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Conferenza Danubio
Partito Radicale Paolo - 17 ottobre 1994
La federazione deve essere necessariamente tra stati?
Molte sono le opinioni e le annotazioni e le argomentazioni importanti inserite in questa riunione telematica, che prosegue assai oltre il tempo che figuravamo. Quel tempo soltanto ipotetico si è allungato di moltissimo, e questo ci aiuta a capire quanto diversi siano i tempi delle riunioni telematiche rispetto a quelle in cui ci si guarda in faccia e si dividono spazi fisici comuni.

La federazione è tra stati, certo. Ma io credo che sia ora di porsi il problema della adeguatezza al mondo di oggi della forma dello stato, quale unità di popolo e territorio. Quella della organizzazione in stati legati ad un territorio certo e delimitato è una delle pochissime nozioni inerenti alla vita del genere umano che sia rimasta identica a se stessa da così tanto tempo.

Voi conoscete quel che sto cercando molto prudentemente di fare, rispetto ai Rom, intorno a quella idea che aveva una sua nuce già in un documento sul federalismo preparato anni fa da Marino e Olivier. Molti o tutti voi avete ricevuto il mio testo-proposta sulla questione zingara, e lo diamo per letto. Mi ricollego a quello per chiedermi e chiedervi se non sia necessario, mentre ci poniamo il problema della federazione danubiana o balcanica o della federazione figlia della UE che giunga a includere anche gli altri stati, se sia adeguato all'oggi e al domani lo stato quale unità primaria, quale numero primo, fattore unico della costituzione delle federazioni e delle unioni.

Antonio dice che necessario punto di passaggio è comunque la costituzione di stati nazionali come risultato di lotte per la indipendenza, e che il nazionalismo non è un fattore necessariamente negativo.

Che sia negativo o non, quella della spinta di tipo nazionalistico è la caratteristica più evidente del mondo di oggi. Non ha senso dire o chiedersi se il nazionalismo sia un sentimento o un approccio positivo o non, se vada combattuto o non. Non ha senso in termini politici. Quello del nazionalismo è il più straordinariamente forte fenomeno politico e sociale che ci sia oggi in Europa, e non solo in Europa, e "semplicemente" con quello dobbiamo fare i conti non potendo, io credo, che prendere atto della sua forza e della sua esistenza. Tralascio altre considerazioni, ma quel che mi sembra certo è che mai riusciremo a opporci o a agire sul punto del nazionalismo se lo prendiamo come un valore negativo da combattere. Se non per altro, perché sul piano dei valori, cioè del MERITO, siamo perdenti. Dobbiamo guardare alla situazione di oggi in una ottica di metodo.

Il mondo si è retto a costi altissimi, ma per oltre quaranta anni, mantenendo un ordine, perché aveva un punto di equilibrio che funzionava. C'erano delle regole, difficilissime da violare. La bipartizione del pianeta funzionava, e funzionava bene, nella sua logica perversa. Ha retto a lungo, molto a lungo. I valori della democrazia, dellalibertà, delle ideologie che recavano al totalitarismo erano degli accessori. Il mondo funzionava, a costi mostruosi, ma reggeva, reggeva l'equilibrio. Oggi il mondo non regge non già perché non ci sono valori nuovi che non hanno sostituito i vecchi, ma perché non funziona il meccanismo. C'era un punto di equilibrio; oggi non c'è, e non funzionano punti di eqilibrio che siano fondati su valori, quanto sistemi di equilibrio fondati su meccanismi. Insomma, il punto di equilibrio di oggi non può non essere quel che manca veramente nel mondo di oggi: autorità e diritto, regole adeguate allo spazio su cui insiste l'attività umana. Se volete, quello che manca oggi è il mercato,

come capacità di riduzione a regole della jungla economica di oggi.

Il mercato, oggi, non esiste. Esiste uno spazio economico che corrisponde tendenzialmente alla intera superficie del pianeta, ma non c'è il mercato, se è vero, come è vero, che mercato è esattamente l'oppoosto della jungla.

In un mercato, poniamo quello italiano - se esistesse davvero - ci sono regole e autorità. Nel mondo, il vero mercato, le autorità non ci sono, e le regole nemmeno. E' un mercato finto, un non-mercato, perché le forze economiche non si scontrano e confrontano in un ambito di regole, giacchè le istituzioni che le regole creano e pongono sono incommensurabilmente meno forti, inadeguate allo spazio del mercato.

Lo stato nazionale non ha più ragione di esistere se mantiene la corrispondenza ad un territorio. I paesi a omogeneità nazionale sono pochi, e sempre di meno, se solo si guardasse a quante sono le persone che si muovono, si trasferiscono, emigrano. E il potere sul territorio deperisce costantemente nel suo signifivato e nel suo valore.

Quanto della attività economica mondiale insiste sul territorio di uno stato, pur di grande estensione territoriale? Quanto un governo può effettivamente governare, in uno stato? Quanta quota del potere in uno stato appartiene ancora al governo, partecipi esso ad un sistema costituzionale democratico o non?

Credo che noi ci si debba porre questi problemi, prima di tutto, e nutrire di questo le nostre iniziative sull'ONU, e la nostra politica.

Quella idea sugli zingari è proprio funzionale a questo: i Rom sono un popolo che non vuole territorio per ragioni culturali ed etniche, ma se soltanto decidesse di volere l'indipendenza nazionale - senza chiedere o rivendicare territorio potrebbe far scoppiare una contraddizione decisiva.

Credo ormai abbastanza poco ad approcci federalisti che prevedano unioni tra stati. A federazioni di stati sovrani, di stati nazionali che continuino ad essere unità di popolo e territorio. E credo che non tanto come rivendicazione nostra, ma come dato di fatto, esista sempre di più, sia sempre più realistica la connotazione di appartenenza nazionale che non qella statuale.

Quando nacque lo stato moderno il mondo era diversissimo da quello che è oggi. Governare un territorio significava governarne l'economia e il mercato. Oggi non è più così, e ci scontriamo con l'inadeguatezza dell'assetto istituzionale del pianeta rispetto alle necessità della vita delle persone. Dopotutto l'analisi è semplice e realistica. Dobbiamo essere conseguenti. In termini di elaborazione teorica, e di azione politica ad essa omogenea e coerente.

Mi è venuto in testa che la Federazione balcanica possa essere proprio concepita come federazione di nazioni, piuttosto che di stati. Forse è il luogo del pianeta ove questo sarebbe più adeguato...

Noi dobbiamo superare la identità tra nazione e stato, quale tendenza senza alternative delle nazioni alla indipendenza e alla autodeterminazione. La spinta alla indipendenza nazionale ha combinato quello che ha combinato e sta combinando, e non c'è alternativa a questo in termini di valori. L'unica alternativa esiste in termini istituzionali. L'indipendenza di uno stato territoriale è oggi pressocché finta, o tendenzialmente finta. L'indipendenza di uno stato che sia esclusivamente nazione, cioè popolo, a prescindere dal territorio, non perde di significato. In termini di potere lo stato tradizionale perde potestà, capacità, perché sono cambiate e cambiano le altre attività umane.

Finisce non tanto la storia, come c'è chi sostiene, ma la politica, e quindi la democrazia.

Non abbiamo la forza di affermare queste cose nei balcani?

Gli zingari potrebbero, forse. Ma il problema vero contro il quale ci scontriamo è la volontà degli zingari medesimi.

Insomma, io mi fermo qui, per ora.

Non credo che federalismo debba significare federare l'esistente, gli stati quali sono oggi.

Probabilmente, a mio parere, ha ragione Antonio: deve prima giungersi (senza nemmeno dovere favorire questa tendenza, che è prepotente, necessariamente e da sé, perché è ricerca di punti o di un punto di equilibrio) alla frammentazione come conseguenza della volontà e ricerca di autodeterminazione nazionale. Poi potrà unirsi. Ma certo, a parte forse l'Ungheria, non ci sono stati davvero omogenei etnicamente, in Europa, e l'Ungheria lo è, ma moltissimi ungheresi etnici non vivono in Ungheria.

Ha ragione Antonio, ma se invece che di stati si parlasse di nazioni, di popoli. O di stati, certo, che siano nazione e solo nazione. E di risorse, di economia e di mercato: da far nascere ove oggi non c'è.

Non è tutto qui, comunque. Ma ci torniamo.

 
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