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Di Caro Roberto - 26 maggio 1995
GATTOPARDO LUI. E LEI STREGA
CAPOLAVORI ANNUNCIATI/IL CASO DI LASCIA

Un romanzo importante. L'autrice che muore. Come Tomasi di Lampedusa. Anche "Passaggio in ombra" vincerà il premio più ambito?

di Roberto di Caro

SOMMARIO. Informa sulle vicende di Mariateresa Di Lascia, del suo romanzo, della sua precoce morte. Riferisce sulla possibilità che il romanzo vinca il Premio Strega, al quale èè stata presentata, sui giudizi di lettori, critici, estimatori, ecc. Riporta infine, come anticipazione, qualcuna delle trenta pagine del secondo romanzo della Di Lascia, come anticipazione della prossima loro pubblicazione su "Linea d'ombra".

(L'Espresso, 26 maggio 1995)

"Sergio, lo sai?, Pensano che abbia scritto un altro 'Gattopardo'. Che razza di matti, eh?". Dice così, Mariateresa Di Lascia, in quel febbraio del '94, di ritorno dal primo colloquio con Gabriella D'Ina, direttore editoriale. Sergio D'Elia è il suo compagno da sei anni, da quando si sono conosciuti a Rebibbia, lui dissociato di Prima Linea, lei attivista e deputato radicale impegnata sulle carceri; "Passaggio in ombra" è ancora un fitto dattiloscritto che Adelphi, tra discordi pareri dei suoi consulenti, non ha pubblicato; nel testo restano piccoli intoppi, roba da editing leggero, ma ormai è sicuro, il romanzo uscirà da Feltrinelli. "Sì, fui io a dirle, d'istinto, che leggendo avevo pensato a Tomasi di Lampedusa", ricorda Gabriella D'Ina; "e, a onor del vero, lei non mi parve poi così felice. Era perplessa, anzi, si schermiva, non ci si ritrovava".

Quando, giusto un anno dopo, sala di Ripetta a Roma, presentazione del romanzo, Stefano Giovanardi riprende l'accostamento a Tomasi di Lampedusa in virtù di quel "potere salvifico assoluto che per entrambi la Forma esercita", Mariateresa non c'è: è morta il 10 settembre, a quarant'anni, di cancro. Ma evidentemente i ricorsi della storia devono avere una loro stramba necessità: "Passaggio in ombra" concorre quest'anno al Premio Strega proprio come quel "Gattopardo" che lo vinse nel 1959, anch'esso opera prima pubblicata postuma dallo stesso editore Feltrinelli dopo il rifiuto che alla Einaudi gli aveva opposto Elio Vittorini. Lo vincerà, lo Strega, questa storia corale di bambina e adolescente nel Sud tra l'amore delle donne, la madre e la zia, e l'abbandono degli uomini, il padre e il cugino che ama? A dirlo era proprio Mariateresa. No, non per sconfinata presunzione. Per gioco, ridendo con gli amici. Perché "la strega" era lei. "Per quella sua specialissima capacità", racconta D'Elia, "di penetrare così in

profondità i caratteri delle persone da riuscire a prevedere i comportamenti, anticipare gli accadimenti, leggere i destini, convinta com'era che il destino di una persona sta scritto nel suo carattere". Un nomignolo, "la strega", che le aveva affibbiato Marco Pannella: con lui lavorava da un decennio e passa, vicesegretaria del partito radicale nell'82, coordinatrice del referendum contro il nucleare nell'87, deputata per pochi mesi in quello stesso anno. Ultima concreta eredità politica di Mariateresa, l'associazione "Nessuno tocchi Caino" per l'abolizione della pena di morte in tutto il mondo entro il Duemila.

Aneddotica, la battuta sullo Strega. Anche se Mariateresa avrebbe probabilmente badato al gioco di segni e di corrispondenze, lei che a tempo perso era curiosa di astrologia e che, da studentessa, aveva mollato dopo un paio d'anni la facoltà di Medicina per frequentare la Luimo, il libero ateneo degli omeopati. Ma certo sono altri i giochi con cui si vincono i premi di narrativa.

UN LIBRO, FORSE DUE

Quando chi concorre non può più essere lì a tessere i fili del consenso, o a negarsi altero alle campagne elettorali tra i giurati, a rilasciare interviste sottilmente perfide verso gli avversari, a trepidare per l'entrata in cinquina finale o alla conta dei voti nella serata decisiva, allora l'anomalia è tale da generare perplessità e polemiche. "Che dire? E' difficile la competizione con un puro spirito, con un fantasma. Del resto è ciò che si aspettava l'editore. E rientra nell'esercizio di quelle astuzie di cui vivono, nel bene e nel male, i premi letterari". Non c'è vera irritazione in quanto dice Luca Canali, concorrente allo Strega con il suo "Nei pleniluni sereni" edito da Longanesi, autobiografia apocrifa di Lucrezio, il poeta latino della cui vita non sappiamo nulla o quasi. C'è semmai, spiega, l'imbarazzo di chi ha letto "Passaggio in ombra", non ne ha amato il "realismo della narrazione, che risulta talora noioso", ne ha concluso che "è come se vi fossero due libri in uno, non risolti l'uno nell'

altro. Se avesse avuto la fortuna di vivere, allora la Di Lascia avrebbe potuto sviluppare la sua vera, forte ispirazione, quella vena visionaria condotta fino all'estremo in pagine bellissime del romanzo, come quando con levità straordinaria scrive degli infelici del mondo, dei "bambini dagli occhi tartari", dei tavoli della vivisezione".

Due romanzi in uno, come dice Canali? E' la critica più insidiosa. Ché, al contrario, proprio la compresenza, congruenza e fusione di due registri narrativi tra loro lontanissimi è la grandezza inaspettata di "Passaggio in ombra" per i sostenitori della candidatura Di Lascia. Cioè per quelle persone che, in tempi diversi e complici la passione, il caso, la morte stessa di Mariateresa, hanno concorso a trasformare un bel romanzo in un bestseller annunciato (8 mila copie la prima edizione, 40 mila a tutt'oggi, e il boom deve ancora venire). Stefano Giovanardi, che ne ha scritto come di "una delle opere più importanti di questa confusa fine secolo", e con lui l'altro dei due padrini di "Passaggio in ombra" allo Strega, Antonio Tabucchi: che dal "contrasto tra una struttura ottocentesca e squarci onirici e visionari a quella tradizione del tutto estranei" fa discendere il "clima straordinario" del romanzo. Adriano Sofri, che la stesura ha seguito, lettore ascoltato, un capitolo dopo l'altro fra l''88 e il '92: e

oggi, in una puntigliosa tavola delle comparazioni, evoca "Menzogna e sortilegio" di Elsa Morante: come questo, così "Passaggio in ombra" è libro privo della Storia "Perché bastano a se stesse le storie delle sue donne del sud", la madre Anita e la zia Peppina Curatore, e Giuppina e le altre che costellano la narrazione. Raffaele La Capria, spinto alla lettura dalla moglie Ilaria Occhini, amica e compagna di battaglie di Mariateresa: il primo a declamare, sul "Corriere", il suo sbalordimento per un testo in cui riconosce "la stessa vibrazione passionale, la stessa femminile energia, la stessa cognizione del dolore di Elsa Morante e Annamaria Ortese".

Basta per vincere lo Strega? C'è Luigi Malerba, in lizza, per la potente Mondadori, per giunta: "Non leggo mai, prima, i libri contro i quali concorro, per non essere costretto a esprimere dei giudizi", rifugge Malerba. Corrono anche, in questa quarantanovesima edizione del premio che fu di Maria Bellonci ed è ora sotto le cure di Anna Maria Rimoaldi, Marisa Volpi ("Congedi", Giunti editore), Dario Bellezza ("Nozze col diavolo", Marsilio), Maria Orsini Natale ("Francesca e Nunziata", Anabasi), Giampaolo Rugarli ("L'infinito, forse", Piemme), Elisabetta Rasy (Ritratti di signora", Rizzoli). La selezione della cinquina si avrà il 15 giugno. A luglio il conteggio finale dei voti dei 450 giurati. "Ah, è imprevedibile, lo Strega", annota La Capria: "è romano, cioè bizantino, e capita talvolta che vinca anche chi non ha dalla sua l'establishment del Premio né la potenza di un editore uso a districarsi tra gli intrighi". E Feltrinelli tanto uso non è, su questo concordano amici e nemici.

IDENTIFICAZIONE DI UNA SCRITTRICE

Macinano i libri trasformandoli in casi letterari, ma ne decretano il successo commerciale: funzionano così i premi, e alla fin fine la cosa sta bene a tutti. Un gioco delle parti che la morte di Mariateresa scompagina drasticamente. Quella morte, però, non è un episodio esterno al libro, un elemento a suo modo occasionale capace di trasformarlo in bestseller. Era già in "Compleanno", suo primo racconto, storia vera di una sua amica morta di cancro a 54 anni. Ed è, il senso di morte, dentro "Passaggio in ombra". Là dove lei scrive, fin dalla prima pagina: "Mi porteranno via, per queste strette scale dei palazzi moderni, e avranno un gran da fare per svuotare tutto il ciarpame che è stato la mia vita". E in quel suo dichiarare di aver percorso "tutta intera la strada della dissoluzione e del degrado". Suo? Mariateresa Di Lascia non era così. Aveva orrore del pieno, altro che accatastare ciarpame. Era il contrario dell'inedia e della rassegnazione del suo personaggio, l'io narrante, Chiara. Eppure Chiara è lei

. E' sua madre quell'Anita che l'ebbe senza essere sposata, la "mammana", l'ostetrica in un paesino tra Puglie e Lucania, la donna concreta, determinata, per cui una cosa pensata è fatta in un baleno: come per la vera Mariateresa. Ed è suo padre quel Francesco D'Auria che ha scritto nei geni l'irresoluta inane megalomania: visionario quanto la vera Mariateresa. "Nel libro lei si è raccontata così come aveva orrore di diventare: schiacciata tra l'epica del possibile e la pomposa inconcludenza dei D'Auria, cioè dei Di Lascia", spiega D'Elia. "Ma lei era un felice connubio dei due caratteri".

Un caratteraccio. Amava ripetere che "un litigio non si nega a nessuno". Ma D'Elia dice che era aggressiva, sì, violenta mai. Che questo era il suo modo rigoroso di coltivare i rapporti con gli altri, dando e chiedendo il meglio. Che per lei la vera intelligenza era quella dei sentimenti, e le 260 pagine del romanzo stanno lì a dimostrarlo. "Per questo aveva scritto il libro: per essere amata da chi lo leggerà". Impietosa, Mariateresa Di Lascia? "E' invidioso", commentò lei quando Giuseppe Pontiggia espresse tali dubbi sul romanzo da far decidere Adelphi a non pubblicarlo. Ma tenne in conto le sue obiezioni alla struttura del testo, tolse alcuni capitoli, ne scrisse e ne spostò altri. "Del resto nella sua vita e attività politica aveva patito più d'una negazione della sua identità e del suo valore, come quando nel '90 Mauro Mellini rifiutò di dimettersi da deputato per lasciarle il posto, com'era nei patti".

Di "Passaggio in ombra", che stava per uscire, quasi si era scordata: "Lo 'scritto', aveva annotato un giorno, posso non coltivarlo. Lo 'scrivere' mi cresce dentro come una necessità". Lavorava al secondo romanzo, che considerava il suo vero esordio: "Le relazioni sentimentali", si intitolava. Ne restano una trentina di pagine scritte, e tre fitti fogli di quaderno, appunti sui caratteri delle tre sorelle protagoniste: "Gilda: l'egoismo, la fatuità, la bellezza arrogante che non guarda in faccia a nessuno e si prende, rapinosamente, tutto ciò che può servirle. Gemma: la poesia, l'intangibilità del nucleo vitale, l'amore, la sessualità come arte. Gabriella, il bisogno non sazio di essere amata..."

GEMMA, GILDA E GABRIELLA

di Mariateresa Di Lascia

Questo è un brano da "Le relazioni sentimentali.

Doveva essere il suo secondo romanzo, ma Mariateresa

Di Lascia fece in tempo a scriverne solo 30 pagine.

La rivista "Linea d'ombra" le pubblicherà sul prossimo

numero.

Quando Gemma Tartaglia e le sue sorelle scendevano per la calata di Santa Teresa coi volti fulgenti per l'animazione e si rincorrevano chiamandosi l'una l'altra con brevi voci felici, mostrandosi a vicenda ora la vetrina di un negozio ora il cartellone pubblicitario di un film, gli uomini si voltavano a guardarle con occhi contenti, come fosse passata una meravigliosa processione.

Se a volte qualcuno di loro, mentre vendeva sigarette di contrabbando o aggiustava i giornali all'edicola lungo via Toledo (a quell'ora della mattina, brillante come un nastro o come uno specchio dai mille riflessi), allungava le mani al passaggio, afferrando un lembo delle sottane, non era per lascivia ma solo per l'allegrezza del sangue.

A quelle rapide brancate, a quegli apprezzamenti robusti e benedicenti, le ragazze ridevano, ognuna col proprio riso speciale, e la strada si riempiva di suoni, come per le note di un concerto all'aperto. Allora, le sottane colorate si mescolavano per i movimenti affrettati dei corpi, e per quella intimità gaglioffa e loquace che le legava. Procedevano così, in colorata paranza, come se, nella vita che si annunciava tutta una festa, avrebbero camminato sempre insieme, sempre con lo stesso passo lieto.

Eppure, se le avessi vedute sulla soglia di casa, in quell'ora assonnata in cui i rumori sono addolciti da una specie di preoccupato silenzio, e i pullman sembrano accostarsi alle fermate con maggior cautela, ti saresti accorta subito di quanto grandi fossero le differenze fra loro.

A scendere per prima sulla strada era Gabriella, la più giovane delle tre; fin da allora si recava in anticipo ad appuntamenti che altri avrebbero mancato. Compariva sul portone del palazzo quando le lancette dell'orologio non segnavano ancora le otto e si acconciava le ultime cose: un bottone del polsino non ancora allacciato, un poco di polvere sulle scarpette lucide di cromatina.

Dalla strada, sulla quale si affacciavano i balconi fioriti della casa, gridava il nome delle sorelle, e a quel richiamo rispondeva Gemma. "Che fa Gilda?" le domandava Gabriella, volgendo il capo all'insù, mentre le bande dei capelli sottili, strette in due codini, le ricadevano ai lati del viso. "E' uscita dal bagno? Nooo? Sta ancora chiusa a truccarsi... Allora ditelo chiaramente che volete fare tardi, così io me ne vado da sola. Ho il compito in classe IO!".

"No, no! Aspetta, ora scendo!" la pregava Gemma, che doveva passare a prendere me. Per tutti gli anni della scuola, e in quelli che seguirono dell'università, non giunse mai in ritardo a un nostro appuntamento, sebbene, a riguardare indietro a quelle sceneggiate mattutine, non saprei spiegarmi come facesse.

Si erano già incamminate lungo il vicolo che sbuca sulla discesa di Santa Teresa, quando la voce di Gilda le raggiungeva.

"Ragazze!" le apostrofava con accento impostato e musicale, come farebbe una dama che richiama a sé la propria corte di ancelle. "Mi lasciate da sola? Io sono pronta!".

In quell'incendio di luce, se si voltavano a guardarla fin sopra al verone, non distinguevano nulla, tranne un riflesso fulvo che guizzava veloce, mescolandosi ai raggi del sole.

Finalmente, quando Gilda scendeva, guardandosi attorno con gli occhi dorati, e incedeva nella strada con il passo leggero e sazio di certi gatti di razza, per un istante ogni cosa assumeva la fissità di un quadro...

 
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