(B o z z a)Ancora una volta - come tante altre nella loro lunga storia - i Balcani rischiano di diventare un'occasione di turbolenza e di instabilità per se stessi e l'Europa. Antiche, gloriose diversità - etniche, culturali, religiose - vengono prese ad occasione per odi e guerre, per divisioni e separazioni: come se fosse ancora possibile, all'alba del ventunesimo secolo, riportare in vita momenti di storia importanti e certamente drammatici, ma che nulla hanno a che fare con l'odierna necessità di grandi scelte che portino questi paesi al decollo e al progresso, economico ma anche culturale ed umano, verso una nuova "qualità della vita".
Certo, la storia dei nostri popoli è segnata da lacerazioni e drammi, che hanno anche riverberato i loro effetti su tutta l'Europa, condizionandola spesso verso scelte di guerra. Ma è possibile oggi riesumare, consapevolmente, quei drammi, costosi per tutti, per tutta l'Europa? Grandissima parte di quelle lotte, guerre e devastazioni ebbero origine nei conflitti etnici, religiosi, linguistici che caratterizzano, come nessun'altra parte d'Europa, la regione balcanico-danubiana. Ognuno dei popoli, ognuna delle religioni, delle lingue qui presenti ha cercato, nei secoli, o di imporre una sua supremazia o di non soccombere sotto quella di altri. Si riproducevano, nella regione, i conflitti che portavano intanto altre regioni, ma in diversi contesti, alla formazione degli Stati nazionali. Anche questi Stati raggiungevano l'agognato obiettivo a prezzo di sangue e stragi, di distruzioni e di impoverimento complessivo delle loro ricchezze umane e comunitarie: un prezzo che quei paesi stanno ancora duramente pagando,
che determinano lotte intestine sanguinose e irrisolvibili che cominciano ad essere oggi,finalmente, contestate anche al loro interno: gli Stati nazionali europei devono oggi infatti, quasi tutti, affrontare una irreversibile crisi di identità e di credibilità, mentre si affacciano alla storia modelli e valori che portano soluzioni nuove del problema-Stato, a partire da modelli federativi fondati su ineccepibili e saldissimi principi democratici e essi stessi portatori di valori assai più democratici, lioberali, "efficienti" di quelli conosciuti nel passato.
Se tutto questo è vero, riconosciuto da tutti, perché ridurre il grande problema dei Balcani a quello della costituzione di Stati etnicamente, o religiosamente, o linguisticamente "puri" e "autosufficienti"? Qualcuno potrà insistere, continuando a ripetere che comunque solo per questa via si potranno raggiungere quegli obiettivi di sviluppo che i vari Paesi europei hanno conosciuto grzie al fatto di essersi costituiti come Stati-Nazione. Questo è un grave, pericoloso errore di prospettiva. Nessuna delle situazioni, o delle condizioni che nel mondo di oggi possono determinare lo sviluppo è più dipendente dalla affermazione di uno Stato legato ad una specifica identità nazionale. Al contrario, in tutto il mondo, appare evidente che nel futuro uno sviluppo che tenda alla "qualità della vita" (che vuol dire "ricchezza di valori") avrà estremo bisogno di flessibilità e di varietà di componenti, ciascuna delle quali capace di portare alla comune convivenza un segmento di prospettiva diverso e originale, una sua sf
accettatura di "verità", suoi peculiari valori. In questo "concerto", ogni voce, ogni presenza, ogni dato - "nazionale", etnico, culturale o religioso - viene valorizzato, potenziato, moltiplicato. E se questa appare essere la via maestra dello sviluppo possiamo, dobbiamo anzi riconoscere che proprio i Balcani sono la regione dove tali precondizioni sono presenti e vive, con una molteplicità di apporti, di espressioni, di sollecitazioni uniche al mondo: la vera ricchezza dei Balcani è l'unica, impareggiabile polifonia delle presenze etniche, culturali, religiose e culturali sedimentate entro i loro confini storici.
Tutti le conosciamo, anche se purtroppo ancora le viviamo come elementi negativi e occasioni di incomprensione reciproca e di vere e proprie lotte civili. Ma vi è forse qualcuno che possa davvero pensare che sia possibile, senza il protrarsi di endemici e irresolubili conflitti, separare e dividere, allontanare e scacciare l'"altro", il "diverso" al di là di labili, artificiali e sempre discutibili confini? Proprio l'esperienza delle secolari Nazioni europee alla quale vogliamo continuamente rifarci come a modello ci dimostra che si tratta di una utopia, smentita solo in quelle situazioni dove i totalitarismi d'ogni segno, dal nazismo al comunismo, hanno potuto imporre genocidi e deportazioni di massa, massacri, violenze, l'olocausto o gli olocausti di cui la Storia sanguinerà per sempre.
Le diversità etniche, culturali e religiose rivendicano oggi nei Balcani il diritto all'autosufficienza e alla vita: ma ciascuna per sé, e contro tutte le altre. Orgogli nazionalisti, religiosi e culturali rinascono per affermare - ma ciascuno per sé - una sorta di supremazia, che sarebbe avallata dalla testimonianza della storia, dalla tradizione depositatasi in secolari sedimenti. Ma nessuno può, deve dimenticare che proprio queste diversità hanno costituito troppo spesso, nei secoli, solamente l'occasione, il pretesto, l'astuto alibi per i giochi di potenza di altri popoli, di altri governi, estranei ai Balcani ma pronti a rivendicare su di essi pretestuosi diritti ed egemonie imperiali. Molto spesso, nel momento stesso in cui hanno impugnato le grandi e sacre bandiere indipendentiste, questi popoli sono serviti solo da pedina, da merce di scambio per gli interessi di altri, accampatisi su queste terre in modo spesso violento. Noi dobbiamo smascherare questa rappresentazione storica che ci offende e ci ne
ga come soggetti, e farci forti dei nostri valori, delle nostre diversità, per rivendicare una più profonda e reale autonomia, una indipendenza più ricca e articolata: cioé non per alcuni, ma per tutti.
Nemmeno è pensabile, come alcuni si illudono, di poter meglio rivendicare e sollecitare l'occasione, il merito e i vantaggi dell'ingresso nella Comunità Europea facendo leva sul presupposto "nazionale". Al contrario, i rischi di un ingresso in Europa di singoli paesi - piccoli, deboli, isolati economicamente fatalmente rissosi ed egoisti nel pretendere di arraffare ciascuno per sé la parte più grossa delle risorse disponibili - sono enormi. Già oggi lo vediamo proprio in Europa, dove solo le cosidette "grandi potenze" fanno il bello e il cattivo tempo, condannando gli altri Paesi alla condizione di satelliti, economicamente dipendenti e insoddisfatti. Ma c'è di più: all'interno delle nazioni europee si sta seriamente pensando se non convenga "disarticolare" quelle stesse Nazioni su piani "regionali", più giustificati per rivendicare valori effettivamente "nazionali" (perché legati da vere diversità e caratterizzazioni culturali ed etniche) ma anche più strutturalmente adeguati sul piano ambientale, culturale
, produttivo, sociale, rispetto alle esigenze dello sviluppo complessivo del continente. Perché dovrebbero i Balcani imboccare oggi in ritardo - e, come si è detto, a prezzi altissimi - la via opposta? Solo un grande blocco di paesi, di regioni, articolato senza violenze e preclusioni in nazioni, culture, diversità storicamente portatrici di valori e significato - tanto da costituire di per sé una immensa, ancora inesplorata ricchezza (anche sul piano economico!) - potrà presentarsi all'Europa con le carte in regola, e la forza per imporre una propria presenza, per ottenere di più - ma anche per dare di più - al consesso delle nazioni continentali.
Raggiungere l'obiettivo di una grande confederazione balcanica è dunque possibile, auspicabile e assolutamente necessario. Una confederazione dei popoli balcanici esprimerebbe dinanzi al mondo e alla stessa Europa una potenzialità eccezionale di risorse, oltreché divenire un esempio valido anche in altre simili situazioni dove ugualmente si pensa di ridurre i problemi storici a problemi tribali, castali, e dove i fondamentalismi fanno aggio sul rispetto dell'altro e sulla crescita della comune umanità. Per la prima volta nella storia, così, i Balcani potrebbero porsi come avanguardia di sclete di progresso e di civiltà.
Questa (con)federazione dovrebbe nascere nel rispetto di tutti e di ciascuno, evitando di ricadere nelle mostruose deviazioni che hanno segnato gli ultimi anni della loro storia, così drammaticamente segnati dal totalitarismo comunista. Quei governi hanno insozzato, deformato, stravolto l'originario senso storico e politico del federalismo. Il federalismo, come è stato elaborato in primo luogo dalla esperienza americana, significa rispetto, equilibrio di valori e di poteri, dialogo tra diversità e loro potenziamento. Questo federalismo è forse, ancor oggi, il modello più alto, libero ed efficiente di organizzazione territoriale e statuale. Con gli ovvi, necessari aggiornamenti e perfezionamenti, esso potrà esprimere anzi, se lo adotteremo, l'incardinamento delle nostre terre nell'occidente libero e democratico.
E' dunque possibile, anche per i Balcani, parlare in termini di progetti e di ipotesi non centrifughi, non disperanti, non di guerra e conflittualità. Su quali linee muoversi? Il progetto federale, o federativo, dovrebbe poter puntare su diversi punti di forza:
a) la cultura: solo la cultura, con la sua vocazione all'invenzione e alla progettualità, può avviare ed assumersi il compito di rintracciare e mettere in evidenza le ragioni storiche (che ci sono, apparentemente non visibili) dell'unità, opposte a quelle che spingono verso la divisione, come anche le forme e le strutture atte a realizzarla, utilizzando tutti gli strumenti e i metodi di comunicazione messi a disposizione dalla linguistica e dalla telematica, al fine di favorire l'indispensabile scambio infraculturale, infralinguistico. Uno stretto legame con le forze intellettuali dell'occidente - chiamate a collaborare a questo grande progetto - sarà necessario e urgente: occorre favorire questo processo, renderlo più rapido.
b) l'economia,la cultura economica: essa dovrebbe essere stimolata a riflettere e inventare i modi con i quali portare avanti uno sviluppo *in scala subcontinentale* e non più, o non solo, "micronazionale", basandosi su esperienze passate, anche parziali e settoriali. A questo punto, di estremo interesse appare, come prima occasione di un possibile dialogo e confronto costruttivo di interessi sovra- e infranazionali, il progetto da molte parti ventilato di realizzare una gestione comune, da parte dei popoli interessati, delle risorse ambientali e produttive del bacino danubiano. Tale progetto potrebbe/dovrebbe guardare all'esempio classico costituito, proprio in America, dalla "Tennessee Valley Authority". Anche su questo progetto occorrerà promuovere il contributo degli economisti dell'occidente sensibili all'importanza di uno sviluppo economico, culturale e sociale a livelli globali, relizzato in un ambiente particolarmente ricettivo e stimolante perchè già ha raggiunto livelli apprezzabili (non è cioè del
tutto arretrato) in termini culturali che economici. Su un progetto di questa ampiezza potranno essere chiamati, con forza moltiplicatrice, grandi investimenti, capitali internazionali stimolati da un progetto che sarebbe, per le sue stesse dimensioni, estremamente redditizio e invogliante.
c) il mondo religioso: esso dovrebbe, date le sue particolarissime responsabilità, essere il primo a voler promuovere la caduta di divisioni che nell'area considerata sono serie e radicate: sarebbe questa la prima occasione in cui la coesistenza tra cristiani di diversa denominazione e mussulmani potrebbe cominciare a svilupparsi in modo costruttivo, in una mutua sfida nei e sui valori di importanza eccezionale.
Il grande problema, rispetto a questo progetto, o disegno, o utopia, non è nei mezzi, negli strumenti acconci a realizzarlo: è nella possibilità che vi sia, o si formi - in tempi non storici ma politici - una classe dirigente capace di concepirne i lineamenti e di portarlo avanti con la necessaria costanza e sopratutto intelligenza. Questa è la vera responsabilità che investe oggi le classi dirigenti dei paesi balcanici. Se non comincerà a formarsi, a coagularsi, nel loro ambito, un embrione di gruppo dirigente - insieme rivoluzionario nell'audacia e riformatore negli strumenti ed obiettivi - che faccia proprio il progetto per svilupparlo con decisione e farlo affermare, non vi è speranza che altri possa sostituirsi ad esse, ma anche non vi è speranza di autentico progresso per la regione e i suoi paesi. Chiusi nelle loro piccolezze, insufficienze, mediocrità, essi saranno condannati a vivacchiare del riflesso di velori altrui.
Quel che noi, firmatari dell'appello, possiamo fare è solo gettare un amo, o sparare un "razzo Very" che altri possa scorgere nella notte...Già questo è compito grande e difficile, che fa tremare. Ma intendiamo dedicarci ad esso con lo spirito di pionieri, di coloro che gettano il seme che altri raccoglierà. Altro potrebbero fare le forze che si muovono ed operano nell'ambito della CEE. Dall'interno della CEE potrebbero partire impulsi importanti, anche in termini di arricchimento e crescita di una istituzione che sta, altrimenti, agonizzando nell'impotenza. Se il disegno federale balcanico decollasse, la CEE potrebbe collaborare in un grande progetto storico ed organico, enormemente ricco di potenzialità, di carattere istituzionale e non meramente assistenziale, duraturo e di lunga portata.
Infine: Il progetto di Federazione Balcanica potrebbe essere (sarebbe, anzi) la punta di lancia di un profondo rinnovamento politico in tutto l'est europeo, fino al Caucaso e oltre. Sarebbe, anzi, un progetto di importanza mondiale, perché costituirebbe il primo tentativo per costruire una società nonviolenta, capace di inventare e realizzare soluzioni "istituzionali" al problema dello scambio interculturale, eliminando la violenza, razziale e di ogni altro genere. Se è vero che la nonviolenza gandhiana esprime il massimo sforzo culturale e politico per "inverare" i grandi principi della rivoluzione liberale, illuminista, federalista, antigiacobina sottraendoli al destino della scissione tra ideale ed effettuale che li ha mortificati per secoli, il progetto della federazione sarebbe il forte punto di partenza oggi concepibile per ottenere questo risultato.
Pertanto, noi firmatari, ecc...
Fine del testo
Nota: Questo testo è ovviamente una bozza, suscettibile di arricchimenti e perfezionamenti. Per quel che mi riguarda, sono disponibile ad ogni rielaborazione, ma non ad un suo snaturamento. E non credo di esigere molto quando chiedo che sue traduzioni possano essere sottoposte a personalità dell'area danubiana, per riceverne pareri, consigli e - magari! - cooperazione. Non mi fermerò comunque dinanzi ad eventuali primi ostacoli. Chiedo anzi che, preliminarmente, esso sia fatto vedere anche a Pannella, il cui giudizio sarebbe davvero "determinante". Anche se ritengo che il progetto "confederazione balcanica" potrebbe essere fatto marciare NON come iniziativa ufficiale del partito, che si limiterebbe ad offrire strumenti tecnico-operativi, ecc...