va e commerciale mafiosa, consegua l'interruzione della fabbricazione e del commercio del prodotto. E' un'ipotesi a dir poco delirante, simile alla presunzione dei gruppi terroristici di sinistra di liquidare il sistema bancario del capitalismo assassinando questo o quel grande banchiere internazionale.L'eventuale negoziato b) in chiave antiproibizionista avrebbe tutt'altre premesse e finalità. Innanzitutto la premessa è che la mafia, le mafie, non sono una piovra dai cento tentacoli ma un'Idra dalle cento teste, e percio' un negoziato con un pugno di narcotrafficanti rappresenta comunque un palliativo. Inoltre, un provvedimento di legalizzazione delle droghe proibite toglierebbe ad esse qualsiasi valore commerciale; di conseguenza il traffico finirebbe per estinguersi molto presto e i narcotrafficanti perderebbero, con i profitti, ogni ragione di esistenza. Da un giorno all'altro lo Stato e i suoi uffici giudiziari si troverebbero a dover fare i conti con una massa di ex-narcotrafficanti (una parte dei quali, ovviamente, continuerebbero ad essere impegnati in altre attività criminali parallele più tradizionali, dall'estorsione alla truffa all'omicidio a scopo di rapina) con i quali, dopo la legalizzazione, ci sarebbe ben poco da negoziare. Ecco che un negoziato puo' avere senso soltanto prima della legal
izzazione e come fine soltanto quello di attenuare l'ovvia opposizione alla legalizzazione da parte dei narcotrafficanti e dei loro emissari nel Governo, nei Parlamenti, nella macchina statale.
Alla domanda che poneva il nostro interlocutore vorrei allora rispondere cosi': no a qualsiasi negoziato dentro il proibizionismo, non soltanto per le ragioni giuridiche di fondo, ma perché inutile se non controproducente (farebbe emergere presto nuovi boss); forse, ma a condizioni tutte da verificare (e spero che Agorà ci aiuti a definire meglio questo scenario) come premessa ad una forte politica antiproibizionista contro il crimine e la criminalità politica prodotta dalle leggi attuali.