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Conferenza droga
Partito Radicale Emma - 13 febbraio 1990
DROGA, TELEVISIONE E SOCIETA'

(Comunidad y drogas - Cuadernos técnicos de estudios y documentation. Monografia n. 8, novembre 1989)

Autori dello studio:

PERE-ORIOL COSTA BADIA: Dottore in Scienza dell'informazione.

Professore titolare della Cattedra di Giornalismo all'Università Autonoma di Barcellona.

JOSE MANUEL PEREZ TORNERO: Dottore in Scienza dell'Informazione, laureato in linguistica. Professore titolare della Cattedra di Semiotica della Comunicazione dell'università Autonoma di Barcellona.

Pubblicazione del "Ministerio de Sanidad y Consumo" (Delegato dal Governo per il Piano Nazionale sulle Droghe).

CONCLUSIONI

Mentre le droghe producono stragi sociali e individuali di tutti i tipi, la televisione sembra avere la funzione di specchio deformante e deformato di questa realtà. Il suo discorso sul mondo della droga è, in certo modo, schizoide: diviso tra il fascino per la droga - come motivo narrativo e spettacolare - e la sua avversione verso un mondo che racchiude un potenziale di pericolosità sociale e culturale che può portare a delle crepe nella "buona coscienza" sulla quale si poggia il nostro attuale ordine televisivo.

Questo studio vuole essere solo una diagnosi d'urgenza su un fenomeno ampio, disperso e praticamente inabbordabile per la sua estensione. Come tutte le diagnosi, raccoglie i sintomi, analizza gli indizi e disegna un ipotetico profilo della malattia che affligge il paziente. Però a differenza di altre diagnosi che sono il prologo del rimedio, non c'è altro da proporre come cura che una presa di coscienza collettiva sullo stato attuale delle cose. Oltre questa presa di coscienza, i rimedi sono ovviamente difficili, insicuri, imprudenti. Però, soprattutto, di difficile trattamento: come intervenire in un processo nel quale, come quello della televisione, partecipano infinità di fattori sparsi per tutto il mondo, in cui le routine sono fossilizzate e rigidamente schematiche e il cui margine di attuazione reale è così ridotto?

Tuttavia, l'impegno per la presa di coscienza, in fondo non può significare niente più che una speranza che si possa fare qualcosa per modificare una situazione che, sotto ogni aspetto, necessita di essere cambiata.

Conviene pertanto in questo momento avanzare alcune conclusioni generali che possano servire almeno, come punto di partenza per un necessario cambiamento a medio termine. Un cambiamento il cui obiettivo finale non sarà nientr'altro che fare del discorso televisivo un discorso utile per gli obiettivi dell'azione sociale contro la dipendenza alle droghe. Nelle righe seguenti abbozzeremo per punti queste conclusioni:

1) La televisione è ambigua sul tema delle droghe: tutte le analisi effettuate rivelano che il mezzo televisivo conserva con il mondo della droga una relazione di attrazione-repulsione nel quale si intersecano i concetti di comunicazione, contagio e dipendenza.

Entrambi gli universi sono accomunati da una struttura emotiva profonda e simile: il fascino verso la passività, la vertigine per la dipendenza come forma di comunicazione esclusiva e unidirezionale. Sia il programmatore televisivo che il trafficante rispondono al desiderio di estendere al massimo la propria rete di influenza, però, come vedremo, entrambi si situano in prospettive

contrastanti. Per la televisione l'ideale finale è la rivelazione totale, il mostrare tutti gli angoli e creare una visione generale di qualsiasi elemento socialmente pertinente. Per il trafficante, l'ambito proprio di esistenza è il segreto e l'occultamento, il riserbo e la fugacità.

Talvolta, tramite questi parallelismi e opposizioni, la televisione ci mostra la droga da due punti di vista complementari anche se essenzialmente distinti: come un tema richiamante che li ossessiona, che occupa sempre di più la loro attenzione. E, allo stesso tempo, come un mondo che fugge dall'essere osservato attentamente e che solo mostra il suo corpo, occultando simultaneamente la sua realtà più essenziale. In questo modo, il discorso della televisione sulla droga ha dell'indefinito e ha lo stordimento del chiaro-scuro, dello schematico e dello stereotipo.

2. Il discorso televisivo sulla droga è, fondamentalmente, vago: la televisione sembra assumere decisamente il ruolo sociale del narratore classico di storie, del depositario, pertanto, della memoria collettiva e, in qualche modo, sacerdote di una religione basata sulla comunità. In questo modo, nello spandere narrazioni sullo schermo, la televisione si converte in una specie di metasoggetto comunicativo che riassume tutte le enunciazioni precise e differenti che si manifestano al suo interno. Per questa ragione, l'essenza di questo discorso è la sua dispersione, la sua diversità, la sua quasi incoerenza.

Dal nostro studio si fa evidente che il modo di affrontare il tema della droga da parte della televisione sembra rispondere ad una debole soggettività, dispersa, che si manifesta nella costruzione di "isole" semantiche scarsamente comunicanti e, a volte, apertamente contraddittorie: il lusso, gli affari, il narcotraffico sono contrapposte alla emarginazione e alla miseria del consumo, e l'impotenza sociale all'attivismo poliziesco. La condanna è esplicita di fronte alla seduzione subliminale...

Sembra esserci solo un filo conduttore a questo discorso: il desiderio della televisione di mostrarci il nostro mondo a segmenti, rispondendo alle esigenze della propria fascia di programmazione. Così ci sarà una droga per le storie inventate nei serial, un'altra droga per l'informazione quotidiana, un'altra ancora per quella non quotidiana...

Qualsiasi somiglianza tra di esse è puramente nominale: hanno unicamente lo stesso nome. Ma il suo modo di trattarla e la sua presenza reale corrispondono ad aspetti ben differenziati.

Gli stereotipi e i modelli con sui appaiono sono molteplici e con poche connessioni reciproche . A mala pena è l'unità di ricezione, vale a dire la capacità dello spettatore di integrare i dati dispersi, che assicura la formazione di una gestalt, di una percezione uniforme.

3. Il discorso televisivo sulle droghe è condiscendente e inefficace: la stessa incoerenza radicale del discorso televisivo sulla droga e il suo carattere di accumulazione dispersa di varie prospettive fa che ciò risulti poco utile per l'azione sociale. Il panorama che offre è ostensivo e disperso: mostra infinità di realtà, però giunge a darci conoscenza efficace su un tema così ricco di piccole e grandi mitologie e "mediatizzato" con degli sterotipi così potenti e solidi. La televisione cerca di procedere alla frammentazione tematica dell'universo della droga, mirando, con scarso rispetto della realtà, ai convenzionalismi e necessità interne del suo proprio discorso di programmazione.

Maschera così bene la droga che in ultimo restano solo gli imbellettamenti: colpi ad effetto nell'informazione quotidiana che privilegiano sia l'immediatezza, l'avvenimento, la notizia-flash,

la eterogeneità; la polemica, il dibattito e l'azione ostensiva nell'informazione non quotidiana; lo spettacolo, sia il grande scenario che i caratteri stereotipati secondo l'immaginario del cinema nella finzione.

Quindi, l'unica azione coerente con questa "razionalizzazione" televisiva della droga sembra essere la mera contemplazione dello schermo. Non si possono attendere dalla televisione prese di coscienza azzeccate, consigli utili, orientamenti verso strategie a medio termine, né indicazioni verso l'azione collettiva. La sua azione sembra esaurirsi nella mera contemplazione spettacolare.

4. Sulla droga la televisione moralizza molto schematicamente. Come frutto della necessità di programmazione e nella logica del proprio discorso, la televisione ricorre a schemi molto semplificati per giudicare e misurare il mondo della droga. Lo schema più ricorrente vuole che la droga sia motivo di danni e infrazioni, causa di una mancanza nei confronti dell'ordine stabilito; da ciò se ne desume una necessità di riparazione della infrazione, uno ristabilimento dell'ordine costituito, quindi l'applicazione della sanzione della pena. E' la difesa coercitiva e schematica della Legge nel suo aspetto più percepibile e fugurativo: nell'attuazione poliziesca e repressiva.

5. La televisione è molto rigida nella formulazione di notizie sulle droghe: sotto la dispersione e l'incoerenza radicale, la televisione fissa un modello per presentare le notizie sulle droghe. Però un modello tanto formalista e schematico che non giunge a smentire l'incoerenza più profonda.

Le notizie sulla droga hanno come protagonista di base la polizia. Raccontano pertanto azioni preferentemente repressive. I cattivi della "storia"sono i trafficanti che cercano un affare smisurato. Si fugge da astrazioni e da temi complessi come quelli dell'affrontare la droga dal versante sanitario e come malattia. Al contrario, la droga viene collegata quasi sempre alla delinquenza e stimola, pertanto, proteste e reazioni di difesa collettiva molte volte scomposte.

Tutto ciò si ha all'interno di una dimensione in cui la droga viene tolta dal contesto dell'universo sociale e personale che gli compete. Le categorie di prevenzione, sanità, malattia, studi, dossier, ecc., che inquadrerebbero questo universo di fatti

risvegliano scarsissima attenzione da parte della TV, che invece privilegia l'aspetto poliziesco e giudiziale, o, talvolta, quello politico.

Però ciò che più emerge da questo modo di fare è, senza dubbio, il suo schematismo. In fondo, sorvola e non affronta una analisi più dettagliata e giunge a convertirsi in una specie di ritornello incosciente che nasconde una autentica posizione morale sul fenomeno. E' dunque una specie di moralità superficiale

da poco che concorda alla perfezione con l'inefficacia del discorso televisivo segnalata nel punto precedente.

6. E' nota la presenza di luoghi comuni significativi nel trattamento dell'informazione sulle droghe. Il primo dei luoghi comuni che si constata è l'associazione indubbia tra droghe e delinquenza. Nel mettere a fuoco il problema da un punto di vista sociale questa associazione identifica il drogato (il consumatore) con il delinquente. Cosa che contribuisce a rafforzare nell'opinione pubblica il carattere antisociale del tossicodipendente. Ben diverso è il caso dei trafficanti. Dall'informazione studiata non emerge con insisten

za che il trafficante sia un delinquente marginale. Non gli si associano i valori propri di questa figura. Il trafficante, operi dove operi, si presenta come un attore dell'affare criminale, esecutivo distinto e importante. Così, mentre la coppia drogato-delinquente ci evoca un pericolo che si può incontrare per le strade, immediato e che, in definitiva, determina insicurezza, la figura del trafficante ci avvicina invece ad un universo gerarchicamente superiore; seleziona il suo ambito di movimento e le sue vittime, è più efficace, e perciò presenta l'immagine di una professionalità. Non ha senza dubbio la convulsione e la spontaneità della delinquenza comune.

In generale, la televisione dilata la rappresentazione del mondo delittuoso associato alla droga, lasciando nell'ombra il problema reale e concreto del consumo e della tossicodipendenza. Per questo la figura del drogato ci appare come quella di un individuo poco affidabile, scarsamente razionale e difficile. Un individuo che con il proprio traffico impregna la sensibilità dello spettatore e lo conduce ad una riduzione ideologica che trova la sua migliore sensibilizzazione nel termine "drogato", espressione stereotipata di una immagine di depravazione, di minacce e perversione,che invece viene condannata irremissibilmente dall'etica di tutti i giorni.

In secondo luogo, altro luogo comune abituale dell'informazione è l'identificazione tra droga ed eroina. I reportages hanno una notevole tendenza a parlare quasi esclusivamente dell'eroina e dei suoi derivati, soprattutto quando si tratta di far risaltare il tema della tossicodipendenza. Si produce allora una specie di "sineddoche" informativa che alla lunga finisce per calare sulla società. Un versante specifico del problema è preso come fenomenologia generale del mondo della droga. Si ha quindi un ingiustificato travaso dalla parte al tutto, che ci permette di individuare l'esistenza di paure irrazionali al riguardo.

Siamo in presenza di un effetto retorico del discorso giornalistico che spiegheremo come segue:

a) il giornalista individua sintomi di inquietudine sociale di fronte al problema droga. Cerca, allora, di costruire un racconto appropriato per soddisfare questa inquietudine, che si converte, senza dubbio, in una richiesta di notizie.

b) ha a disposizione un tipo di racconto che è grafico, che deve essere compreso dallo spettatore con pochi sforzi, e che allo stesso tempo deve trasmettere un contenuto forte e d'impatto. Per far ciò, ricorre al tipo di storia che presenta tratti più spettacolari ed emergenti, che troverà con maggior facilità nel mondo dell'eroina.

c) in terzo luogo, l'informazione televisiva seleziona uno scenario tipico e topico per la droga. Cioè assegna luoghi e circonstanze per gli avvenimenti narrati. "Entrevias" a Madrid e " La Mina" a Barcellona possono considerarsi come paradigmi evidenti di questi "luoghi comuni". Si tratta di quartieri dove si riuniscono tutte le conseguenze dell'emigrazione, della crescita disordinata, della depauperazione economica, e ciò che queste circostanze comportano: disoccupazione, carenze educative,

emarginazione, bassi redditi, degradazione urbana......

La selezione privilegiata di questa cornice come scenario per la comprensione della droga porta ad una distorsione riduzionista del tema. Ciò che succede in questi quartieri non è tutto ciò che succede intorno alla droga. La sua complessa fenomenologia, che necessariamente richiede d'essere abbordata da un punto di vista ampio,resta ristretta nella sua comprensione e centrata tematicamente come "problema di quartieri marginali". E' come se il fenomeno della droga sia marginale al problema della struttura della società: restano nell'ombra buona parte delle sue cause e conseguenze. La società come capro espiatorio, astratto, spersonalizzato, funziona come un luogo vuoto nel quale vanno a finire responsabilità molto generali.

La colpevolizzazione della società si orienta in due direzioni: da un lato è l'implicito casuale che passa come forma di ingiustizia sociale; dall'altro, la si accusa di mancanza di solidarietà verso un gruppo marginale.

Il luogo comune della mancanza di solidarietà sociale, è un tema ricorrente nell'informazione televisiva. Argomento base è che per la gente i drogati sono delinquenti e che per fare piazza pulita ci sono unicamente due soluzioni: o più polizia o liberalizzare la droga. Con questo tipo di discorso si vuole dire che non sono dei malati, ma esecutori di delitti contro la proprietà e le persone.

Di segno opposto alla mancanza di solidarietà è per la televisione il volontariato: si sfrutta manifestamente l'epica del "filantropo". Il volontariato si presenta come testimoniale e compassionevole: testimoniale perchè non sembra che possa risolvere niente più che una parte infima del problema, compassionevole perchè sembra contribuire a scaricare il malessere che produce l'accusa di mancanza di solidarietà. Senz'altro quindi la TV ha un impatto diretto molto forte. Però c'è da ricordare che tende a non mostrare gli sforzi che l'Amministrazione fà per procurare assistenza gratuita e senza condizioni a tutti i drogati che tentano la strada della riabilitazione.

D) In quarto luogo, l'informazione tende a sorvolare e a non trattare approfonditamente e con sottigliezza l'aspetto del consumo delle droghe. Tra tutte le forme possibili per avvicinarsi alla prospettiva medica sulla droga ( politica, sanitaria, droga come malattia, ecc...), la televisione privilegia un solo aspetto: la patologia associata al consumo di stupefacenti. In questo modo le azioni di politica sanitaria intraprese dalle istituzioni, restano per la maggior parte al di fuori dell'informazione.

Si eliminano quindi dal discorso informativo aspetti importanti come quelli relativi alla prevenzione della tossicodipendenza e le possibilità di riabilitazione e cura dei tossicodipendenti. La politica governativa in questo campo resta senza spiegazioni e senza essere mostrata, non diviene discorso pubblico e non si converte in tema di discussione. I rappresentanti del mondo politico non sono richiesti per spiegare come si affronta il problema, e di fatto, a mala pena appaiono in TV per trattare la droga da un punto di vista sanitario. Sono invece i medici gli attori privilegiati di questa informazione così tematizzata.

Concludendo, l'informazione televisiva forgia l'immagine che i problemi sanitari della droga sono derivati dalla patologie che provoca il suo consumo. Eroina-AIDS e tabacco-cancro-malattie cardiache illustrano perfettamente questo fatto. Altri aspetti importanti del fenomeno, anch'essi restano nell'ombra.

Infine, l'argomento della droga come fatto internazionale presenta in TV luoghi comuni di particolare rilievo. Il primo di essi e che il mercato della droga è in mano ad una potente industria multinazionale. Questa caratteristica permette di giustificare il fallimento dei singoli Stati nello sradicamento del problema della droga in generale, tanto del traffico che del consumo.

Dall'informazione televisiva filtra nell'immaginario collettivo l'idea che il grande traffico è invincibile e che nemmeno il coordinamento dei vari Stati può farvi fronte. La collaborazione internazionale sembra non avere un momento di rappresentazione sullo schermo. Le immagini televisive tendono a legittimare più il discorso repressivo delle istituzioni, che quello politico. D'altronde, sembra che la lotta contro la droga venga relegata a qualche azione poliziesca in qualche parte sperduta della selva Amazzonica.Ad esempio la già dimostrata connivenza di alcune istituzioni bancarie internazionali con il riciclaggio del denaro della droga.

Esiste, inoltre, una geografia ufficiale del narcotraffico che assegna miticamente ad ogni droga un luogo di produzione e di conseguenza, di provenienza: la cocaina è di origine sudamericana; i derivati della cannabis, marijuana e hascish, del nord Africa; i derivati oppiacei, concretamente l'eroina, provengono dai Paesi del Sud-Est asiatico. Con ciò la già depauperata visione che si ha del Terzo Mondo nei paesi industrializzati si accentua considerevolmente, essendo con ciò la droga direttamente associata ad altri fenomeni che nulla hanno a che vedere con essi. Ci riferiamo al fenomeno della immigrazione di individui provenienti dal Terzo Mondo e accolti nei paesi occidentali.

Essendo le proprie regioni di origine caratterizzate come epicentri del traffico di droga, questi individui sono esposti ad essere associati immediatamente a quei fenomeni, che aggiungono alla loro già insicura situazione un nuovo motivo per una ulteriore emarginazione. Non è questa una possibilità più o meno eventuale, ma è una realtà che ha iniziato ad evidenziarsi spontaneamente.

Da un punto di vista generale, l'informazione televisiva sembra orientarsi al compimento di una funzione puramente rituale: accompagna sì ripetitivamente la quotidianità, ma contribuisce scarsamente alla risoluzione di problemi pratici. Di conseguenza, l'opinione pubblica può avere la tendenza a considerare la risoluzione del problema droga come qualcosa di inaccessibile, come un "male" non abbordabile razionalmente.

7. Anche ironicamente, l'inquadratura televisiva si carica di luoghi comuni: la televisione è una telecamera indiscreta che entra nel rifugio del contrabbandiere e sospende il suo sguardo attento sui dettagli secondo un copione prestabilito che prevede un percorso-elenco tra i pacchetti di cocaina socchiusi, documenti presubimilmente falsi e biglietti di banca di vari paesi ammucchiati a ventaglio per l'occhio della telecamera. La curiosità della televisione non si dirige quasi mai con la stessa intensità verso la storia della vita che ha avuto come sbocco l'avvenimento delittuoso. Se talvolta lo fa, assume i toni del documentario drammatico nel quale si manifesta un ruolo paternalistico artificiosamente solidale con la miseria e l'emarginazione di chi "è caduto nel vizio".

Si tratta in definitiva anche di un rituale visivo che focalizza oggetti-feticci per lo sguardo dello spettatore che gli attribuisce valori di quasi reliquie (diaboliche) che stimolano la sua venerazione dinnanzi a degli improvvisati ma deterministici altari laici.

 
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