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Conferenza droga
Taradash Marco - 5 ottobre 1990
L'intervento di Giancarlo è molto utile perché richiama alcuni connotati storici della prospettiva antiproibizionista che è bene non dare per scontati. Non c'è niente di "vecchio" o trapassato nella riaffermazione del del principio liberale della "libertà di scelta", che viene oggi non sostituito ma integrato, mi sembra, dalla tecnica sanitaria liberale della "harm reduction" (riduzione del danno per il consumatore), così come, a mio parere, oggi -in questa situazione di mercato che induce ad un consumo "consumista" di ogni sorta di porcheria- è necessario impadronirci anche di una politica liberale volta alla riduzione del numero dei consumatori di droghe, legali e no.
E' un obiettivo pratico, non l'affermazione di un valore morale, per me. La moralità coincide con la responsabilità. Oggi il consumo responsabile di droghe, specialmente di alcune -nell'Europa meridionale l'eroina e il tabacco, nell'Europa del Nord l'eroina e l'acool- è sovrastato da un consumo subalterno alle ragioni del mercato legale o illegale. Ma se questo fenomeno di irresponsabilità fosse soltanto legato ad un uso irragionevole della propria libertà di scelta, non sarebbe diventato per nessuno di noi, credo, una priorità politica.

Se lo è stato per molti già a partire dalla fine degli anni, è perché vedevano minacciata dall'invadenza dello Stato, in versione poliziesca o terapeutica, una sfera sacra dei diritti di coscienza, dentro alla quale si possono e devono esercitare altre forme di influenza (la scuola, la famiglia, gli spot di mamma Rai, la pedagogia dell'esempio o quella del ceffone...) private o pubbliche purché non acquistino un carattere direttamente sanzionatorio della libertà di decisione dell'individuo.

Se lo è per noi, oggi, anni novanta, di nuovo fatto pienamente politicoa è perché quel meccanismo violento di intrusione dell'autorità statale attraverso la coercizione ha prodotto quegli effetti che Arnao, Pannella, Valcarenghi, Blumir, gli altri, prevedevano, parlando in nome di una cultura delle libertà che veniva scambiata dai cretini per cultura della droga.

E oggi la questione droga, ovvero del proibizionismo sulle droghe, diventa priorità politica generale e assoluta, perché, come ci ripetono tutti i proibizionisti quando reclamano più soldi, più pene, più armi (variando alle volte l'ordine del secondo e terzo termine, mai del primo) "l'intensificazione e la diffusione che caratterizzano la produzione, il traffico e la consumazione delle droghe proibite a partire dall'inizio degli anni 80, mettono in pericolo tanto i sistemi socioeconomici quanto le strutture giuridico-politiche, sia dei paesi in via di sviluppo sia di quelli industrializzati" e perché "la natura occulta e l'organizzazione efficiente del traffico internazionale e il ruolo che gioca nell'economia mondiale sono tali che l'obiettivo di sconfiggerli resta incerto e lontano" come leggo su un ennesimo rapporto CEE.

Mentre sull'altro versante - quello dei soldi, delle pene e delle armi anti-droga- gli abusi di autorità, le apparizioni (ora sulla rupe religiosa ora sul cavalcavia laico) dell'etica di stato, la demagogia alimentata dai massmedia, rischiano di precipitarci di nuovo nelle catastrofi dell'irrazionalismo violento e autoritario. Morire per Danzica, ok, per Medellin, che spiscio.

Priorità politica dunque la lotta al proibizionismo, obiettivi pratici gli a,b,c,z che dobbiamo di volta in volta saper ordinare e proporre soprattutto a coloro che hanno un ordine diverso di priorità da perseguire. Io voglio convincere Tedoldi soltanto della bontà del nostro metodo, delle nostre iniziative, dei nostri obiettivi, non dei nostri valori e della nostra visione del mondo.

Lui ha disprezzo della droga e dei drogati in nome di un'etica sociale. Io invece credo che al centro di un discorso sulle libertà debba restare l'individuo, ovverosia l'individuo sociale, l'individuo nella società (perché non ne conosco un'altro). Oggi vedo che nella società beffardamente -contro e grazie allo stato e alle sue leggi punizioniste e proibizioniste- si costruiscono accanto a quelle visibili prigioni invisibili fatte di subculture imitative, economie parallele, sistemi di Law&Order alternativi, che schiacciano l'individuo, il "drogato" del Parco lambro come il baby-killer di Forcella, come il campesino boliviano. E allora puo' capitare che un proibizionista e un antiproibizionista trovino un terreno comune d'incontro, e che il suo e il mio a,b,c con tutte le loro diverse traiettorie finiscano col coincidere. E che quindi possa sperare di convincere Tedoldi, e i milioni di persone che la pensano come lui ma che sono disposti a discuterne, senza mettere in discussione a priori la nostra diversi

tà culturale, politica, umana.

 
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