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Conferenza Arpa
Donvito Vincenzo - 26 dicembre 1996
Ci ho ripensato, Ilaria, ma non mi capacito che, in un luogo deputato al confronto, i ltuo primo intervento sia di tipo sanitario, o clinico.
Invece di confrontarti, esprimere la tua opinione, discutere piu' o meno animatamente, lanci la tua diagnosi: curati, perche' sei malato.

Il paragone me lo tiri proprio con il cuore. E' come in quei regimi autoritari, dove c'e' qualcuno che cerca di muovere foglie oltre quello che qualcun'altro ha stabilito essere il metodo, disturbando, quindi, la quiete stabilita o presunta tale. Come si risponde? Con l'ospedale psichiatrico; prima col tentativo che cio' avvenga in modo volontario, poi col ricovero coatto. Qui siamo nella prima fase, non so se ci sara' una seconda e se tu avrai il potere di coattarmi, ma mi auguro proprio di no, perche' saresti pericolosa per te e per chi ti sta intorno.

Chi la pensa in modo diverso dal mio, e' solo diverso, e per questo non ha bisogno di cure. La storia in oggetto che ti ha provocato gli istinti fascistoidi -di cui sicuramente anche te ignoravi l'esistenza- e' solo una storia di confronto di metodi e prassi diverse, dove da una parte -e questa e' solo la mia opinione- si cerca di usare la diffamazione invece della serenita' di confronto, anche duro, ma confronto, dove si cerca di scaricare su altri le proprie differenze, perche' si fa finta che non ci siano.

E tu? "Curati, Vincenzo". Ma come hai pensato che avrei potuto reagire ad un invito cosi'? Curandomi? Se credi che io abbia quello che chiami malattia, non basta che tu me lo dica, ma mi devi anche indicare dov'e'. Poi possiamo anche scherzare eridere sull'uso estremizzato di alcune parole, ma rimane la tristezza di constatare l'esistenza di un medico autoritario, che al suo paziente non gli dice ne' che cos'abbia, ne' quale debba essere la terapia. La tristezza.

 
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