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Conferenza droga
Tedoldi Giordano - 30 settembre 1990
Parte 1
Il messaggio di Taradash ha un pregio insospettato

e i difetti scontati ed immaginabili. Il primo e`

che ammette, in contraddizione con Laura Terni e

Caterina Caravaggi stesse, la nocivita` in se' delle

droghe e l'esplicito obiettivo di voler ridurre il

consumo di esse. Gli obiettivi sono infatti seri

ed accettabili da chiunque, nella forma esposta nel

messaggio, non cosi` in quelli precedenti a firma di

altre persone. I difetti risiedono nei modi di

raggiungere tali scopi, e nelle previsioni che avvalorerebbero tali modi.

Ammettiamo in via ipotetica che alcuni degli

obiettivi vengano raggiunti, ed in particolare quelli

concernenti la soppressione del narcotraffico e la

diminuzione di tutte le attivita` criminali ad esso

legate, nonche' la liberta` dello Stato dal prendere

provvedimenti inefficaci, o dannosi, e costosi.

In una prospettiva realistica, la legalizzazione della

droga potrebbe realizzare questi obiettivi.

Io credo che pero` una teoria vada accettata nei suoi

risultati unificati, nel bilancio delle conseguenze

positive e negative. Il problema droga e` un problema

qualitativamente unificato, seppure analizzabile in

vari aspetti, e va affrontato con delle soluzioni che

lo investano nella sua interezza.

La legalizzazione lascerebbe fuori un obiettivo che

pure Taradash enumera: la diminuzione dei consumatori

di droga. Poiche' il consumare droghe sara` solo un

fatto di volonta`, senza alcun tipo di minaccia

giuridica e medica (puo` sembrare crudele che Io

consideri l'aids come un disincentivo, ma di fatto

lo e` nella fattispecie) ne' quelle prevenzioni di

ordine psicologico o morale che possono sorgere in

chi sa che fare uso di droghe significa entrare in

contatto con la criminalita`, ed alimentarla, e`

PRESUMIBILE che il numero dei drogati aumentera`.

D'altronde, alcolici e superalcolici, sui quali

non v'e` alcun proibizionismo, sono usati molto e

troppo, lo stesso per sigarette e simili. Lo stesso

potrebbe probabilisticamente accadere con le droghe.

Ora e` indubbiamente vero che ci sarebbero, in un

momento temporale prossimo all'entrata in vigore

dell'ipotetico antiproibizionismo, una riduzione

delle morti per droga. Niente miscele velenose da

parte degli spacciatori, quindi solo morti collegate

all'uso normale di una droga pesante. Queste sarebbero

da principio rade, ma e` evidente che aumentando il

numero dei consumatori, aumentera` anche il loro

numero, e quindi il tasso di mortalita` raggiungerebbe

livelli egualmente allarmanti come adesso. Ancora,

l'uso di droghe non deve preoccupare solo per la

sua velenosita` letale. Come si sa, danneggia lo

stato psicofisico in modo spesso menomante e

definitivo, determina gravi conseguenze, talvolta

fatali, ai feti, segnando cosi` le generazioni

future anche qualora non facessero loro stesso

un uso diretto di ýûdroghe. A cio` si potrebbe

rimediare con un uso davvero gratuito dell'aborto,

e a molte donne sarebbe negata una maternita`

volontaria. Tutto questo va assolutamente considerato

nel valutare i pro e i contro della teoria anti-

proibizionistica, che pur molto circostanziata dal

punto di vista economico, commerciale, affronta

il problema della droga come una questione di

concorrenza senza dare molto valore a fattori

psicologici, biologici, sociali di estrema importanza.

L'obiezione di Alessandra poi e` fuori luogo. E`

di fatto vero che categorie di handicappati, di

psicolabili, di malati, sono di fatto al di fuori di

una piena realizzazione della tensione sociale.

Possiamo mentire ad libitum su cio`, possiamo prodigarci in elogi alle olimpiadi degli handicappati

ed alle comunita` di recupero, ma sono tutte forme

che surrogano quella che tutti considerano la vera

societa`, sono microsocializzazioni isolate e

marcate da un unico vero sentimento, quello legato

alla deficienza fisica o psichica di chi ne fa

parte, ed alla compassione di esso. Nulla di simile

alla societa` reale. Puo` essere triste o cinico

dirlo, ma nessuno mi venga a dire che un minorato

(segue)

 
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