancini fu favorevole al testo Basso integrato con una norma che proibisse la riorganizzazione del partito fascista. (31)

Come possiamo vedere dal resoconto sommario, oltre ai consensi da parte comunista, vi furono anche quelli dei rappresentanti cattolici: La Pira »dichiara di accedere in linea di principio alla tesi dell'on. Basso, perché essa corrisponde ad una visione organica dello stato attuale ed anche ad una particolare concezione della dottrina cattolica. Per quanto riguarda invece le attribuzioni da darsi ai partiti e il numero di voti che ne definisca la consistenza, è del parere di rinviare la materia all'esame della II Sottocommissione. La prima Sottocommissione deve limitarsi ad affermare il principio che ogni partito legalmente costituito ha una rilevanza costituzionale (32). Aldo Moro, stando al resoconto sommario, »dichiara di concordare con l'on. Basso sul principio che la nostra democrazia si debba avviare verso le forme organiche da lui prospettate, ma ritiene che nel porre queste affermazioni sorgano numerosi problemi che la Commissione non può risolvere per ragioni di competenza. Ad esempio, il ricono

scimento della funzione costituzionale dei partiti presuppone la soluzione del problema della personalità giuridica che ad essi non è stata ancora riconosciuta. Propone pertanto che la commissione si limiti a formulare una norma semplicissima la quale dica che ai partiti, nelle condizioni previste da questa stessa Costituzione, sono conferite quelle funzioni costituzionali che la Costituzione crederà di deferire ad essi . E' anche parere dell'on. Moro »che la seconda Sottocommissione dovrà definire le condizioni in presenza delle quali queste funzioni possono essere attribuite e determinare quali funzioni costituzionali debbono essere attribuite ai partiti stessi . (33)

Dossetti, come riportato dal resoconto sommario, dichiara »di considerare la norma in esame fondamentale per la Costituente. Riconosce che l'onorevole Basso, affermando che la determinazione dei compiti costituzionali dei partiti deve essere effettuata in base a risultati elettorali, si è riferito all'unico criterio oggettivo per stabilire quali parti avessero diritto al riconoscimento costituzionale; ma teme che tale criterio sia inadeguato e pericoloso, e che la norma possa portare a conseguenze più vaste di quelle previste dal proponente stesso, dicendo troppo poco e insieme troppo, poiché essa non determina quali debbono essere le funzioni dei partiti, e nello stesso tempo fa pensare che le sue applicazioni possano essere così vaste da escludere dalla vita politica tutti gli altri partiti che non abbiano realizzato il minimo di voti richiesto . (34)

Caristia »ritiene che il presupposto fondamentale per accordare funzioni costituzionali ai partiti sia quello di riconoscere ad essi la personalità giuridica, ma non crede sia opportuno accordare in questa sede tale riconoscimento . (35)

Voci di opposizione provenivano, però, dal mondo liberale, ma esse si limitavano a riproporre il partito come soggetto di mero diritto privato e, per questo, impossibilitato ad assumere funzioni costituzionali. Ad esempio, Mastrojanni si dichiarava decisamente contrario a qualsiasi affermazione sull'argomento, perché ne intravedeva pericoli che inciderebbero sui principi stessi della democrazia. Una tale affermazione tenderebbe a rafforzare i partiti di massa i quali manterrebbero stabilmente la loro posizione e influirebbero costantemente su tutti gli organismi della vita nazionale, riesumando il sistema fascista. Egli aggiungeva che, con l'applicazione della norma proposta, le funzioni parlamentari verrebbero svuotate, poiché i partiti, avendo la possibilità di intervenire con funzioni istituzionali nella vita politica del paese, si sostituirebbero agli organi parlamentari ed amministrativi, e i deputati diventerebbero dei dipendenti dei partiti dovendo rispondere a questi dell'esercizio del loro manda

to. (36) L'on. Basso »replica facendo presente all'on. Mastrojanni che, quando si parla di democrazia, non bisogna pensare a quella certa forma di regime politico che per molto tempo è stato definito come democrazia, ma che non lo è. Tale forma di regime è stata condannata dalla storia, e oggi si è entrati in una fase in cui non vi è dubbio che la vita politica si va fissando in nuove forme strutturali. Basso ribadisce che tale vecchia forma di democrazia è finita nel 1919 con l'abbandono delle elezioni a sistema uninominale per adottare quelle a sistema proporzionale. Affermare che la norma in discussione uccide la democrazia è perciò un non senso storico, poiché proprio attraverso questa forma di democrazia di partito si sono cominciati ad eliminare i difetti della democrazia. E' chiaro che oggi il parlamentarismo come lo si intendeva una volta non si potrà più riprodurre, poiché il deputato non è più legato ai suoi elettori, ma al suo partito. Ciò presuppone l'esistenza di una disciplina di partito, ma il

deputato è libero nell'espletamento del suo mandato. Ritiene, quindi, ingiustificata la preoccupazione che la norma possa cristallizzare la vita politica del Paese, e non vede i pericoli prospettati dall'on. Dossetti, poiché nello spazio che intercorre tra una elezione e l'altra, tutti i partiti potranno formarsi, vivere e lottare senza che vi sia alcuna limitazione alla loro attività. Dopo cinque anni, il partito che avrà ricevuto un determinato numero di voti potrà ottenere che gli siano riconosciuti funzioni costituzionali (37).

Successivamente, Mastrojanni fa osservare all'onorevole Basso »che il suo concetto della democrazia è per lo meno prematuro, poiché l'Assemblea Costituente solamente da sei mesi sta sperimentando le sue funzioni, e pertanto non comprende come si possa, in base ad un esperimento così breve, affermare nella costituzione un principio che risponde a un desiderio dell'onorevole Basso, ma non rappresenta la realtà dei fatti .(38)

Infine, il Relatore Merlin Umberto »informa di aver considerato, insieme al correlatore Mancini, l'articolo dell'on. Basso e dichiara che entrambi non hanno ritenuto di poterlo accettare, anzitutto per i dubbi che potevano sorgere circa il limite di cinquecentomila voti, e in secondo luogo perché si è pensato che tutto quanto riguarda l'organizzazione e il riconoscimento dei partiti dovesse formare oggetto di una legge speciale e non di una norma costituzionale . (39)

Come abbiamo visto, la proposta Basso non suscitò forti opposizioni e fu bloccata solo dalle incertezze sulla formulazione tecnica dell'articolato che consigliavano alla I Sottocommissione di accantonare temporaneamente il problema in sede di riunione congiunta con i membri della II Sottocommissione, ai fini di un miglior coordinamento. La riunione congiunta non venne mai svolta, e di conseguenza il problema lo ereditò l'Assemblea. Ad essa fu sottoposto l'art. 47 che poi sarebbe diventato l'art. 49 della costituzione che così recita: »Tutti i cittadini hanno diritto di organizzarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale . Quando l'Assemblea Costituente prese in esame questo art. del progetto di Costituzione (22 maggio 1947) la situazione politica era sostanzialmente modificata: pochi giorni dopo, il quarto Ministero De Gasperi sanzionava la rottura della Democrazia cristiana con le sinistre. Un'atmosfera di diffidenza caratterizzò, quindi, la disc

ussione in aula del testo dell'articolo tanto più che la presentazione di alcuni emendamenti dimostrò la tendenza ad estenderne la portata al controllo ideologico dei partiti.

In particolare il deputato Mortati presentò un emendamento sostitutivo concordato con l'on. Ruggiero: »Tutti i cittadini hanno diritto di riunirsi liberamente in partiti che si uniformino al metodo democratico nell'organizzazione interna e nell'azione diretta alla determinazione della politica nazionale . Così il metodo democratico, evocato dall'art. 49, veniva richiesto non solo in una dimensione esterna, in rapporto all'operare dei partiti nella scena politica, ma anche nella loro stessa vita interna. (40) Il deputato Mortati aveva originariamente presentato il seguente testo: »Tutti i cittadini hanno diritto di raggrupparsi liberamente in partiti ordinati in forma democratica, allo scopo di assicurare, con la organica espressione della varie correnti della pubblica opinione ed il concorso di esse alla determinazione della politica nazionale, il regolare funzionamento delle istituzioni rappresentative. La legge può stabilire che ai partiti in possesso di requisiti da essa fissati ed accertati dalla Cor

te costituzionale, siano conferiti propri poteri in ordine alle elezioni o ad altre funzioni di pubblico interesse. Può inoltre essere imposto, con norme di carattere generale, che siano resi pubblici i bilanci dei partiti . (41) Per quanto riguarda questo ultimo punto, va sottolineato che è la prima volta che viene proposta la pubblicità dei bilanci dei partiti. Tale proposta di M. non ebbe però alcuna eco nelle discussioni della costituente. Ciò dipende dal fatto che l'esperienza politica del tempo pone di fronte all'Assemblea Costituente un modello di partito nel quale il volontarismo diffuso e le limitate strutture organizzative fanno sì che risultino sufficienti i mezzi derivanti dai contributi dei tesserati e dei simpatizzanti. Questa potrebbe essere una spiegazione parziale nel senso che si andava formando una concezione del partito alquanto diversa che vedremo meglio sviluppata negli anni successivi. Tuttavia la proposta di M. è il preannuncio del dibattito sul finanziamento pubblico dei partiti che

solo successivamente si aprirà. Il M. ritirerà l'emendamento e lo sostituirà con un altro formulato con l'on. Ruggiero che ritirerà anche il suo. Simili erano gli emendamenti Mastino (42) e Sullo (43), mentre quello dell'on. Bellavista, aggiuntivo, diceva: »Le leggi della Repubblica vietano

la costituzione di partiti che abbiano come mira la instaurazione della dittatura di un uomo, di una classe o di un gruppo sociale, o che organizzano formazioni militari o paramilitari . (44)

L'on. Bellavista sosteneva che il suo emendamento atteneva non tanto alla strumentalità del partito, quanto alla sua funzione, al suo scopo. Infatti, non va dimenticato che alcuni partiti sono arrivati al potere in forma perfettamente democratica, ma, una volta impadronitisi del potere, hanno instaurato la più feroce, la più durevole delle dittature. E' il caso di Hitler in Germania, è il caso di Mussolini in Italia...»Noi dobbiamo premunirci contro il ritorno della dittatura ed essere espliciti non soltanto quanto alla strumentalità ma quanto alla finalità che un partito può proporsi . (45)

Venne presentato, inoltre, un emendamento aggiuntivo da parte degli onn. Clerici, Pignedoli, Franceschini, Sullo, Codacci Pisanelli, Bovetti, Foresi, De Palma, Coppi, Benvenuti, Mastino Gesumino, del seguente tenore: »La carriera di magistrato, di militare, di funzionario ed agente di polizia e di diplomatico, comporta la rinunzia alla iscrizione a partiti politici . (46)

Il relatore on. Merlin replicò dicendo che la Commissione, proponendo l'articolo, aveva voluto riconoscere una realtà obiettiva già esistente considerata l'influenza notevole che i partiti esercitano oggi nella vita del Paese, ma che era la prima volta che in una Carta Statutaria venivano introdotti i partiti con una propria fisionomia, con la possibilità quindi, di poter avere domani anche compiti costituzionali, mentre dalla Costituente francese una analoga disposizione fu respinta. Ma gli sembrò eccessivo volere interferire nell'organizzazione interna dei singoli partiti, anche per le difficoltà pratiche che vi si frapponevano. (47) In sede di dichiarazione di voto l'on. Laconi tiene a far presente all'Assemblea che »l'approvazione degli emendamenti proposti sarebbe di enorme danno per lo sviluppo della democrazia italiana e per il libero svolgimento della vita interna dei partiti . (48) L'on. Codignola, allo stesso modo, pensava che l'emendamento Mortati-Ruggiero dovesse essere respinto, poiché »se p

assasse questo emendamento, noi verremmo a sopprimere una delle garanzie fondamentali della vita democratica del Paese verrebbe, infatti trasferito il giudizio sulla democraticità interna dei partiti dalla sede costituzionale alla sede politica, e cioè alla maggioranza parlamentare, o peggio ancora al Governo, espressione di questa maggioranza parlamentare, che verrebbe in qualsiasi momento a disporre dei poteri di intervenire arbitrariamente sulla vita democratica del paese e nella vita democratica del paese e nella vita interna dei partiti di qualsiasi settore . (49) L'on. Lucifero, infine, fece presente che »avrebbe votato contro l'articolo in qualsiasi testo formulato, poiché era contrario allo spirito di esso e a quella futura funzione costituzionale dei partiti, prevista dal relatore, che contrastava con la loro naturale funzione che è quella politica, e che qualsiasi limite imposto al diritto di associazione (sancito nell'art. 18) avrebbe costituito violazione al diritto stesso perché il voler fare un

a particolare menzione di partiti politici, in una particolare sede, con delle particolari definizioni, vuol dire porre a queste particolari associazioni politiche di liberi cittadini delle limitazioni alla loro libertà . (50)

Intanto, durante tutto il dibattito in sede di Assemblea, l'on. Mortati difese con grande energia la sua proposta, ribadendo che la Carta disponeva la democraticità »non solo nell'organizzazione dei poteri statali, ma anche in tutti gli organismi inferiori di carattere non solo pubblico ma privato... . Sarebbe, infatti, assai strano prescindere da questa esigenza di democratizzazione proprio nei riguardi dei partiti, che sono la base dello Stato democratico. Specificò in cosa dovesse consistere il conformarsi alle regole democratiche (dispositivo degli Statuti, rispetto delle minoranze), individuando nella Carta costituzionale e in un nuovo organismo formato dalle rappresentanze dei partiti esistenti, la struttura preposta al controllo. Le proposte di Mortati erano senza dubbio perfettibili sotto il profilo tecnico, ma non fu questo che suscitò l'opposizione dell'Assemblea. Piuttosto fu contestato il principio per cui la vita interna dei partiti potesse essere soggetta ad una qualche forma di controllo.

(51)

Le preoccupazioni, come abbiamo visto, già espresse in sede di sottocommissione nel dibattito del 15 nov., si ripresentarono amplificate in Assemblea costituente, su di esse influiva anche il clima in cui si svolse la discussione, con la rottura ormai nell'aria tra le forze che avevano dato vita al governo. Così i consensi necessari all'approvazione della proposta parvero mancare e Mortati fu indotto a ritirare l'emendamento. Ma prima di fare ciò ribadì come: »...uno Stato, il quale voglia poggiare su basi saldamente democratiche, non possa tollerare organismi politici che non si ispirino, anche nella loro struttura interna a sistemi e a metodi di libertà . (52)

Fatto proprio dal deputato Bellavista, che aveva dimostrato di interpretare estensivamente la norma, l'emendamento Mortati non fu approvato dall'Assemblea, che votò il testo del progetto, con una sola modificazione di pura forma (»riunirsi al posto di »organizzarsi , poi in sede di coordinamento mutato in »associarsi ), nella formulazione che divenne poi l'art. 49 della Costituzione: »Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale .

Rimane così chiarito che il valore delle parole »con metodo democratico si deve intendere nel significato esterno e non riferito al sistema di organizzazione interna dei partiti, i quali dovranno, quindi, »nel certame delle idee , seguire il metodo della democrazia e del rispetto delle leggi sulle quali essa si fonda. Ma quelle associazioni che con organizzazione anti-democratica perseguissero fini non leciti verrebbero colpite a norma del Codice penale nel momento stesso in cui l'azione anti-democratica da interna divenisse esterna. La Costituzione ha voluto evitare, sostanzialmente che l'attività di ogni partito fosse oggetto di un controllo statale, il che sarebbe stato difficile, ma anche pericoloso; ciò è evidente se si considera che, a norma dell'art. 49, non si è voluto accedere al riconoscimento giuridico dei partiti. (53)

 
Argomenti correlati:
finanziamento pubblico
craveri piero
togliatti palmiro
mortati costantino
stampa questo documento invia questa pagina per mail