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Conferenza droga
Lorenzi Giuseppe - 7 giugno 1991
Epidemiologia delle tossicodipendenze (2)

PARTE II

TREND DELL'INFEZIONE DA HIV NEI TOSSICODIPENDENTI ITALIANI.

Comprendere la dinamica di un fenomeno epidemico al fine di valutare la diffusione attuale dell'infezione da HIV in una popolazione caratterizzata da una frequenza variabile di comportamenti a rischio è un processo certamente complesso.

La valutazione delle strategie di prevenzione e dell'effetto delle campagne dei mass-media presenta una quantità di problemi ancora maggiore che analizzeremo brevemente di seguito.

Innanzitutto si pongono alcune domande: quali indicatori dobbiamo utilizzare per valutare la diffusione dell'infezione da HIV nei tossicodipendenti? E' sufficiente basarsi su studi di prevalenza, magari ripetuti nel tempo, o è invece necessario effettuare studi di coorte su soggetti sieronegativi all'arruolamento? E se è valida la seconda scelta, quali bias possono verificarsi e condizionare l'attendibilità dei risultati acquisiti?

Per valutare lo stato della epidemia di HIV nella popolazione di tossicodipendenti residenti nel nostro paese ci serviremo di risultati ottenuti da diversi studi attuati con differenti metodologie cercando di tirare delle adeguate conclusioni.

Metodi utilizzati per valutare il trend dell'infezione da HIV.

A - Studi di prevalenza.

Gli studi di prevalenza sono di esecuzione relativamente semplice e forniscono utili indicazioni sulla diffusione dell'infezione da HIV nei tossicodipendenti. L'Organizzazione Mondiale della Sanità e la Comunità Europea raccomandano l'esecuzione e la ripetizione di studi di prevalenza a scadenze annuali per monitorizzare eventuali modifiche nel trend e modificazioni comportamentali.

Problemi insiti agli studi di prevalenza sono relativi alla definizione di caso (chi è il tossicodipendente che includiamo nello studio), nonchè al luogo del reclutamento. Per quanto riguarda il primo punto, si deve specificare se lo studio riguarda solo i soggetti che assumono droga per via endovenosa o anche chi usa altre vie di assunzione, se si tratta di nuovi ingressi (casi "incidenti") o soggetti già in carico ai servizi (casi "prevalenti") o entrambi. Inoltre, le citate organizzazioni internazionali hanno "sponsorizzato" l'esecuzione di studi su tossicodipendenti non in trattamento (in Italia condotti dall'Istituto Superiore di Sanità e dall'Osservatorio Epidemiologico della Regione Lazio).

Dati di prevalenza di periodo sono stati raccolti dal Ministero della Sanità a partire dal novembre 1985. Oltre 11.000 soggetti afferenti ai servizi pubblici di assistenza vennero testati nel periodo 1985-86, e la proporzione di sieropositivi risultò mediamente di poco inferiore al 40% sul territorio nazionale, con ampie variazioni da regione a regione. In Tabella 3 sono riportati i dati relativi ad un gruppo di regioni. Secondo i risultati dell'indagine si passava da una prevalenza inferiore al 10% nell'area di Napoli ad oltre il 60% di Milano e Cagliari.

Tabella 3.

PREVALENZA DI ANTICORPI IN TOSSICODIPENDENTI AFFERENTI AI SERVIZI, 1985-86.

____________________________________________________________

REGIONE N.HIV+ N. soggetti % Intervalli

testati confidenza

____________________________________________________________

PIEMONTE (1986) 382 1172 32.6 29.9-35.4

LIGURIA (1985) 913 2447 37.3 35.4-39.3

LOMBARDIA (1985) 432 787 54.9 51.3-58.4

VENETO (1985) 343 878 39.1 35.8-42.4

FRIULI V.G. (1986) 27 242 11.2 7.6-16.0

EMILIA R. (1985) 528 1089 48.5 45.5-51.5

LAZIO (1986) 560 1804 31.0 28.9-33.2

CAMPANIA (1986) 62 813 7.6 5.8- 9.7

PUGLIA (1985) 282 625 45.1 41.2-49.1

SARDEGNA (1985) 375 611 61.4 57.4-65.2

____________________________________________________________

Il problema delle variazioni regionali è stato evidenziato non solo in Italia ma anche in altri paesi europei (basti pensare che la prevalenza di anticorpi anti-HIV è del 5% a Glasgow e 50% a Edimburgo) (1).

Inoltre, uno studio effettuato a Roma ha mostrato differenze significative nella prevalenza di sieropositivi in tossicodipendenti afferenti a diversi centri di assistenza localizzati all'interno della stessa area urbana (2).

I dati riportati in tabella non sono comunque esenti da critiche. Innanzitutto, i tossicodipendenti afferenti ai servizi potrebbero non essere rappresentativi della popolazione globale; in particolare, i comportamenti legati all'uso della droga nei tossicodipendenti non in trattamento potrebbero differire rispetto a quelli dei soggetti in carico ai servizi, condizionando la diffusione delle infezioni. Inoltre, un bias di selezione potrebbe essere determinato da differenze nella modalità di accesso ai servizi o anche dalle diverse opportunità offerte dai servizi stessi (es. metadone, test sierologico, etc.).

Confrontando i tassi di prevalenza riportati in tabella 3 con i tassi di incidenza cumulativa di casi di AIDS segnalati in tossicodipendenti sino a fine 1990 (su 10.000 residenti di età compresa fra 15-49 anni) per regione, si riscontrava un coefficiente di correlazione relativamente basso (Fig. 14). Le ragioni che stanno alla base dello scarso adattamento dei dati possono essere molteplici:

1) I tassi di prevalenza registrati nel 1985-86 non tengono conto dell'anno di introduzione del virus, per cui un basso tasso di incidenza cumulativa può semplicemente essere la conseguenza di un ingresso tardivo dell'infezione da HIV nella regione;

2) I tassi di prevalenza riportati fanno riferimento a determinate aree urbane e sovrastimano la diffusione dell'infezione nella regione (scarsa rappresentatività del campione studiato);

3) I soggetti reclutati per il test sono diversi, ovverosia in alcune regioni il test viene offerto ai nuovi utenti, in altre si tratta di utenti "prevalenti";

4) Non si tiene conto della numerosità della popolazione di tossicodipendenti che può essere sotto o sovrastimata in riferimento alla popolazione generale compresa nelle rispettive fasce di età. Quest'obiezione non trova però conferma (anche se si tratta di una prova indiretta) nell'elevato coefficiente di correlazione riscontrato nel confronto fra numero di utenti e popolazione residente (Fig. 4).

Esiste comunque un ampio accordo nella comunità scientifica internazionale nel considerare l'epidemia da HIV nei tossicodipendenti come un insieme di cluster locali; la dinamica di diffusione del virus è pertanto estremamente complessa, e ciò renderebbe particolarmente difficile stimare il numero di soggetti infetti pur possedendo stime sul numero di soggetti dediti all'uso iniettivo di droghe.

Studi di prevalenza di periodo (raccolta dati effettuata in due mesi) sono stati utilizzati sia per stimare la proporzione di tossicodipendenti infetti in determinate aree geografiche italiane, sia per studiare la frequenza di singoli comportamenti a rischio e la loro eventuale associazione con la sieroposività. In particolare, due studi nazionali sono stati effettuati dall'Istituto Superiore di Sanità, coinvolgendo un numero elevato di servizi di assistenza per tossicodipendenti (3). La prevalenza di sieroposività riscontrata tra i soggetti reclutati durante il primo studio è risultata di poco superiore al 35%. Considerando la mancata partecipazione di centri localizzati nella fascia urbana di Milano, i risultati sembrano coerenti con quelli raccolti dal Ministero della Sanità negli anni precedenti.

B - Studi di prevalenza con metodo "anonimous unlinked" (anonimo "non legato").

Si intende uno studio sieroepidemiologico durante il quale il prelievo di sangue si effettua su soggetti, consenzienti al prelievo stesso, che non sono comunque informati sul fatto che sul campione raccolto verrà eseguito anche il test sierologico per HIV. Ad esempio, il test sierologico HIV potrebbe essere effettuato su un campione di sangue prelevato per eseguire l'esame sierologico per la lue. Una quota del campione (quella riservata all'esame HIV) verrà riposta in una provetta senza le informazioni relative all'identità del soggetto. Il risultato del test non verrà quindi comunicato.

Questo tipo di studi si adatta comunque più a gruppi di popolazione generale che ai tossicodipendenti. Quest'ultimi infetti sono generalmente interessati a conoscere il risultato del test sierologico HIV. Il metodo anonimous unlinked serve a facilitare l'esecuzione di uno studio laddove sia elevato il tasso di rifiuto da parte dei potenziali partecipanti o si vogliano evitare di "bias" dovuti ad autoselezione.

C - Studi su sieri congelati.

Anche se problemi metodologici possono influenzare la qualità del dato, soprattutto per quanto attiene a bias di selezione, le sieroteche forniscono un'utile fonte di informazione per ricostruire la storia naturale dell'epidemia.

L'HIV venne introdotto molto precocemente nell'area metropolitana di Milano (1979) e, uno o due anni dopo in altre città italiane.

Studi effettuati sui sieri congelati hanno permesso di ricostruire retrospettivamente la storia dell'epidemia da HIV in diverse popolazioni di tossidocipendenti italiani. Una parte di questi sieri erano stati raccolti a partire da soggetti che frequentavano servizi di assistenza pubblici e per lo più sottoposti a trattamento metadonico, o all'ingresso in comunità terapeutiche.

I dati che ne scaturiscono ci permettono di valutare l'incremento del numero dei soggetti sieropositivi che risulta notevole nel periodo 1981-1984, e ci permettono una valutazione sufficientemente attendibile della reale prevalenza di infezioni nelle aree urbane studiate.

Una seconda fonte di sieri è invece rappresentata da casistiche ospedaliere o da soggetti arruolati in studi sull'epatite virale. In questo caso i campioni sono maggiormente selezionati in quanto esiste una correlazione fra epatite virale B e sieropositività per HIV giustificata dalla similitudine delle modalità di trasmissione, o addirittura il motivo del ricovero potrebbe essere legato alla stessa infezione da HIV. Queste casistiche, anche se tendono a sovrastimare il fenomeno, ci hanno permesso di identificare con buona approssimazione l'inizio della diffusione dell'HIV nelle diverse aree urbane italiane (4). Infatti anche se non si può escludere che l'infezione fosse già presente in precedenza (dato che, ad esempio, solo 15 campioni di siero raccolti nel 1978 erano disponibili), sicuramente nel 1979 il virus già circolava fra i tossicodipendenti milanesi.

Talvolta è stato possibile effettuare il calcolo retrospettivo dei tassi di sieroconversione. Si è così scoperto che a Milano l'incidenza di nuove infezioni fra i tossicodipendenti era vicina al 20% nel 1983-84, ed era ancora del 17% a Bologna fra il 1984-85 (4).

D - Studi longitudinali.

1) Studi di coorte "classici".

Gli studi di coorte su tossicodipendenti sieronegativi rappresentano sicuramente una metodologia atta a fornire informazioni sulla diffusione dell'infezione da HIV.

Presentano però alcuni problemi non trascurabili:

1 - il bias di selezione:

A-si tratta di soggetti arruolati in centri di assistenza e/o strutture cliniche;

B-i soggetti che accettano di essere seguiti potrebbero differenziarsi dagli altri tossicodipendenti.

2 - la possibilità di influenzare, informare e agire sulla tossicodipendenza è maggiore se il soggetto è strettamente a contatto con la struttura sanitaria.

3 - il drop-out, spesso considerevole, dei soggetti arruolati. In alcuni paesi si arriva a dare un contributo finanziario ai tossicodipendenti al fine di ridurre le dimensioni del problema.

I dati di alcuni studi di coorte eseguiti in diverse aree del nostro paese sembrano indicare una tendenza alla diminuzione nella incidenza di nuovi casi di infezione che, pur coi limiti di selezione e numerosità dei campioni, appare in qualche misura evidente. Naturalmente, questo fenomeno può essere in parte attribuito all'effetto di modifiche comportamentali, in parte ad un effetto di saturazione di uno strato di popolazione costituito da tossicodipendenti che potremmo definire ad "alta frequenza di scambio della siringa".

Rimane comunque il fatto che tutti i dati sinora raccolti (sia di prevalenza che di incidenza) si riferiscono a tossicodipendenti che afferiscono alle strutture sanitarie, mentre poco o nulla sappiamo di coloro che vivono "sulla strada".

In anni più recenti il tasso di sieroconversione sembra essersi comunque stabilizzato in alcune aree italiane intorno al 5% anno.

In 4 piccole città lombarde (Voghera, Vigevano, Magenta, Abbiategrasso) il tasso di sieroconversione nel periodo 1985-86 era del 3.7% (218 tossicodipendenti seguiti) e del 5.7% nel 1986-87. Nell'area metropolitana di Milano l'incidenza annuale di nuove infezioni si aggirava sul 7% anni-persona nel 1987-88, pur con ampie variazioni a seconda della fascia urbana considerata. A Roma, infine, era intorno al 7-9% nel periodo 1985-87 (5,6,7,8).

2) "Seroconversion studies".

Si tratta di una metodologia che permette, analogamente agli studi di coorte, la stima dell'incidenza dell'infezione da HIV.

A differenza degli studi di coorte classici, la base della coorte in questo caso è rappresentata da tutti i soggetti afferenti ad una determinata struttura (es. sezione di screening anonimo, centro assistenza tossicodipendenti, etc.) che sono tornati a fare il test almeno una volta durante il periodo considerato.

I vantaggi rispetto ad uno studio di coorte sono rappresentati dal risparmio di soldi ed energie (in quanto ci si basa su tests routinariamente eseguiti), e dal fatto che in pratica lo studio non risente del problema del drop-out (9).

Naturalmente, il bias di selezione può derivare dal tipo di soggetti che decidono di ricorrere frequentemente al test, ed è in ciò analogo al bias del reclutamento nelle coorti di sieronegativi.

I requisiti dei centri che possono partecipare ad un seroconversion study sono i seguenti:

1-elevata afferenza;

2-ripetuta offerta del test ad una ampia popolazione;

3-mancanza di autoselezione (rappresentatività della popolazione

testata).

Uno studio condotto a Roma ha svelato un tasso di nuove infezioni pari al 9% anni-persona nel periodo 1985-87 e che scendeva al 5% nel triennio 1987-89 (8).

E - Uso di diverse misure per valutare il trend dell'infezione da HIV nei tossicodipendenti.

Come già riportato a New York (10), anche in Italia si osserva un fenomeno caratterizzato dalla relativa stabilizzazione del tasso di prevalenza di anticorpi anti-HIV nei tossicodipendenti di diverse città, in presenza di un tasso di nuove infezioni moderato ma costante. L'esempio tipico è rappresentato da città in cui il tasso di prevalenza si aggira intorno al 30-40% ormai da 4-5 anni, mentre l'incidenza di sieroconversioni è del 5% circa (8). Si assiste cioè ad una stabilizzazione dei tassi di prevalenza in presenza di una ridotta di sieroconversioni. I fattori che contribuiscono a tenere costante la prevalenza di anti-HIV nonostante il verificarsi di nuove sieroconversioni sono riportati in Tabella 4.

Tabella 4.

Fattori determinanti la stabilizzazione del tasso di prevalenza di anticorpi anti-HIV nei tossicodipendenti per via e.v.

____________________________________________________________

FATTORI CHE DETERMINANO UN TASSO DI PREVALENZA STABILE IN PRESENZA DI UNA BASSA INCIDENZA DI NUOVE INFEZIONI DA HIV.

____________________________________________________________

A-FATTORI CHE DETERMINANO B-FATTORI CHE DETERMINANO

"L'EFFETTO DILUIZIONE": UN TASSO MODERATO DI

NUOVE INFEZIONI:

perdita di persone sieropositive

dalla scena della droga saturazione del sotto-

gruppo ad alta frequenza

perdita di persone sieropositive di comportamenti a

per AIDS o decessi correlati rischio

all'uso di droga

adozione di pratiche che

continuo/aumentato ingresso riducono il rischio

di sieronegativi nella scena infettivo

della droga

incrementato accesso al test

sierologico

esaurimento della domanda di

test sierologici da parte dei gruppi

a rischio più elevato

____________________________________________________________

F - Studi comportamentali e indagini su conoscenza, attitudine e pratica.

Gli studi comportamentali eseguiti mediante intervista standardizzata (questionario) sono stato ampiamente utilizzati soprattutto per individuare i fattori di rischio per l'infezione da HIV e l'eventuale verificarsi di modifiche comportamentali. Tali studi sono utili anche per valutare l'efficacia degli interventi di prevenzione. Vantaggi di tali indagini sono il basso costo e la facilità di esecuzione. Gli svantaggi sono insiti nel tipo di dati raccolti (cosiddetti "soft"), dalla limitata accuratezza del metodo di raccolta dati, nonchè dalla limitata riproducibilità dell'informazione raccolta. Uno dei fattori che possono ad esempio inficiare la qualità dell'informazione è la compiacenza nei confronti dell'intervistatore. Comunque, le indagini comportamentali sono di utile complemento alla raccolta di dati "hard" nell'ambito dei programmi di sorveglianza epidemiologica.

Modifiche comportamentali sono state osservate in tossicodipendenti residenti in diverse aree italiane, anche se la riproducibilità dei dati raccolti in base a protocolli non standardizzati può non essere molto elevata.

A Verona è attivo da alcuni anni un programma di educazione sanitaria orientato ai tossicodipendenti che entrano nei programmi a base di metadone. Ad Aviano, invece, il solo counseling è stato offerto al momento della comunicazione dei risultati del test sierologico, trattandosi di una struttura clinica e non di un centro specializzato per l'intervento sui tossicodipendenti.

La valutazione dei programmi in atto a Verona è attualmente in corso, ed il cambio dei comportamenti (nonchè l'attitudine alle modifiche) viene analizzato con il metodo dei questionari pre-post test.

Nel 1987 è stato condotto in Italia il primo studio nazionale di prevalenza sui tossicodipendenti afferenti ai servizi. L'esame dei fattori di rischio e delle modifiche dei comportamenti rivelò che queste ricorrevano più frequentemente in soggetti sieropositivi rispetto a soggetti sieronegativi o non testati. Inoltre, risultava anche che la modifica dei comportamenti legati all'uso di droga era più frequente rispetto all'adozione di pratiche sessuali sicure.

Gli studi su "conoscenza, attitudine e pratica" servono a valutare il grado di informazione e l'attitudine alla modifica dei comportamenti. Da indagini sinora eseguite negli USA è risultato che i tossicodipendenti sono meglio informati sulle modalità di trasmissione dell'HIV rispetto alla popolazione generale. Il problema è allora quello della attitudine al cambio comportamentale. Esiste infatti un vero "gap" fra il livello di informazione e la modifica reale del comportamento, con particolare riguardo al comportamento sessuale.

Infine, studi etnografici/antropologici possono fornire indicazioni complementari a quelle raccolte mediante le metodologie sopra indicate, specialmente se condotti direttamente sulla scena della droga.

G - Uso di marcatori indiretti.

L'uso dei marcatori indiretti per stimare sia il trend nell'uso di droghe che gli effetti della perpetuazione di comportamenti a rischio pone problemi assai delicati. Infatti, dal momento che la prevalenza di marcatori di epatite B nei tossicodipendenti italiani è assai elevata, si ha una sorta di effetto saturazione che di per sé tende a far decrescere il numero di casi di epatite B di assenza di un ampio e rapido turn-over della popolazione considerata (ovverosia il numero di nuovi tossicodipendenti a rischio di epatite).

Sebbene una diminuzione dei ricoveri per epatite virale acuta, accompagnata da un aumento degli ingressi in programmi terapeutici di detossificazione, sia stata segnalata in alcune località, la diminuzione dei nuovi casi di epatite B fra i tossicodipendenti non sembra essere così drammatica come aspettato. Questi dati inducono a pensare che un numero non precisato di tossicodipendenti continua a perpetuare comportamenti a rischio per l'acquisizione di infezioni quali l'epatite B l'infezione da HIV.

Stime del numero di tossicodipendenti con infezione da HIV.

Il numero di tossicodipendenti con infezione da HIV non è noto. Una stima di minima, considerando un numero di 150.000 tossicodipendenti ed una prevalenza media del 30% (valori peraltro probabilmente conservativi), indicherebbe comunque un numero non inferiore alle 45.000 unità. Considerando invece un numero di 170.000 tossicodipendenti (il limite di confidenza maggiore stimato da uno studio del CNR) ed una prevalenza media (peraltro non pesata) del 40%, ci avvicineremmo alle 70.000 unità. Usando invece stime ricavate col metodo della back-calculation si ottiene una stima di circa 50.000 tossicodipendenti infetti. Se si considera che poco più di 6.000 casi di AIDS si sono verificati sino ad oggi in tossicodipendenti, si può immaginare l'impatto futuro dell'epidemia. Inoltre, dal momento che i tossicodipendenti sono mediamente giovani, i modelli di predizione dovranno tener conto dell'effetto età. Infatti, dal momento che il periodo di incubazione mediano è più lungo in soggetti di età inferiore ai 25 an

ni alla sieroconversione, l'epidemia di AIDS tenderà ad allungarsi nel tempo. Ciò significherà anche, in termini di infettività, un aumento del rischio di esposizione a soggetti infetti da parte di nuovi tossicodipendenti e partner sessuali.

Conclusioni.

Il tasso di prevalenza di anticorpi anti-HIV nei tossicodipendenti di diverse città italiane è pressoché stabile a partire dal 1985. L'incidenza di nuove infezioni è diminuita, anche se resta relativamente elevata in alcune città. Ciò induce a pensare che si stia raggiungendo la saturazione di sottogruppi ad elevata frequenza di comportamenti a rischio. La diffusione dell'infezione avviene comunque a "macchia di leopardo", essendo presenti ampie variazioni non solo da regione a regione, ma anche da città a città all'interno della stessa regione, e fra aree diverse all'interno della stessa area urbana. Ciò rende estremamente difficile non solo stimare il numero totale di tossicodipendenti infetti (ammesso che fossimo a conoscenza dei denominatori), ma rappresenta anche un elemento di critica nei confronti di stime basate su un tasso di prevalenza medio a livello nazionale.

Esiste un futuro attualmente non prevenibile dell'epidemia di AIDS, dipendente dal numero di soggetti già infetti, dal tasso di progressione dell'infezione verso l'AIDS, e dalla lunghezza del periodo di incubazione (quest'ultima può essere influenzata dall'uso di farmaci antivirali e/o dalla prevenzione dell'insorgenza di gravi infezioni opportunistiche). Come risulta però dai dati presentati sopra, continuano a verificarsi nuovi casi di infezione, anche se l'incidenza delle sieroconversioni tende a diminuire. Il futuro dell'epidemia dipenderà molto da quanto gli interventi di prevenzione saranno in grado di arginare la diffusione dell'infezione da HIV per via eterosessuale dai tossicodipendenti alla popolazione sessualmente attiva.

Bibliografia

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