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Sabatino Rosanna - 3 marzo 1994
(3) IL FINANZIAMENTO PUBBLICO DEI PARTITI NELL'ITALIA REPUBBLICANA
di Rosanna Sabatino

UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI NAPOLI "FEDERICO II"

FACOLTA' DI LETTERE E FILOSOFIA

CORSO DI LAUREA IN LETTERE MODERNE

TESI DI LAUREA IN STORIA DELLE ISTITUZIONI PARLAMENTARI

IL FINANZIAMENTO PUBBLICO DEI PARTITI NELL'ITALIA REPUBBLICANA

RELATORE: Prof.PIERO CRAVERI

CANDIDATA: ROSANNA SABATINO

ANNO ACCADEMICO 1992/93

CAPITOLO SECONDO

PARTITI - APPARATI PARTITOCRAZIA

SOMMARIO. Nella premessa, si ricorda come la Costituzione, "nonostante faccia espresso riferimento ai partiti, non ne indica la natura giuridica"; pertanto, a differenza dei sindacati, i partiti italiani sono semplici "associazioni" di cittadini. Vengono quindi (par.1) esaminate le critiche formulate alla struttura partitica negli anni '50-'60, quando peraltro sia la DC che il PSI vengono evolvendo forme organizzative sempre più chiuse e "integrali". Si riferiscono le osservazioni di Maranini, di Silone, di De Caprariis, di Sturzo. Un particolare esame viene dedicato alla proposta di legge presentata dal sen. Sturzo (che aveva un precedente nel progetto di Mortati del 1945, di cui si dà una rapida sintesi) sul tema del finanziamento e in generale della moralizzazione dei partiti. Nel 1963, la DC tiene quindi un convegno sul tema, di cui è relatore l'on. Taviani e cui portano contributi il prof. Elia, l'on. Galloni, l'on. Scelba, ecc. Alle tesi della DC replicano o fanno seguito Togliatti, lo stesso

Maranini, Marco Cesarini, Franco Libonati su "Il Mondo", A.C.Jemolo, ecc.

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L'art. 49 della Costituzione, nonostante faccia espresso riferimento ai partiti politici, non ne indica la natura giuridica, né i fini concreti in vista dei quali sono previsti e garantiti.

In base a tale articolo, tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale. La norma, infatti, non dice che cosa essi siano: se soggetti di fatto o di diritto, se soggetti di diritto pubblico o privato. (1)

A differenza di quanto è stabilito per i sindacati, in ordine ai partiti politici la Costituzione si limita a prescrivere il rispetto del metodo democratico. Per i sindacati che registrati, secondo l'art. 39 della Costituzione, hanno personalità giuridica, il riconoscimento è subordinato all'adozione di uno statuto interno a base democratica. Per i partiti non si rinvengono espliciti riferimenti agli statuti, cioè al complesso delle norme che ne regolano la vita interna.

»La differenza si spiega tenendo conto che ai sindacati, soggetti a competenza particolare, è riconosciuto il potere di porre in essere dei contratti collettivi di lavoro, cioè atti che hanno una propria rilevanza giuridica mentre i partiti, pur avendo una competenza politica generale, non possono autonomamente porre in essere atti costitutivi dell'ordinamento giuridico . (2)

Tradizionalmente la dottrina, non solo quella civilistica ma anche quella pubblicistica, parte dalla definizione dei partiti quali »associazioni di fatto , (3) poiché il vigente ordinamento non contiene disposizioni sull'acquisizione, da parte dei partiti stessi, della personalità giuridica. Essi vanno considerati enti di natura associativa, fondati cioè sul principio dell'associazione, (4) con struttura organizzativa e scopo predeterminato; e vivono nel mondo del diritto come soggetti di diritti e di obblighi. Non essendo costituiti in persona giuridica ad essi va applicata la disciplina prevista dal codice civile per le associazioni non riconosciute.

Inoltre il partito politico può essere considerato ente strumentale del popolo perché è il popolo ovvero una parte di esso che lo istituisce. Lo Stato infatti col suo ordinamento si limita a provvedere e a garantire il concorso, con metodo democratico, nella determinazione della politica nazionale, di una pluralità di partiti. Lo Stato quindi, non crea i partiti, né se ne avvale per la realizzazione dei suoi scopi. Mentre è il popolo che li crea e li utilizza per esercitare la funzione che gli è propria. (5)

Per quanto riguarda la struttura, il partito politico è un'associazione composita e diffusa nel Paese, la quale si manifesta secondo un modello »solare : ha un nucleo centrale da cui si irradiano con varia profondità articolazioni.

In sostanza si tratta »di rappresentanze organizzatorie in sede periferica (le c. d. »associazioni locali di diverso livello: federazioni, comitati, unioni, partiti regionali, consociazioni, sezioni...) o di categoria in ambito nazionale (tradizionalmente: i movimenti giovanili, i movimenti femminili). Vi sono poi le rappresentanze politiche istituzionali: quelle che fanno valere negli organi istituzionali dello Stato le determinazioni del partito . (6)

1. LE CRITICHE AI PARTITI NEGLI ANNI '50 E '60

Nella seconda metà degli anni cinquanta, nel quadro di una nuova temperie politico culturale, si avvertì la necessità di giungere ad una più esatta conoscenza dei profili strutturali e sociologici dei partiti politici e, nello stesso tempo, di creare una coscienza giuridica che prendesse atto del ruolo che essi svolgevano nell'ambito del sistema istituzionale. Diversi fattori conducevano a questa nuova consapevolezza: pensiamo alle svolte che si consumavano sulla scena politica nazionale, dall'avvento di Fanfani e della corrente di »Iniziativa democratica alla "leadership" della Democrazia cristiana, sino agli avvenimenti del V congresso democratico-cristiano tenuto a Napoli dal 26 al 30 giugno 1954 (7) che, come osservavano Negri ed Ungari, sottolinea »il trapasso ideale dalla concezione del partito ereditata dall'antico "popolarismo", di uno strumento "limitato" a funzioni puramente politiche, allo schema dossettiano di un organismo integrale atto a penetrare in profondità in tutti i grandi ambiti del

la vita associata, ad esercitare un rigido controllo sull'azione parlamentare e di governo, a dare corpo a un proprio diretto potere di mediazione e di composizione autoritativa nei conflitti tra le classi o, ancora, alla vittoria dell'apparato morandiano al congresso socialista di Venezia del febbraio 1957 che si poneva »ad emblematico "incipit" del dibattito sull'autoritarismo degli apparati di partito . (8)

Il fallimento della legge elettorale del '53 segna uno spartiacque per la vita politica del paese. Sul piano istituzionale si chiude per oltre un ventennio ogni discussione sugli aggiustamenti di leggi elettorali o su modifiche all'assetto costituzionale.

Dopo il mancato raggiungimento del quorum necessario al conseguimento del premio di maggioranza, il criterio della ripartizione proporzionale degli incarichi pubblici sulla base dei voti riportati da ogni partito del cosiddetto »arco istituzionale si afferma come naturale principio regolatore. (9)

Inoltre dopo il '53 sia nella Democrazia cristiana che nel Partito socialista ci si muove verso una maggiore organizzazione.

Si andava, infatti, diffondendo nella classe politica, nella letteratura scientifica e persino nella opinione pubblica, la convinzione che una democrazia moderna dovesse essere sostenuta da partiti molto ben organizzati, dotati di un ampio apparato, di sezioni diffuse su tutto il territorio nazionale, e di organizzazione collaterali per il tempo libero e lo sport. (10) Per rispondere a questa organizzazione si accentua la tendenza ad addossare i costi dei partiti di governo allo Stato. Sia attraverso l'immissione sistematica di quadri e dirigenti in uffici pubblici, sia con forme di finanziamento occulto attraverso gli enti economici. (11)

Di fronte a questa situazione, il dibattito sul ruolo dei partiti della fine degli anni Cinquanta non produrrà nessun esito riformatore.

Parte di questo dibattito si sviluppava tra il 1957 ed il 1959 sulla rivista di riflessione politica "Tempo presente". Tra i numerosi interventi che evidenziano nelle diverse forze politiche la »progressiva sclerotizzazione delle articolazioni interne, la lentezza e le difficoltà di ricambio delle elites dirigenti e soprattutto, la carenza di democrazia interna , molto significativo appariva quello di Maranini nel quale erano ripresi i punti essenziali della sua proposta. (12)

Secondo il costituzionalista genovese, le origini del fenomeno degenerativo bisognava ricercarle nel fatto che lo Stato liberale, nato come Stato di elites, non ha saputo adeguare le sue dottrine e le sue strutture alle nuove esigenze che scaturivano dalle »dogmatiche della sovranità popolare e dalla introduzione del suffragio universale . (13) Maranini riconosceva nei partiti italiani una tendenza comune a »stalinizzarsi , a sostituire alla volontà della base le decisioni di una oligarchia di funzionari ben organizzata, al libero confronto delle opinioni la cristallizzazione dogmatica. (14)

Egli diceva: »Noi accusiamo due fenomeni gravissimi. Il primo è il trasferimento della sovranità effettiva fuori dagli organi costituzionali, e la sua confisca ad opera di enti che la costituzione nomina, ma che non organizza, né determina, né include nel suo sistema di reciproci controlli. Il secondo fenomeno... è la involuzione dei partiti. L'innaturale trasferimento della sovranità dello stato ai partiti, dopo aver distrutto lo stato, disintegra e falsa i partiti gravati da un peso sproporzionato alle loro informi strutture e alla loro assoluta inefficienza giuridica i partiti... si trasformano... in immobili oligarchie di funzionari. Al partito si sostituisce l'apparato, la burocrazia di partito . (15) Ma il Maranini era convinto che anche alcune gravi disfunzioni dello stato italiano, come lo scrutinio di lista e la proporzionale, avessero permesso tutto questo. Lo scrutinio di lista aveva, infatti, provocato »l'espropriazione degli elettori e la fine della rappresentatività democratica del parlamen

to . La proporzionale (16) e anche lo scrutinio uninominale (17) con ballottaggio avevano causato, con la fine delle maggioranze parlamentari stabili, la fragilità di tutto il sistema politico, »il venir meno di una libera volontà coerente e unitaria al centro del sistema e la sua sostituzione con i contratti privatistici intervenuti fra gli organismi faziosi che controllano i vari settori del parlamento e le varie "delegazioni al governo" .

La partitocrazia era, secondo il Maranini, una delle inevitabili conseguenze del disordine che caratterizzava il governo di assemblea, era »un grossolano e pericoloso correttivo di quel malanno . (18) Per quanto riguarda le soluzioni, egli proponeva l'adozione di severe misure legislative che legittimassero le istituzioni partitiche attraverso quelle stesse »regole e cautele che l'esperienza ha suggerito in confronto a tutti gli organi costituzionali . Ne derivava il disegno di garantire un'effettiva democrazia interna per mezzo di una legislazione ispirata alla tradizione delle »primarie dirette americane, rivolta a sottoporre alla garanzia dello Stato ogni procedura elettorale per le elezioni interne nei partiti. (19)

Ignazio Silone, al pari di Maranini, diceva che la vita politica si era ormai quasi tutta »stalinizzata : »Noi non disponiamo ancora di una studio ampio e approfondito sugli apparati di partito: ma sui caratteri più salienti di questo grosso fenomeno non possono esservi più dubbi... Accade ancora che l'eloquenza dei superstiti notabili domini le sedute plenarie di certi congressi; le sedute delle commissioni e il voto finale sono però determinati dall'apparato... finché il nostro meccanismo democratico sarà articolato principalmente nei partiti e finché i partiti saranno dei carrozzoni rimorchiati dagli apparati, il carattere democratico della Repubblica rimarrà forzatamente limitato, per non dire lettera morta . (20)

Alle stesse conclusioni del Maranini perveniva un altro interprete della vicenda politica italiana di quegli anni, Vittorio de Caprariis, che evidenziava sulle pagine di "Nord e Sud" l'esigenza di una normativa di tipo costituzionale che regolamentasse l'attività dei partiti: »Se è vero - scriveva - che senza una pluralità di partiti non si dà vita politica democratica e che i partiti... svolgano una eminente funzione pubblica, si deve ammettere che è per lo meno assurdo e contraddittorio lasciare tale funzione pubblica completamente abbandonata a se stessa . (21)

Inoltre il de Caprariis sosteneva, in un suo articolo, che il Maranini forse era troppo severo con gli apparati, ma la sua diagnosi era perfetta: »Vi è una carenza istituzionale, una carenza dello Stato, ed a questa si deve porre riparo . (22) Mario Pannunzio, invece, nel suo articolo: »Il problema degli apparati manifestava la convinzione che il problema, nel nostro paese, riguardasse la vita stessa dei partiti, il regime dei partiti come associazioni private appena riconosciute dalla Costituzione. Infatti egli diceva che considerati come associazioni private, i partiti sembra che godano di una libertà smisurata, ma guardando »dietro le quinte si scopre che essi sono condizionati da forze esterne: »Di fronte alle spese enormi delle campagne elettorali, della propaganda normale e straordinaria, della stampa periodica, di fronte al costo degli apparati, ogni intransigenza morale e politica finisce per essere annullata almeno in parte da volontà esterne . (23)

Infine Sturzo, a differenza di altri critici della partitocrazia - che, come abbiamo visto, ne ricollegavano l'affermazione al sistema elettorale proporzionale - ravvisava nella riforma delle procedure parlamentari del 1920 il primo riconoscimento di un »diritto d' ingerenza dei partiti nelle istituzioni rappresentative: »L'errore dei partiti modernissimi - scriveva nel 1953 - è quello di volere ingerirsi nell'andamento amministrativo e governativo del paese... . (24)

»La partitocrazia - scriveva ancora nel 1957 - è uno dei più gravi effetti della mancanza del senso del limite... l'esatto opposto di quel delicato equilibrio che Sturzo vedeva incarnato soprattutto nel modello britannico: ne discendeva la partecipazione e la sovrapposizione dei partiti negli affari dello Stato, nella amministrazione della cosa pubblica, nella legislazione parlamentare, come corpo che decide senza responsabilità lasciando al governo e al parlamento niente altro che l'esecuzione delle formalità legali . (25)

2. LA PROPOSTA STURZO

L'esito necessario di quella "meditazione a più voci" della fine degli anni Cinquanta, fu un vasto »movimento dottrinale per la disciplina dei partiti politici che avrebbe ispirato le prime concrete proposte normative, a partire dal progetto Sturzo che giungeva in Senato il 16 settembre 1958.

La proposta portava questo titolo: »Disposizioni riguardanti i partiti politici e i candidati alle elezioni politiche e amministrative . Essa non divenne legge e sarà successivamente ripresentata alla Camera dal deputato D'ambrosio l'11 nov. 1961, ma non avrà sorte migliore. Tuttavia la proposta di legge Sturzo non giungeva inattesa, ed aveva il merito di porre in relazione l'esigenza di moralizzazione della vita pubblica con la necessaria regolamentazione giuridica della figura e dell'attività dei partiti. (26)

Infatti il senatore Sturzo chiarì ampiamente, nella relazione che accompagnava la proposta, che ciò che lo guidava era un costante riferimento all'esigenza di moralizzare la vita pubblica e le campagne elettorali contro l'eccessivo dispendio di mezzi finanziari e l'abuso di strumenti organizzativi; ciò portava alla degenerazione delle procedure elettorali, basate sui voti di preferenza e trasformate, per la mancanza di limitazioni alle spese elettorali, in lotta aperta tra candidati "senza risparmio di colpi", con conseguente coartazione del corpo elettorale e deformazione dei suoi orientamenti. (27)

Per ottenere questi scopi di moralizzazione, lo S. riteneva che bisognasse anzitutto affrontare il problema giuridico della figura e della attività dei partiti; evidenziava, cioè, la preliminare esigenza di una chiara definizione dello »status del partito sul terreno del diritto privato, cioè a dire del riconoscimento della sua personalità giuridica. L'acquisto della personalità giuridica era previsto dall'art. 1, a seguito e per effetto del semplice deposito dello Statuto e delle sue eventuali successive modificazioni, firmato dal presidente e dal segretario generale, presso la cancelleria del tribunale competente per territorio. (28) La registrazione doveva avvenire senza intervento di autorità politiche o amministrative, né erano concessi poteri discrezionali di accertamento valutativo alla autorità giudiziaria.

Il partito acquista così una capacità patrimoniale e processuale attiva e passiva e piena responsabilità verso i propri iscritti come verso i terzi.

La proposta dettava una serie di divieti sulle opportunità concesse ai partiti di ricevere contributi. Inoltre S. individuava nella lotta per le preferenze la causa prima della degenerazione e si proponeva di impedire agli apparati di Partito di giocare un proprio ruolo nello scontro elettorale tra i candidati. A questi ultimi era fatto obbligo di presentare alla cancelleria del tribunale il bilancio della propria campagna elettorale, mentre venivano fissati dei tetti massimi di spesa per ogni candidato.

Il progetto tendeva a dare ai partiti una struttura molto simile a quella che il codice assegna alle società commerciali. Vi si descriveva, accanto a quello dello statuto previsto per il riconoscimento giuridico, il deposito annuale di un rendimento delle entrate e delle uscite. Questo obbligo di pubblicità del bilancio, in cui dovevano comparire distinti i contribuenti ordinari da quelli straordinari, si proponeva di indurre i partiti a rinunciare a quei finanziamenti che lo S. definiva provenienti da »fonti impure . Finanziamenti che, inoltre, la proposta S. vietava attraverso la formulazione di un elenco di fonti illecite di contribuenti. Tale divieto si riferiva a »finanziamenti che, per la loro origine e per il loro carattere particolare attenuerebbero la libertà politica dei partiti, poiché li renderebbero consociati a determinate finalità o renderebbero i partiti conniventi in atti illeciti o discutibili per gli enti finanziatori e per gli interessi particolari che da tali enti si intendono assicu

rare . (29)

I contributi cui i partiti dovevano rinunciare erano quelli provenienti da enti pubblici (ministeri, enti statali e locali, banche, consorzi, federazioni, sindacati, società commerciali) nonché da società che, come tali, sono tassate in base al bilancio.

Si stabiliva, inoltre, l'obbligo di una particolare contabilità e rendiconto per le spese elettorali, si davano norme per i candidati sia alle elezioni comunali che a quelle regionali e nazionali, nel senso che essi sarebbero tenuti a dare un rendiconto delle spese effettuate, delle offerte ricevute, con un limite prestabilito che non poteva essere superato senza ricorrere in sanzioni. Spiegava lo S. che »il limite delle spese elettorali è necessario per evitare che coloro che sono ben forniti di reddito proprio e di amicizia di persone danarose possano usare il denaro per attirare ammirazione, simpatie e voti a danno di coloro che non si trovano nelle stesse condizioni di agiatezza e di ricchezza, a parte coloro che sanno procurarsi larghi consensi con favori non sempre limpidi e confessabili . (30)

L'art. 7 del progetto attribuiva al cittadino la facoltà di prendere visione degli atti depositati in cancelleria e di fare denunzia al magistrato delle presunte violazioni di legge. I rendiconti presentati venivano equiparati ad atti pubblici e l'occultamento della verità per omissioni e per variazioni di cifre era reputato agli effetti penali come falso in atto pubblico. (31)

Il disegno di legge Sturzo aveva un suo remoto antecedente nel progetto Mortati del 1945 che è parte a sé nella breve cronaca delle proposte miranti a dare una disciplina legislativa alle istituzioni partitiche nel dopoguerra. La sua particolarità sta nel riferimento alla posizione del partito politico in un particolare momento, il periodo preelettorale, e nell'avere come oggetto la disciplina del procedimento di scelta dei candidati nella elezione dei deputati per la Costituente. (32) Il progetto veniva predisposto dal Mortati in epoca, quindi, anteriore alla Costituzione e questo aspetto lo pone sotto una luce particolare; esso reca un suggestivo adattamento alla situazione politica ed alla tradizione giuridica italiana del sistema americano delle primarie. (33)

»La proposta aveva una sua giustificazione contingente: la realtà interna dei partiti, che in alcuni casi uscivano dal lungo tunnel della clandestinità e dal fuoriuscitismo, in altri si erano storicamente strutturati nell'immediato post-fascismo, si presentava assai fluida. In alcuni casi i modelli comportamentali non erano determinati né da statuti né da consuetudini consolidatesi nel tempo . (34) Mortati fissava negli articoli iniziali del progetto una serie di requisiti ai quali l'ordinamento di ogni partito avrebbe dovuto obbligatoriamente rispondere e conseguentemente individuare una commissione mista formata da esponenti del potere politico, del potere giudiziario e del mondo accademico, cui affidare il compito di verificare il possesso dei requisiti richiesti. (35)

La proposta si caratterizzava infine, come abbiamo già detto, per l'attenzione rivolta a quella particolare fase della vita del partito costituita dal momento preelettorale. Qui Mortati immaginava delle vere elezioni primarie come quelle previste dalla legislazione di alcuni Stati americani, con designazione di delegati di primo e secondo grado, attraverso le quali integrare la scelta dei candidati espressa dalla direzione dei partiti con le indicazioni provenienti dalla base. (36)

Le opportune garanzie di pubblicità del procedimento venivano soddisfatte prevedendo la partecipazione alle assemblee di un notaio, con il compito di stendere il processo verbale della seduta. Il procedimento da seguire nella designazione dei candidati è preciso: dopo il riconoscimento del diritto alla presentazione di una lista propria, la direzione di ogni raggruppamento deve convocare entro un dato termine i propri iscritti, che siano elettori, in ogni sezione in assemblea plenaria. Gruppi di elettori in numero non inferiore a 30 hanno facoltà di presentare alla direzione di circoscrizione di uno dei raggruppamenti, anche se non siano ad essi iscritti, nomi di candidati, proponendone l'inclusione nelle liste.

Non è peraltro questa l'unica forma di designazione prevista: la direzione di ogni raggruppamento può a sua volta proporre propri candidati. »Una volta costituitasi l'assemblea di sezioni, si procede ad apposita votazione su ognuna delle varie proposte di candidatura. I candidati che abbiano raccolto la maggioranza assoluta dei voti formeranno la lista di ogni sezione. Con l'osservanza di disposizioni altrettanto precise si procede successivamente alla nomina dei delegati che procederanno alla redazione della lista definitiva del raggruppamento . (37)

3. IL PROBLEMA DELLA SOVVENZIONE STATALE ALLE FORZE POLITICHE E IL TERZO CONVEGNO NAZIONALE DEMOCRISTIANO DI SAN PELLEGRINO

In Italia, il problema della sovvenzione statale alle forze politiche è stato per la prima volta affrontato nelle sue complesse determinanti e nelle sue molteplici dimensioni in un convegno di studi della democrazia cristiana tenuto nel 1963. (38)

Si trattava del terzo convegno nazionale di studio della Democrazia cristiana sul tema generale »Partiti e Democrazia svoltosi nel salone superiore del Kursaal di San Pellegrino Terme dal 13 al 16 settembre 1963. In precedenza, l'argomento era stato trattato durante un congresso del partito comunista a Milano e in sporadiche dichiarazioni di uomini politici (ad esempio Lelio Basso e Giuseppe Pella) ma non si era mai andati al di là di un'affermazione di principio.

A San Pellegrino invece la tesi del finanziamento dei partiti, giudicato indispensabile per moralizzare la vita pubblica, costituì uno dei temi principali della relazione introduttiva dell'onorevole Taviani (tenuta nel pomeriggio del giorno 13 sett., dopo le parole di apertura pronunciate dall'on. Scaglia, che presiedeva i lavori del convegno), che era allora uno dei candidati alla segreteria nazionale del partito al posto dell'onorevole Moro. L'assenso ad una così precisa presa di posizione era stato dato da tutto il gruppo dirigente democristiano, o almeno dalla maggioranza di esso. Testimoniano ciò la serie di pareri espressi in proposito nel corso della discussione. Dopo il convegno ideologico della DC, la questione è stata spesso oggetto di convegni e tavole rotonde, e di svariati articoli e saggi.

Il problema delle garanzie sul finanziamento dei partiti, postosi con prepotenza in tutti i paesi non a partito unico e retti da un regime parlamentare, ha avuto in Italia, come abbiamo visto, una delle sue prime manifestazioni sotto forma di proposizione di uno schema normativo in una proposta di legge presentata al senato da Luigi Sturzo il 16 settembre 1958. Ciò che in sintesi costituisce lo scheletro della proposta del parlamentare siciliano è: il riconoscimento di una funzione di pubblico interesse, se non di rilevanza costituzionale, della istituzione partitica, il che comporta personalità giuridica, pubblicità di bilanci e garanzie per la gestione democratica dei fondi affidati. »E' stata da più parti rilevata la presunta pericolosità di un simile concatenamento logico, che secondo alcuni finiva per offrire la possibilità alla maggioranza di apprestare strumenti di controllo per prevalere totalmente sugli oppositori. (Questo è anche il parere di Jemolo, secondo cui è difficile che un controllo, co

munque configurato, rimanga soltanto economico e non si estenda, invece, all'intera vita del partito). Di una tale preoccupazione si sono fatti portavoce il PCI e il MSI, per bocca rispettivamente di autorevoli esponenti quali Togliatti e Almirante: una volta introdotto il principio del finanziamento pubblico sarebbe stata, a loro avviso, con ogni probabilità fatica inutile l'opporsi al gradino successivo di garanzie legali alla pubblicità dei bilanci e all'esistenza di una regola democratica all'interno del partito . (39)

Fino al 1963, data del convegno di S. Pellegrino, non si erano avute da parte dei partiti proposte ufficiali per un loro finanziamento pubblico. Il partito comunista, in un primo tempo, non sembrava particolarmente sensibile o propenso ad una soluzione del problema del finanziamento politico attraverso l'intervento statale. Il partito socialista, favorevole invece a questa impostazione, non aveva però avuto sino allora l'opportunità politica e la forza parlamentare per avviare un discorso concreto. (40)

L'orientamento socialista si compendiava in una esplicita affermazione del segretario nazionale, Pietro Nenni, al congresso di Milano nel 1961: »Credo che dovremmo discutere se proporre che i partiti siano sovvenzionati dallo Stato in proporzione dei loro voti nelle elezioni. I partiti sono ormai strutturalmente un organo della vita pubblica e burocratica del paese. Si può dire che il paese intero è interessato al loro retto funzionamento . (41)

Fra i partiti minori, soltanto il partito socialista di unità proletaria si dimostrava tendenzialmente favorevole ad un finanziamento statale. Nel partito liberale, nel partito socialdemocratico e nel partito repubblicano la questione cominciava ad essere dibattuta con un certo interesse, ma le soluzioni risultavano molto diverse e le opinioni contrastanti. La decisa posizione assunta dalla democrazia cristiana nel suo convegno ideologico fece pensare che lo stanziamento dei fondi a favore dei partiti potesse in breve tempo essere oggetto di una precisa iniziativa legislativa.

L'on. Taviani aveva infatti detto : »Se si vogliono evitare confusioni, equivoci, e non di rado tentazioni, se non addirittura espressioni di malcostume, questo problema deve trovare una adeguata soluzione. I risultati principali da raggiungere sono quelli di moralizzare la vita pubblica e, al tempo stesso, rendere i partiti autonomi anche sotto il profilo economico da condizionamenti esterni, e perciò che si può giustificare l'intervento pubblico... Ci sembra comunque di poter affermare che, se si pretenderà di realizzare una disciplina perfetta, si finirà per non cominciare mai a operare nel settore forse più delicato e certo fondamentale ai fini della tanto auspicata moralizzazione della vita pubblica. Meglio delle disposizioni imperfette che il vuoto attuale; meglio iniziare con coraggio una nuova esperienza, che non conservare l'esperienza attuale . (42)

Nella seconda giornata del convegno la relazione principale venne svolta da uno studioso di problemi costituzionali, il professor Elia. L'argomento del contributo statale ai partiti fu preso di nuovo in esame, soprattutto in riferimento al problema della loro disciplina interna: »In ogni caso la mancanza di una disciplina legislativa sull'ordinamento interno dei partiti, in senso stretto, in tutti gli stati retti a democrazia, deve farci reagire all'accusa di una nostra particolare responsabilità in ordine alla mancanza stessa, giacché tale situazione è tutt'altro che esclusivamente italiana. La spinta a disciplinare il fenomeno dei partiti va quindi accettata senza pregiudiziali negative, ma senza nascondersi le gravissime difficoltà dell'impresa . (43)

»Lo stesso atteggiamento, scevro da apriorismi negativi, che abbiamo assunto verso la disciplina interna dei partiti, vale anche per la proposta relativa al loro finanziamento... . (44)

E in sede di replica il professor Elia ricordava: »... la tendenza all'intervento legislativo rimane ancora una tendenza che va prendendo corpo in progetti e in una serie di studi che stanno raggiungendo un certo livello di concretezza; però, non per acquistare buona coscienza, ma per assumere una posizione realistica, dobbiamo riconoscere che non c'è ancora al mondo nessuna legislazione che tende a garantire la democraticità interna dei partiti . (45)

Come vediamo, il professor Elia assume un atteggiamento diverso verso il problema dei partiti, poiché ci invita a considerare la possibilità di una loro disciplina interna e di un loro finanziamento senza preconcetti negativi, ma con la consapevolezza delle difficoltà che inevitabilmente si presenteranno.

Un carattere di particolare ufficialità alle posizioni assunte dai dirigenti democristiani derivò anche dall'intervento dell'allora presidente del consiglio on. Leone. A proposito del problema del finanziamento dei partiti da parte dello Stato, egli disse infatti che tale finanziamento era indispensabile e che se nel margine di vita del suo governo fosse stato in grado di predisporre degli elementi di studio necessari si sarebbe proposto di sottoporre alla valutazione dei colleghi ministri un disegno di legge in materia: »Ciò che conta è il principio. Io credo che non si possa più ritardare la risoluzione del problema del finanziamento dei partiti. Le due obiezioni fondamentali, una di natura economica ed una politica, che vengono mosse a questa affermazione sono superabilissime. Quella politica indica il problema del finanziamento del partito comunista. Orbene, se il partito comunista esiste e si muove sul terreno democratico nel nostro paese e come partito di opposizione si presenta nell'agone della lo

tta democratica deve anch'esso partecipare di quelle che sono le garanzie di tutti, come partecipa sotto altri aspetti... Quella economica sembra non debba preoccupare. Io non so.. quale sarebbe la spesa; però se voi paragonate l'eventuale spesa per finanziare tutti i partiti al deficit dei comuni come Roma, Napoli, a quelli che sono i passivi di questi grandi comuni, io ritengo che quest'ultima cifra sarebbe certamente molto superiore a quella che sarebbe la spesa per finanziare i partiti... . (46)

Tranne poche eccezioni, la maggioranza dei delegati al convegno risultò favorevole alla proposta del finanziamento pubblico dei partiti in considerazione delle loro responsabilità costituzionali, e si espresse per l'adozione di un provvedimento che stabilisse una disciplina giuridica dei partiti, e la pubblicità dei loro bilanci. Una certa cautela fu manifestata invece dall'on. Greggi, favorevole al finanziamento pubblico come »... rimedio transeunte e non istituzionale , giustificato dalla situazione di emergenza della democrazia italiana, in attesa di ritornare all'esclusivo finanziamento dei privati cittadini, il solo »legittimo e fisiologico . (47)

L'on. Galloni, esponente della sinistra democristiana, ebbe a precisare che i partiti non sono associazioni private, ma strumento della Costituzione dello Stato, destinati a consentire l'esercizio di un diritto soggettivo pubblico garantito ai cittadini dall'art. 49. Sia Galloni, sia altri oratori affermarono l'esigenza di un sistema di pubblicità obbligatoria dei bilanci. L'on. Scelba puntualizzò alcune affermazioni rilasciate nel 1962, nel corso di una inchiesta condotta dal quotidiano »Il Resto del Carlino . (48) »Non si potrà pretendere - ricordò Scelba - che gli enti pubblici siano "case di vetro", finché essi saranno obbligati a tenere nascoste, tra le pieghe dei bilanci, le cifre destinate eventualmente a finanziare i partiti. Il finanziamento da parte dello stato ci aiuterebbe anche nella lotta contro il comunismo. Certo sarebbe spiacevole finanziare anche il partito comunista, però , fatti i calcoli, il partito comunista verrebbe a prendere meno di quanto oggi dispone, essendo inteso che anche i

l partito comunista dovrebbe rendere conto pubblicamente di tutte le altre entrate. Ma proprio per questo, e dato il clima esistente, penso che purtroppo non se ne farà niente, e che noi continueremo a discutere per molto tempo di questo tema . (49)

Gli avvenimenti successivi dimostreranno che in realtà Scelba aveva visto giusto, poiché aveva subito capito quali difficoltà avrebbe incontrato la realizzazione di un progetto di questo tipo.

Il clima di attesa creato attorno ai problemi esaminati a San Pellegrino sembrava preludere alla tempestiva emanazione di un provvedimento. Indiscrezioni di stampa informarono in quel periodo che un assenso al progetto era stato dato dal PSDI, dal PSI e dal PRI. Erano persino corse voci sull'ammontare della cifra stanziata dallo Stato sulla base di una sovvenzione annuale di circa 500 lire per ogni voto conseguito da ciascun partito nelle ultime consultazioni politiche. E un periodico dichiarò che la cifra totale del finanziamento sarebbe stata in tal caso di 15,248 miliardi di lire. (50) Va registrato anche un intervento del segretario comunista Togliatti tenuto al convegno di Perugia delle regioni rosse a proposito della tesi sul finanziamento dei partiti, uno dei temi principali, come abbiamo già detto, della relazione introduttiva dell'on. Taviani al Convegno di San Pellegrino. Nel suo discorso Togliatti affrontava, come tanti altri che si sono espressi su questo argomento, il problema del controllo

sui partiti: »... Ciò che attraverso il finanziamento dei partiti politici così come viene presentato dai dirigenti democristiani nel momento presente, viene fuori, o almeno sembra venir fuori, è un tentativo di sottoporre a un controllo dello Stato, del governo e quindi del partito dominante non le finanze ma l'attività stessa dei partiti. Si parla infatti, nel discorso fatto dall'on. Taviani, che il finanziamento pubblico avrebbe un importante corollario e... sarebbe questo: »L'esigenza di commisurare le forme legittime di propaganda e di organizzazione alla proporzione del finanziamento pubblico, in modo da ridurre al massimo ogni possibile tentazione di ricorrere a finanziamenti esterni . Questo vuol dire che una volta fissato il finanziamento, sulla base di esso dovrebbe essere determinata e controllata dal governo l'attività dei partiti, la loro propaganda, l'entità della loro stampa, le sottoscrizioni per trovare nuovi mezzi di vita e sviluppo e così via . (51)

Ne viene fuori una posizione che è nettamente da respingere.

In queste proposte - affermava Togliatti - c'è il pericolo di un nuovo passo in avanti verso una formazione politica centralizzata, in cui la centralizzazione arriverebbe fino a colpire e a ridurre l'autonomia d'azione dei partiti. Ma il segretario comunista parlava anche del problema della corruzione: »Non dimentichiamo - infatti diceva - che per quanto riguarda un finanziamento pubblico dei partiti, bisognerà fare i conti con la larga opinione pubblica, tutt'altro che disposta ad accettarlo, poiché vede in esso, e non del tutto a torto, un nuovo aspetto della corruzione da tempo dilagante . (52)

Il governo Leone non riuscì a presentare in tempo il progetto di legge, e nelle dichiarazioni programmatiche del successivo governo Moro non si fece alcun cenno all'argomento. Perché questo cambiamento? Il rinvio di una decisione a riguardo fu determinata da molteplici cause, non ultimo il peggioramento della situazione economica generale.

Un grosso ostacolo doveva essere costituito dalla difficoltà di mettere a punto il progetto e di ottenere su di esso i consensi di tutto il partito cattolico. Il mandato del governo Leone venne a scadere alla fine di ottobre del 1963, quando ormai si erano manifestati i primi segni della crisi economica cui si è accennato. Era quindi ben difficile che il governo successivo potesse inserire nel suo programma di riforme anche la soluzione di questo problema. Il suo vasto piano di spese sconsigliava l'iscrizione di un nuovo capitolo nel bilancio statale. (53)

4. IN MARGINE AL CONVEGNO DI SAN PELLEGRINO: LE PRIME REAZIONI

Al di fuori della democrazia cristiana, la proposta del finanziamento per rendere autonomi i partiti dai condizionamenti esterni fu accolta con sorpresa e alcune riserve. »Da un lato, si ritenne di riconoscere nei discorsi dell'on. Taviani e dell'on. Leone un avvertimento, indirizzato ai gruppi di pressione economici, nel senso di una volontà di emancipazione del partito cattolico dalle fonti tradizionali di finanziamento e dalle imposizioni che ne derivavano. Dall'altro, il carattere di urgenza con cui la classe dirigente aveva affrontato la discussione del problema e l'orientamento della sua soluzione, senza un'analisi rigorosa della complessa realtà che ne costituiva il sottofondo, aveva dato luogo a notevoli perplessità e riserve soprattutto nei partiti dell'opposizione e nei circuiti culturali, gli uni e gli altri timorosi di rischi derivanti da una statizzazione dei partiti e dalla conseguente perdita o limitazione della loro autonomia . (54)

Così ammoniva, tra gli altri, G. Maranini: »Per cominciare, non abbiamo per ora neppure gli strumenti adatti ai delicati controlli che la pubblicizzazione comporta... Si può pensare a promuovere forme di autocontrollo democratico nell'interno dei partiti stessi: ma l'autocontrollo si risolve in una burla se non è sostenuto da solidi controlli esterni . Secondo l'articolista il finanziamento pubblico dei partiti doveva costituire il rimedio ultimo »... al quale approdare con estrema diffidenza e somma moderazione . Egli suggeriva di non trascurare altre possibili forme parallele di intervento come la riduzione delle spese dei partiti e la concessione, da parte dello stato del sussidio di mezzi gratuiti di diffusione (dalla televisione alla stampa di manifesti) messi a disposizione dei partiti in ugual misura. (55)

Anche secondo Marco Cesarini, considerato che l'unica via formalmente democratica, per giungere al controllo dei partiti, passava attraverso la loro istituzionalizzazione, e che l'unica forma di controllo efficace passava attraverso la vita finanziaria dei partiti stessi, alla soluzione del finanziamento pubblico si sarebbe dovuto approdare soltanto dopo aver sperimentato altre vie per dare una soluzione al problema del retto funzionamento dei partiti nei confronti dello Stato. Questo per evitare la necessità di controlli sui bilanci, ed il pericolo che le sovvenzioni pubbliche risultassero non meno di quelle private uno strumento per la confisca della libertà e dell'autonomia delle forze politiche: »Si dice che lo Stato attraverso il finanziamento dovrebbe controllare i partiti. Ma si dice anche che, oggi, i partiti controllano lo Stato. Da questa constatazione, vera o falsa, deriva l'esistenza stessa del problema. E allora? Allora, se a controllare lo Stato sono i partiti, e cioè in pratica i partiti d

i maggioranza assoluta o relativa, questi stessi partiti finiranno per controllare insieme con lo Stato tutto ciò che lo Stato a sua volta controlla, e cioè gli altri partiti, i partiti di minoranza o di opposizione, sicché da ultimo non solo non si raggiungerebbe lo scopo per il quale verrebbe posto in essere il meccanismo del finanziamento, ma il partito di maggioranza finirebbe per diventare controllore anche di quel poco che oggi ancora gli sfugge . (56)

Secondo alcuni, come vediamo, »prima di ricorrere a forme di finanziamento diretto, pareva invece più opportuno adottare altri sistemi (particolari discipline legislative o la fornitura di servizi a titolo gratuito) che rendessero superfluo o controproducente il ricorso dei partiti a sovvenzioni aggiuntive esterne. Occorrerebbe per esempio che i partiti politici potessero contare, in misura proporzionale alle loro effettive necessità, su sale e luoghi di comizio comuni e organizzate, installate e dotate di quanto serve a cura delle autorità pubbliche locali o dello Stato, e che fuori da essi non potessero né comiziare né riunirsi . (57)

Improntato ad estrema prudenza appariva anche Franco Libonati, collaboratore de »Il Mondo come Marco Cesarini. Il Libonati, insistendo sulla necessità che i partiti si autofinanziassero mediante il contributo volontario degli aderenti, sottolineava i pericoli della cristallizzazione delle loro posizioni in conseguenza dell'adozione di un sussidio statale: »Giustamente Marco Cesarini ha rilevato che un partito controllato dallo Stato finirebbe per essere un non partito, mentre il controllo da parte dello Stato sui bilanci dei partiti, possibile in linea teorica, risulterebbe impossibile in linea pratica, perché a tutt'oggi lo Stato si è dimostrato incapace sia di controllare i bilanci degli enti pubblici e parastatali, sia di esercitare un qualsiasi controllo su quelli delle società commerciali... Del resto se veramente si credesse di poter eliminare con il finanziamento da parte dello Stato i finanziamenti di privati, singoli o associazioni o di enti pubblici, la via proposta non raggiungerebbe certamen

te lo scopo prefisso. Tutti, infatti, privati ed enti pubblici, potrebbero senza problemi continuare a dare un contributo ai partiti. I primi, nell'esercizio di un loro diritto, cioè quello di associarsi liberamente a partiti od organizzazioni; gli altri e cioè gli enti pubblici, perché purtroppo... nessun controllo è stato possibile compiere, almeno sino ad oggi sui loro bilanci. Sappiamo bene come nelle pieghe di questo si possano agevolmente nascondere molte voci e molte uscite: e la doppia contabilità è purtroppo nota per dover essere qui ricordata . (58)

Infine, non minori perplessità dimostrava Arturo Carlo Jemolo, anche se diverse: »E mentre è in atto una polemica antipartitica, introdurre il finanziamento dei partiti non è dare nuova ragione di avversione a chi non vuol saperne di partiti e nutre sempre la nostalgia del collegio uninominale? . E ancora aggiungeva: »Eccellenti ragioni, che però sormonterei, tanto mi pare grave il male che si vuol combattere, se sapessi che col finanziamento statale dei partiti questi non cercheranno più altre fonti... Ma chi si sente di dare questa malleveria? Qual'è l'ente, l'accademia, il teatro che dica che col sussidio governativo soddisfa a tutte le necessità e non ha bisogno d'altro? I partiti rappresenterebbero questa "rara avis"? Sarebbe probabilmente continua la richiesta di aumento del finanziamento governativo . (59)

 
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