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Vitale Marco - 9 giugno 1995
MA ANCHE BANKITALIA PUO' SBAGLIARE
Le Considerazioni del governatore rilette in una chiave anticonformista e duramente realistica

di Marco Vitale

SOMMARIO. Articolo di impressionante lucidità e di sarcastico coraggio, che denuncia impietosamente le bugie cui ricorre la Banca d'Italia per giustificare situazioni e movimenti che sfuggono in realtà al suo controllo, come a quello dello Stato; e splendida analisi dei grandi meccanismi di mercato che stanno spiazzando e logorando i vecchi referenti dello Stato-nazione. Il più bell'inno al Partito radicale Transnazionale, mai citato...

(IL MESSAGGERO, 9 giugno 1995)

Non ho mai apprezzato il rito tipicamente italiano che si celebra, annualmente, in relazione all'assemblea generale ordinaria dei partecipanti della Banca d'Italia ed alla relazione del governatore.

Invece di parlare di un testo, come se fosse una sorta di testo letterario, dovremmo riunirci per parlare dei fatti; fatti avvenuti, fatti in corso, fatti prevedibili. Se assumiamo questo punto di vista, il 1994 che analizziamo e lo scorcio di 1995, nel quale siamo immersi, e' stato un anno pessimo. Quello che la relazione chiama eufemisticamente "indebolimento della lira" e' stata la piu' selvaggia, drammatica e convulsa svalutazione e sbandamento della nostra moneta da tempo immemorabile. Ma e' stato anche l'anno in cui sono emerse alla luce del sole una serie di gravi crisi bancarie, molte delle quali evidentemente da tempo latenti ed in preparazione; in cui si sono registrate perdite colossali sul mercato dei titoli; in cui si e' consolidato lo sganciamento della nostra moneta dal sistema europeo ed il grande declassamento, sul piano europeo, del nostro Paese; in cui i tassi d'interesse sono ricominciati a risalire sicche' il differenziale tra il rendimento dei buoni del tesoro decennali e quello di anal

oghi titoli tedeschi e' salito dai 2.5 punti percentuali dell'aprile 1994 ai 6.5 punti del marzo scorso.

Continuiamo ad attribuire alla Banca d'Italia compiti che essa non puo' assolvere. E cio' lo confessa la stessa Relazione in due dei suoi rari momenti di verita'.

La Banca d'Italia non puo' garantire la stabilità' monetaria interna, perche' "l'azione della banca centrale nel controllo dell'inflazione incontra ostacoli nella dimensione della spesa, del disavanzo e del debito dello Stato". La Banca d'Italia non puo' garantire la stabilita' della moneta in termini di cambio, perche' "nell'attuale configurazione del sistema monetario internazionale, l'attivita' finanziaria si distribuisce su una pluralita' di aree, valute, strumenti, fuori dalla competenza dei singoli Stati; la regolazione dei flussi di credito e moneta diviene problematica, incontra seri limiti".

In realta' dalla relazione emerge tutto il conflitto fra le forze travolgenti ed impietose del mercato aperto ed il sogno irriducibile di una cultura che ancora crede di poter governare, con una arcaica strumentazione centralista, flussi e fenomeni non governabili.

Ecco allora che la fluttuazione dei cambi e dei tassi che sono, ne' piu' ne' meno, la salutare sanzione del mercato a governi irresponsabili diventano eventi che portano solo "effetti negativi sullo sviluppo dell'economia mondiale"; che gli operatori che, con grande tempestivita', colgono ed anticipano trend politici assai gravi (e... che e' stata, miracolosamente e per una rara convergenza di vari fattori, straordinariamente contenuta, se si considera il livello dell'incremento dei prezzi delle materie prime, componenti e lavorazioni ed il peggioramento delle regioni di scambio, diventa qualcosa da imputare ai "comportamenti delle imprese", troppo esose in termini di margini di profitto. Ed i rimedi, di fronte ad un mondo in ebollizione dove tutto sta cambiando, dalla gerarchia dei paesi alla tecnologia alla dislocazione del lavoro ai paesi ed aree in sviluppo, dove la "distruzione creativa" sta cambiando tutti i termini di tutte le equazioni, sta nel solito sogno di una improbabile e anzi impossibile stabi

lita'. Allora: riduzione del disavanzo pubblico negli Usa (e' dal 1981 che sentiamo recitare questa filastrocca) espansione della domanda interna del Giappone promossa dal settore pubblico (ma della crisi del sistema finanziario giapponese cosa ne facciamo?); area di stabilita' monetaria d'Europa (ma come? il fallimento di Maastricht non ha, dunque, insegnato nulla?); attivita' di sorveglianza del Fondo monetario internazionale (o mio Dio!); e, naturalmente un salto di qualita' nell'operare delle Amministrazioni pubbliche del Sud (buona idea! Come e' possibile che nessuno ci abbia pensato prima?); lotta all'evasione fiscale (come dicono i sindacati); e - naturalmente - l'aumento dei tassi che, rialzando un'altra volta lo spread fra i tassi attivi e passivi, evitera' ai banchieri lo stress di affrontare realmente le ristrutturazioni delle loro inefficienti strutture (e questa e' l'unica cosa concreta!).

Questa debolezza di pensiero si inserisce, invero, in un fenomeno di grande portata, essendo profondamente immersi nel quale non possiamo coglierne, in momenti di visionaria lucidita' piccoli squarci. Noi stiamo vivendo il superamento definito ed irreversibile delle economie statuali, plasmate e guidate dallo Stato Nazionale, un fenomeno che, essendo durato qualche centinaio di anni, ha impregnato profondamente culture ed istituzioni. Ora queste culture ed istituzioni non sono piu' capaci di leggere e guidare i fatti, i fatti veri, i fatti reali, perche' non vogliono accettare che, nel nuovo mondo, l'unico vero regolatore dell'economia sono i mercati internazionali: i mercati del denaro, del lavoro, della tecnologia, della conoscenza, del buon governo, dell'affidabilta'. E cosi' cercano, a testoni, di alzare ed abbassare paratie dove non passa piu' acqua.

A questo punto il discorso si salda con quello di coloro che parlano di "concorrenza non solo tra le imprese ma anche tra i sistemi". Questo concetto di "concorrenza tra sistemi" appare anche nella Relazione. Il concetto e', in se', corretto. Ma attenzione! Qui si puo' annidare l'ultimo trucco di questo secolo nazionalista, l'ultimo errore. Molti infatti dicono "concorrenza tra sistemi" ma pensano a "concorrenza tra Stati". Se cosi' fosse, se la gara di sistemi equivalesse alla gara fra Stati, non vi sarebbe niente di nuovo sotto il sole. Saremmo solo all'inizio di una di quelle gare nazionalistiche delle quali e' stato pieno il nostro secolo. E invece la gara non e' fra Stati, perche' gli Stati nazionali e con loro le loro banche centrali si stanno, fortunatamente, squagliando, ma fra sistemi operativi. Fra sistemi d'imprese, di trasporti, di scuole, di banche, di mercati dei capitali, di capacita' creative, di regioni, di centri culturali, di produttivita' del lavoro, di ospedali e cosi' via.

Per fortuna un numero crescente di imprese ha capito cio' e si e', decisamente, incamminata per questa via. Percio' la mia raccomandazione alle imprese e': lasciate perdere la Relazione del Governatore della Banca d'Italia; guardate piuttosto a Tony Rominger: svizzero (extracomunitario, dunque), nato in Danimarca, residente a Montecarlo, stipendiato da una squadra italo-belga, guidato da un tecnico spagnolo. Nessun banchiere o "reggitore" centrale potra' mai bloccarlo. Per questo e' un campione! Questo e' il nuovo mondo, la fiaba del nuovo mondo, che, forse, sara' migliore del vecchio mondo. Il che tradotto in termini di strategia aziendale vuol dire solo una cosa: chi puo' si attrezzi per sfuggire alla morsa, sempre piu' senile, del vecchio Stato nazionale che, morendo, vorrebbe che morissimo tutti con lui.

 
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