Giulio Marcon *
Il 2 novembre, a due giorni dal 4 novembre, festa delle forze armate, viene
depositato un esposto alla magistratura sul caso del generale Angioni, gia'
capo della missione militare italiana in Libano. A presentarlo sono i
portavoce di alcune organizzazioni (Associazione per la pace, Pax Christi e
Associazione Obiettori Nonviolenti) che, a nome della campagna "Venti di
pace", chiedono alla magistraturadi fare luce su una violazione, non ancora
ufficialmente smentita, della legge 185 sul traffico delle armi. La legge
proibisce a quei funzionari del ministero della difesa preposti
all'attuazione della normativa di assumere incarichi in industrie
produttrici di armi, per i tre anni successivi alla loro fuoriuscita
dall'organico dell'amministrazione pubblica.
Il generale Angioni era fino al 6 settembre scorso segretario generale del
ministero della difesa e direttore nazionale degli armamenti, presso il cui
ufficio e' istituito il registro delle aziende che possono esportare armi ai
sensi della legge 185. Qualche giorno dopo la Mac-Marconi Alenia
Comunications Spa (una delle principali imprese italiane produttrici di
apparecchiature di trasmissione ad uso militare) comunicava con enfasi e
soddisfazione la nomina del generale Angioni a presidente del Consiglio di
amministrazione, notizia ripresa dal Secolo XIX, Corriere della Sera e dal
Sole 24 Ore .
La violazione della legge e' evidente. Il generale Angioni dovra' per forza
di cose rinunciare. Magari, dira' di essersi sbagliato o che la
Marconi-Alenia si era dimenticata di consultarlo prima di annunciare la
nomina. L'azienda forse sosterra' che quella per il momento era solo una
proposta o piu' probabilmente che non aveva ancora depositato il verbale di
nomina alla Camera di Commercio. Per ora Angioni tace, la Marconi-Alenia
pure e il governo - nonostante le interrogazioni dei senatori Stefano
Semenzato e Giovanni Russo Spena - fa finta di niente. Andreatta, in
un'intervista apparsa su Famiglia Cristiana giovedl scorso, afferma che per
quanto ne sa lui, Angioni avrebbe rifiutato la nomina optando invece per
una societa' del gruppo che - pare - faccia solo produzioni civili. Insomma,
tutti sono al lavoro per trovare furbescamente la scappatoia ed evitare la
figuraccia. Tra l'altro Andreatta dovrebbe dirci se intende prendere
provvedimenti verso la Marconi-Alenia: la legge stabilisce che in questi
casi le aziende siano escluse dalle licenze di esportazioni di armamenti
per due anni.
Sul traffico delle armi, gli scandali ormai non fanno piu' notizia: basti
pensare al caso piu' recente di Pierfrancesco Guarguaglini, amministratore
delegato dell'Oto Melara, tirato in causa da Pacini Battaglia. Nonostante
tutto cio', il mondo politico e' molto sensibile ai produttori di materiale
bellico. Sul finire della scorsa legislatura, un gruppo trasversale di
parlamentari (Forza Italia, Pds, Lega, An), molti dei quali rieletti nelle
ultime "politiche", aveva presentato una proposta di legge tale da
stravolgere la 185. Prevedeva la possibilita' di esportare armi a governi
sanguinari, a condizione che non le usassero per violare i diritti umani.
Sarebbe come dire: gli aerei a Saddam Hussein si possono vendere, basta che
ci assicuri di non usarli per bombardare i curdi.
Oggi, con la nuova legge finanziaria, il Parlamento si appresta ad
approvare un bilancio della difesa che prevede di spendere ben 800 miliardi
in piu' rispetto all'anno scorso per l'acquisto e la produzione di armi. Tra
questi, 50 miliardi per iniziare la fase di ricerca per una nuova portaerei
e altri 450 miliardi per la progettazione del caccia Efa. A produzione
ultimata, questi aerei coprodotti con Gran Bretagna, Spagna e Germania
costeranno oltre 16 mila miliardi, quasi una nuova tassa per l'Europa.
Tutto questo mentre diminuiscono i fondi stanziati per l'obiezione di
coscienza (nonostante aumenti il numero delle domande: quasi 45 mila) e non
e' previsto nulla per la partecipazione alle missioni di peacekeeping
dell'Onu o per bonificare i territori infestati dalle nostre mine.
Un Nuovo Modello di Offesa
Andreatta in una recente audizione in commissione ha ipotizzato per il
Nuovo Modello di Difesa (mai approvato dal Parlamento, introdotto
surrettiziamente con provvedimenti specifici) una spesa di oltre 100 mila
miliardi (!) in dieci anni, in gran parte destinati all'acquisto e alla
costruzione di armamenti. Il ministro spinge per una crescente
professionalizzazione delle forze armate e si fa alfiere di cio' che - al di
la' di lodevoli eccezioni, come le missioni di pace in Bosnia e in Mozambico
- non pur essere difeso cosi' com'e': un brontosauro militare di 350 mila
persone che ha prodotto 2.730 miliardi di sprechi (denunciati della Corte
dei Conti), oltre 2 mila tra ufficiali e sottufficiali inquisiti e
un'endemica commistione affaristica con il mondo industriale e delle armi.
Nonostante i litigi nella maggioranza sul futuro della difesa, ancora
nessuno dice quello che andrebbe veramente fatto: ridurre non solo il
periodo di leva, ma la dimensione e il numero delle forze armate, legare in
parte il loro utilizzo alle missioni di pace dell'Onu, riconvertire
l'industria bellica, rinunciando a fare affari sulle armi. Si tratta -ce lo
dira' anche il vertice mondiale della Fao dei prossimi giorni a Roma - di
svuotare gli arsenali per riempire i granai. L'Italia continua a fare
l'inverso: aumenta le spese per le armi e diminuisce quelle per la
cooperazione allo sviluppo. Non e' certo questo il modo migliore per
ospitare l'assise delle Nazioni Unite. Auguri alle forze armate, ad Angioni
e Andreatta; ma il 4 novembre ci sara' davvero ben poco da festeggiare.
*Portavoce Associazione per la pace