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D'Elia Sergio - 20 settembre 1994
Per Mariateresa.
di Sergio D'Elia

SOMMARIO. Commosso ricordo di Sergio D'Elia delle vicende del suo rapporto con Mariateresa Di Lascia, dal momento in cui la incontrò ed a lei "totalmente" si affidò, "per far meglio le cose giuste". Lavorare con lei sulla campagna per l'abolizione della pena di morte fu per lui "occasione di riscatto". Mariateresa era "forse la migliore espressione" del modo di far politica dei radicali, e sapeva interpretare come pochi Marco Pannella, limpidamente come "solo i bambini" possono fare. Donna di "integrità senza mezzi termini", il suo "cattivo carattere" era una parte profonda di lei: che ammoniva sempre che "il carattere è il destino delle persone". Non a caso, nel suo romanzo sono narrate storie di caratteri.

(Pubblicato sul "Corriere del Sud" del 20 settembre 1994 nel numero speciale dedicato alla morte di Maria Teresa Di Lascia)

Tanto vivo è in me il ricordo di Mariateresa, che è la sua vita, ora, a fare premio sulla memoria. La memoria sarà, forse, compito di domani. Oggi, è la sua "vita" che mi soccorre. Non è un modo di dire: so bene che lei non c'è più, ma so anche che il suo "essere" è vivo, e dal suo "essere" traggo alimento. Quando, anni fa, dopo il tempo dell'odio, incontrai il Partito radicale, e scelsi la nonviolenza per fare meglio le cose giuste, la buona sorte mi consegnò a Mariateresa. Mentre gli altri non capivano, io mi affidai totalmente a lei, perchè si dimostrò subito l'angelo custode della parte migliore di me, che mi accompagnò in tutte le mie buone azioni. Avevamo concepito e conducevamo insieme la campagna per l'abolizione della pena di morte nel mondo entro il duemila. Per me, era anche un'occasione di riscatto; per Mariateresa, un'altra causa giusta da servire. Ora, anche questa azione sarà più difficile, perchè mancherà il suo apporto intelligente e creativo.

Del modo di concepire i fatti della vita e della politica dei radicali, Mariateresa era forse la migliore espressione, poetica e concreta. Riusciva a raccontare la vicenda di Marco Pannella come solo i bambini riescono a vedere e a capire, un po' alla maniera di Antoine de Saint-Exupéry de Il Piccolo Principe, il libro più amato da Mariateresa, il primo dono che mi portò. Su alcune semplici verità lì contenute misurammo la qualità del nostro vivere insieme. "Amare qualcuno vuol dire essere responsabile della sua vita", era scritto nel libro, e Mariateresa questo sentiva per me, con una cura che io, forse, non ho saputo corrispondere.

Dei bambini, coi quali riusciva a trattare in perfetta parità - considerandoli sempre all'altezza del proprio essere adulti -, Mariateresa coltivava l'immaginazione concreta, l'intelligenza dei sentimenti, l'integrità senza mezzi termini.

Molti hanno equivocato (e continuano ancora) sul suo "cattivo carattere". "Il carattere è il destino delle persone", raccontava spesso. Su questo, Mariateresa ha scritto un grande romanzo, che è una storia di uomini e donne che nel carattere portano i segni del proprio destino. Mariateresa riusciva a penetrarli, i caratteri delle persone, così in profondità, da cogliere subito i segni che le facevano capire prima di ogni altro i loro pensieri e i loro fatti. Per questo scriveva, capiva, e viveva con naturalezza.

Del suo "cattivo carattere" Mariateresa era riuscita a vivere, e, alla fine del suo modo d'essere (viva), è morta. Pochi l'hanno capita, e per questo molti non comprendono ora la sua morte. "Un litigio non lo si nega a nessuno", diceva, ed era un dono prezioso che offriva: nessuna cattiveria, ma il segno di una generosa considerazione. Il suo essere aggressiva, spesso, era malinteso come violento, intollerante; invece, era una forma dell'intelligenza; non era autoritario, ma dell'ordine della verità. Il suo essere esigente con tutti non aveva niente a che fare con le proprie necessità; era sempre a beneficio dell'altro, della sua crescita, e perciò della qualità del rapporto. Ma, forse, questo modo di essere era assoluto, nè per sè nè per gli altri; era una condizione dello spirito che Mariateresa coltivava con cura. L'avere, gli averi, la opprimevano; il pieno la asfissiava. Quando, dopo che ci eravamo sposati a maggio, la casa si era riempita di regali, di cose, Mariateresa ne sentiva addosso tutta la pesa

ntezza, e la insopportabilità. Cominciarono i dolori alla schiena, la fatica di respirare. Alcuni giorni fa, tra le carte di Mariateresa, ho trovato un foglio bianco con scritta questa sua piccola frase: "Io credo in quel che non ho. Quando così non fosse, avrei smesso di crescere, di essere." Mariateresa ha smesso di crescere, di essere, a quarantanni, dopo tutta una vita.

Ultimamente, Mariateresa diceva: sono stanca, non desidero più nulla, non ho un progetto, e si doleva che le tragedie del mondo fossero troppo grandi da sopportare: i bambini del Ruanda, di nuovo la ex-Jugoslavia... La sua non-indifferenza, la non-rassegnazione che non avevano mai conosciuto tregua, il fare sempre suoi i fatti degli altri, il suo "essere" in questo in servizio permanente effettivo, cominciavano a venir meno.

Ultimamente, molti dicevano: Mariateresa è cambiata! come è diventata buona, come è diventata brava! Non si rendevano conto di dire bene del suo malessere, di un male che la stava consumando, della vita che se ne stava andando.

 
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