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Conferenza droga
Arnao Giancarlo - 4 ottobre 1990
Droghe, valori e disvalori
AGOR021090

Molto in ritardo, a causa di guasti del modem, vorrei dire qualcosa in merito al dibattito innescato da Tedoldi.

La lunghezza, e la sostanziale vanita' del dibattito e' esemplare delle difficolta' concettuali della tesi antiproibizionista. Il dato cruciale mi sembra che chi e' proibizionista parte da un assunto in qualche modo "religioso": che cioe' la "droga" e' qualcosa di intrinsecamente DIVERSO da tutte le altre sostanze, e il "drogarsi" e' un atto intrinsecamente diverso da qualsiasi altro comportamento umano.

Dopo avere scritto un numero esorbitante di libri sull'argomento (tutti ampiamente documentati, come anche i nostri avversari riconoscono) non me la sento di andare a ribattere uno per uno gli argomenti del tenace Tedoldi. Come qualcuno ha fatto notare, esiste in AGORA' un archivio di dati su questo problema.

Sono invece preoccupato di una certa tendenza interna al CORA, secondo cui (detta in soldoni, e mi scuso della grossolamita', del resto necessaria a risparmiare spazio e fatica) la droga e' comunque un "male", ma che solo l'antiproibizionismo e' il rimedio a questo male.

Per esempio, quando Marco Taradash (conferenza droga, no 275) scrive che

1) "tutte le droghe sono nocive comprese quelle legali", e che

2) "obiettivo di una politica della droga dovrebbe essere la riduzione del consumo di droghe",

mi sembra che si voglia far passare l'antiproibizionismo come una versione "soft" della sciagurata "guerra alla droga", dando all'avversario la possibilita' di intervenire con argomenti forse opinabili ma comunque non privi di coerenza.

Al di la' della mia personale posizione, voglio ricordare che esiste una vasta e approfondita corrente di pensiero secondo cui l'esigenza di drogarsi, vale a dire di sperimentare stati di coscienza diversi da quelli che consideriamo normali (e sulla cui normalita' ci sarebbe peraltro da discutere per anni) e' un fenomeno innato nella storia umana, se e' vero che l'uso di droga affonda le sue radici nella preistoria ed e' presente in tutte le culture. Uno studioso canadese, Ronald Siegel, ha addirittura affermato in un recente libro ("Intoxication", cit. da L'Unita, 5 aprile 1990) che il bisogno di drogarsi e' il "quarto impulso" dell'umanita', dopo i tre impulsi vitali di bere, mangiare e riprodursi. Lester Grinspoon, vicepresidente della LIA, docente della Harvard Medical School, presentera' alla prossima Conferenza della Drug Policy Foundation un documento sugli effetti positivi della cannabis.

Anche se puo' apparire un po' "retro'" (ma dove sta scritto che tutto cio' che appartiene al passato, o meglio a un certo tipo di passato e' necessariamente scaduto e scadente?) voglio ricordare che l'uso di droghe allucinogene e di cannabis negli anni 60 fa parte integrante di un modo di vivere e di pensare che non e' stata una semplce "moda" ma una vera e propria "cultura". Una cultura che, sul piano soggettivo, puo' piacere o no, ma che non puo' essere liquidata con una etichetta "oggettiva" di "disvalore", su cui, secondo Taradash, potremmo essere tutti d'accordo.

Affermare poi che "tutte droghe sono nocive" e' una ovvieta' che sconfina nella banalita', e sul piano concettuale non differisce dall'affermare che "tutti i cibi sono nocivi", dato che e' pur vero che le malattie legate alla cattiva alimentazione ammazzano molta piu' gente delle cosiddette droghe. Questa espressione mi sembra particolarmente insidiosa nella misura in cui adotta una chiave che e' tipica dell'impostazione proibizionista: quella che da' per scontato il fatto che le "droghe" (non importa se legali o no, del resto cio' che e' "legale" per noi e' stato ed e' tuttora tradizionale in culture diverse da quella occidentale) hanno sempre e comunque effetti negativi, rifiutando un dato essenziale del problema: che cioe' gli effetti negativi (e/o positivi) delle cosiddette droghe non dipendono solo dalla farmacologia delle "sostanze", ma anche e soprattutto dal modo con cui vengono usate.

Non posso quindi essere d'accordo sul fatto che il nostro obiettivo debba essere, sic et simpliciter, "una riduzione del consumo di droghe". Del resto, lo stesso Taradash ammette che una politica antiproibizionista aumenterebbe probabilmente il consumo di droghe ma che diminuirebbe i casi di morbilita' e di mortalita', citando giustamente la politica di "harm reduction" adottata dalle autorita' sanitarie della Mersey Region (Liverpool). Portando alle sue logiche conseguenze questa argomentazione, si potrebbe coerentemente affermare che l'obiettivo di una politica antipr. non e' la riduzione dell'uso, ma delle conseguenze negative dell'uso, o piu' semplicemente dell'abuso di droga. Soltanto questa piattaforma puo' essere condivisa da tutto il fronte antiproibizionista. Ferma restando la legittimita' di giudizi di valore, ma a patto che essi vengano formulati come posizioni soggettive, non come principi assoluti.

 
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