Radicali.it - sito ufficiale di Radicali Italiani
Notizie Radicali, il giornale telematico di Radicali Italiani
cerca [dal 1999]


i testi dal 1955 al 1998

  RSS
gio 24 apr. 2025
[ cerca in archivio ] ARCHIVIO STORICO RADICALE
Conferenza droga
Partito Radicale Emma - 18 novembre 1989
Dei delitti e delle pene
Mi sembra utile proporre in questa conferenza, per chi non l'abbia letto, un articolo apparso oggi sul Manifesto, a firma di Luigi Ferrajoli, un magistrato.

Si sostengono due concetti molto importanti assolutamente assenti nel dibattito sulla droga: la non punibilità degli atti non lesivi di terzi e degli atti contro sé stessi sono o dovrebbero essere due conquiste della civiltà giuridica.

Su questi due pilastri si fonda, fra l'altro, una concezione liberale del diritto che non pretende di giudicare la moralità dei cittadini ma di perseguire solo quei comportamenti (comportamenti e non opinioni !) che arrecano danni ad altri.

Peccato che Ferrajoli non voglia entrare nel dibattito sulla legalizzazione, proponendo invece una distinzione "fra traffico e uso, tra vendita e consumo di stupefacenti", con ciò riproponendo una contraddizione della legislazione vigente che, se da una parte consente o tollera l'uso personale di droghe, dall'altra punisce ( si fa per dire) le attività connesse al reperimento di queste stesse sostanze e cioè il commercio e la coltivazione. Ritorniamo alla aberrazione che lo stesso Ferrajoli denunciava: perchè lo Stato dovrebbe vietare sostanze che possono provocare danno solo a chi le utilizza?

Vieta forse la vendita di alcoolici che producono, in italia, 20.000 morti all'anno o quella delle sigarette che producono con certezza il cancro?

Lo Stato deve dissuadere, convincere, deve vietare la pubblicità delle droghe (possibilmente anche quelle degli alcoolici) ma non proibire raggiungendo come unico scopo quello di fornire occasione di immensi profitti per le multinazionali della droga.

L'articolo è piuttosto lungo (quasi 10 kb), ma molto utile soprattutto per chi deve affrontare dibattiti pubblici, magari con "giuristi".

LO STATO DEL NON DIRITTO

di Luigi Ferraioli

(IL Manifesto, sabato 18 novembre 1989)

Era difficile concepire una legge contro la droga più stoltamente vessatoria e dannosa di quella proposta dal governo. Le novità più gravi da essa introdotte sono due: la punizione con sanzioni atipiche e non detentive (sospensione della patente e del passaporto e divieto di allontanarsi dal comune di residenza) di chi detiene stupefacenti in quantità non superiore alla dose media giornaliera; le pene draconiane (da 8 a 20 anni di reclusione) per chi ne detiene una quantità superiore. Si tratta di due innovazioni pesantemente illiberali, che rischiano di produrre effetti disastrosi senza neppure raggiungere le finalità di prevenzione che pretendono di perseguire.

Innanzi tutto la punizione di uso personale di droghe lede un postulato fondamentale della tradizione giuridica liberale: la non punibilità degli atti contro se stessi, essendo compito del diritto penale solo quello di prevenire comportamenti dannosi per i terzi. Per di più , punendo il consumo di droghe, questa legge punisce di fatto la tossicodipendenza in quanto tale, cioè una tragica infelice condizione personale di dipendenza e di sofferenza che esula in gran parte, nei casi estremi, dalla stessa volontà della persona. E contrasta perciò con un altro classico principio dello stato di diritto: quello secondo cui si può essere puniti soltanto per ciò che si fa e non già per ciò che si è, per come si agisce e non anche per la propria identità.

Le violazioni al diritto penale.

C'è poi un secondo e più importante profilo sotto il quale la punizione della tossicodipendenza contraddice il paradigma liberale del diritto penale. Proibizioni e pene si giustificano solo se riescono a prevenire violenze e sofferenze maggiori di quelli che si producono in loro assenza e sono quindi inservibili contro la tossicodipendenza su cui potenti fattori psicologici e sociali hanno un 'efficacia deterrente minima o nulla e di cui varrebbero solo ad accentuare la clandestinità rendendone impossibile la cura ed ostacolando la pubblica assistenza e solidarietà. Per questo una simile legge produrrebbe unicamente altra violenza e sofferenza: la violenza delle pene del tutto inutili ai fini preventivi e l'ulteriore sofferenza che ne seguirebbe per la maggiore emarginazione sociale dei tossicodipendenti.

Sotto questo aspetto esiste un'analogia tra la punizione della tossicodipendenza e quella dell'aborto. Ciò che era più vergognoso ed immorale nella punizione dell'aborto era il fatto che essa, qualunque cosa si pensasse sulla liceità o l'illiceità morale degli aborti, non valeva in alcun modo a prevenirli e neppure a ridurne la quantità, ma solo a costringerli alla clandestinità e ad impedirne l'attuazione con la necessaria assistenza sanitaria.

Per la tossicodipendenza si può dire esattamente la stessa cosa. Nell'uno e nell'altro caso, esclusa l'idoneità della pena alle funzioni di tutela per le quali è propugnata e che sono anzi contraddette dalle offese ulteriori prodotte dalla clandestinizzazione degli atti puniti, contraria ai compiti del diritto penale, dell'affermazione simbolica di un principio" morale".

Il settecento e le punizioni.

vengono alla mente i grandi dibattiti settecenteschi ed ottocenteschi che opposero Jeremj Bentham a Sir Edward Blackstone, John Stuart Mill al giudice vittoriano James Fitzjames Stephen e, ancora in questo secolo, Herbert Hart a Lord Denning, a proposito della punizione del tentato suicidio, dell'omosessualità, dell'ubriachezza, della prostituzione, dell'adulterio e dell'aborto. Contro la cultura liberale, che in nome della separazione tra diritto e morale, rivendicava la non punibilità di questi atti perché non lesivi di terzi e soprattutto non prevenibili tramite pene, il moralismo reazionario opponeva la funzione "declamatoria" e propagandistica del diritto penale quale strumento di affermazione giuridica della morale.

Ebbene, questa tesi, battuta nel '700 e poi nel secolo, scorso ha sempre rappresentato il discrimine fra dottrine penali, laiche e liberali e culture autoritarie ed etico-stataliste - che: le prime informate a una concezione secolarizzata del diritto penale come strumento di tutela delle persone dalle offese altrui, le seconde ad una sua concezione moralistica quale mezzo per sanzionare la "morale" a dispetto degli effetti dannosi da esso prodotti.

Gli aspetti più allarmanti di questa legge sono però quelli connessi alla seconda innovazione all'inizio ricordata: L'incredibile pena minima di 8 anni di reclusione prevista per la detenzione di droga in quantità superiore alla dose giornaliera, salva la possibilità per il giudice di ridurla ad un anno "per qualsiasi circostanza inerente alla persona del colpevole" e di altri due terzi per chi confessa e collabora con l'accusa. Ciò significa che la pena potrà di fatto oscillare tra 4 mesi e 20 anni, secondo lo schema premoderno delle pene arbitrarie; e che la giurisdizione in materia di droga diverrà il luogo della discrezionalità più totale e degli abusi più incontrollati. L'effetto principale di una simile norma sarà d'altra parte che il tossicodipendente, per non incorrere in questo più grave reato, dovrà procurarsi la droga giornalmente. ne sarà rafforzato il potere di ricatto dei trafficanti ed accresciuta la piccola delinquenza dei furti e degli scippi. E alla dipendenza della droga si aggiungerà la d

ipendenza quotidiana dei consumatori dalla grande criminalità del traffico e dalla piccola criminalità di sussistenze. La norma agirà insomma come un fattore criminogeno e come un moltiplicatore di violenza: non più il contatto una tantum con lo spacciatore ma il contatto giornaliero, preceduto da furti, piccoli scippi e prostituzione altrettanto giornalieri.

La cosa più assurda è tuttavia un'altra; ed è che la pena prevista per la detenzione di stupefacenti in quantità superiore alla dose giornaliera è la stessa prevista per lo smercio. Una tale aberrazione, presente anche nella legge vigente che punisce la detenzione di quantità "non modiche" di droga, si spiega con la presunzione che tale detenzione sia in realtà destinata allo spaccio. La struttura del reato è quella abnorme del reato di sospetto: nel sospetto che la droga detenuta in eccesso, cioè in misura non modica o superiore a quella d'uso giornaliero, sia destinata allo smercio, la si punisce al pari dello smercio anche se di questo non esiste la prova.

Stesse pene per uso e spaccio.

In altre parole, per eludere l'onere della prova dello spaccio è semplificare il lavoro punitivo, si è costruita una figura di reato che rende automatica al repressione parificando detenzione e spaccio.

Una vistosa ingiustizia.

Il risultato di questa operazione non è solo una vistosa ingiustizia, almeno per che pensi che lo spaccio di droga è incomparabilmente più grave del suo uso e che la differenza tra le due cose è la stessa che passa tra procacciatori di morte e loro vittime ma anche una penosa solidarietà tra tossicodipendenti e trafficanti che andrà ovviamente a danno dei primi e a vantaggio dei secondi. Del resto la figura del tossicodipendente che detiene per uso personale una sola dosa giornaliera è una figura ideale, dato che le dosi continueranno di fatto ad essere spacciate e (detenute) nella quantità richiesta dalla logica del mercato e del profitto dei trafficanti.

Una legge fuori della realtà.

Tutto questo si è detto, vale in parte anche per la legge in vigore. E c'invita a ripensare dalle fondamente con razionalità e laicità, il problema della legislazione contro la droga.

non voglio qui entrare nel merito delle diverse proposte di liberalizzazione e di legalizzazione e degli enormi problemi che esse sollevano, prima tra tutti la difficoltà di simili progetti in un paese solo. Un punto, tuttavia, penso che dovrebbe essere acquisito, dalla cultura giuridica progressista; la netta distinzione tra traffico ed uso, tra vendita e consumo di stupefacenti e perciò da un lato la punizione dei soli reati di produzione e di smercio e dall'altro la soppressione di qualunque forma di reato integrato dalla semplice detenzione di droga.

Contrariamente al misero sofisma craxiano secondo cui sarebbe assurdo proibire la vendita ma non l'acquisto di una sostanza (come dire che è assurdo punire chi percuote e non anche chi è percosso), questa differenziazione varrebbe a sottrarre i tossicodipendenti alla complicità con i trafficanti ed a rafforzarne le possibilità di cura e di assistenza sia pubblica che privata. Senza contare il maggior spazio che ne verrebbe aperto a una vera politica di prevenzione della tossicodipendenza con mezzi non penali, la riduzione della criminalità grande e piccola legata al ricatto ed alla pressione del mercato, la possibilità di concentrare le forze di polizia nella lotta contro il traffico anziché nella caccia alle sue vittime, la restaurazione infine, dei lineamenti liberal-garantisti del diritto penale.

Soluzioni demagogiche.

Non si tratterebbe, ovviamente di una soluzione del problema ma solo di una più giusta e razionale impostazione. del resto, solo una concezione magica e primitiva del diritto penale può affidare ad esso la soluzione di un problema drammatico come è quello della droga. E solo una demagogia irresponsabile può consentire di non tener conto degli enormi costi di sofferenze e di violenze pagati a una simile illusione.

 
Argomenti correlati:
stampa questo documento invia questa pagina per mail