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Conferenza droga
Salvidio Ascanio - 7 luglio 1991
OI Dialogoi/ 633

E ci si e' messa pure la Terni a scrivere i dialoghi, dopo Platone, Napoleone e Bellavista ! Volevo lasciare un piccolo messaggio su tema ben diverso dalla droga in questa conferenza, ed ecco che mi imbatto in un testo candido ed interessante come immagino sia colei che ne e' l'autrice. Che fare ? Sara' che due giorni or sono mio figlio (3 anni e mezzo) ha portato a casa dal parco una bella siringa usata, sara' che io stesso, quando entro la mattina in ufficio dietro Piazza di Trevi devo stare attento a non ferirmi con gli aghi lasciati sul portone dai disperati che si aggirano li' attorno... ecco, anche io mi sento in vena di dire la mia sulla droga, visto che in qualche modo e' riuscita ad entrtare anche nella mia dimora, quella di uno che non ha mai nemmeno provato a fumare una sigaretta (che puzza!), e che beve vino solo ai compleanni.

Il dialogo 633 ha un pregio: riassume grossomodo il pensiero antiproibizionista, che si basa su alcuni assunti ben precisi. I due principali di essi sono la convinzione che non vi sia una ragione etico-morale per inibire a chicchessia il consumo di droga, e il sospetto che una somministrazione a prezzi popolari degli stupefacenti comporterebbe il crollo del mercato nero.

Il primo punto, seppur condivisibile in astratto (ciascuno e' libero di farsi bene o male a suo piacere), in pratica trova un forte limite allorche' questa liberta' individuale di disporre a piacere del proprio organismo e stato psico-fisico viene rivista alla luce della altrettanto reale responsabilita' di ciascun individuo verso altri individui. Cosi', se e' facile scrollare le spalle e dire fra se' "peggio per lui, ma faccia come crede" nei confronti del navigatore solitario che imbarca in Somalia dieci chili di Hashish per somministrarseli in alto mare, e' del tutto impossibile non censurare la coppia di giovani sposi, che trasferitisi a Londra per motivi di lavoro, e in attesa di un figlio, si lasciano andare a curiosita' imbecilli che li rendono in pochi mesi degli incalliti cocainomani, con conseguenze immaginabili per il disgraziato messo al mondo da loro (ho citato due esempi a me noti). Quando un atto volontario e deliberato, ovvero una manifestazione di arbitrio libero, ricade come una nemesi sul

capo di chi si affida a noi, la liberta' individuale sconfina nel sopruso e nella violenza. Per questo, se in astratto "drogare ci si puo'", in pratica il piu' delle volte "drogare non ci si deve". Malgrado cio', una legge che punisca chi si droga, come avviene attualmente in Italia, se pure ha un fondamento nella tutela di esseri umani dalla violenza perpetrata ai loro danni da altri esseri umani abusatori della propria liberta', e' socialmente inefficace (non e' un deterrente tale da scoraggiare il consumo), non tiene conto dello stato di necessita' in cui versa chi si droga (l'assuefazione) e rischia alla lunga di produrre un fenomeno culturale di rigetto completo di ogni limitazione al consumo di stupefacenti. In tutta franchezza, una cattiva legge quale quella attuale mi sembra fatta ad arte perche' il consumo di droga si imponga ancor piu' spaventosamente allorche' le disposizioni vigenti verranno rimosse.

Il secondo punto, la somministrazione a prezzi popolari di stupefacenti, e' veramente il cavallo di battaglia degli antiproibizionisti. E' una ipotesi di grande fascino. Ma anche essa ha il sapore dell'utopia tipica di tutti i disegni partoriti dalla cultura di sinistra negli ultimi due secoli. Perche' il mercato nero della droga scompaia con tutti i mostri da esso generati, occorrerebbe che gli stupefacenti venissero venduti dallo stato senza limitazione alcuna e ad un prezzo simbolico. Cio' presume due condizioni tecnicamente impossibili: 1. una disponibilita' illimitata delle sostanze stupefacenti; 2. una capacita' perfetta da parte dello stato di distribuire beni e servizi.

Riguardo alla prima condizione, la disponibilita' illimitata di stupefacenti, non c'e' di che farsi illusioni. Qualsiasi bene che occorra ricavare attraverso un processo produttivo, anche il piu' semplice, non e' illimitatamente disponibile. Per gli stupefacenti il discorso e' molto complesso, dato che si tratta di "beni" riconducibili a svariate decine di sostanze presenti in natura o ottenibili artificialmente. In ogni caso, persino coltivazioni semplici quali la cannabis o il papavero, sono fortemente limitate dal clima a ben precise aree geografiche. Se pure in teoria lo stato riuscisse a coprire il fabbisogno attuale dei tossicodipendenti con acquisti sul mercato internazionale, la probabile rapida estensione del consumo conseguente ad una liberalizzazione ed ai "prezzi popolari" farebbe saltare ben presto qualsiasi budget finanziario di approvvigionamento. Si scatenerebbe una rincorsa alla produzione delle sostanze di base, con due scenari possibili. Il primo, quello di una statalizzazione della produz

ione stessa, con tutti i difetti ormai comprovati di una economia gestita dallo stato. Il secondo, quello di una speculazione privata legalmente riconosciuta e tutelata, che puntando alla massimizzazione del profitto e avendo quale unico acquirente lo stato stesso finirebbe per generare una serie infinita di effetti collaterali disgustosi (maggiori tasse, debito pubblico, corruzione, lottizzazione partitica della produzione, ecc.). Per la cronaca, se il sistema Federconsorzi e' andato a gambe all'aria, cio' si e' dovuto anche ad un fenomeno molto simile a quello citato: lo stato comperava dai produttori agricoli in condizioni antieconomiche.

Riguardo alla seconda condizione, la perfetta capacita'dello stato di distribuire beni e servizi, non penso che nessuno, nemmeno un vetero-comunista, ci creda seriamente oggi. Torno da un viaggio di lavoro Mosca e testimonio volentieri la totale disfatta di una cultura che ha posto lo stato al disopra dell'iniziativa del singolo individuo. Pensateci: se tale condizione non viene soddisfatta, il castello di carte dell'antiproibizionismo crolla del tutto, perche' si ritorna inevitabilmente al mercato nero.

Non credo dunque, che la soluzione antiproibizionista offra realmente una via di uscita alla societa' italiana e mondiale. Una utopia non e' una via di uscita. E questa e' una utopia da capo a piedi.

Al proibizionismo di marca nostrana ed all'antiproibizionismo radicale preferisco una terza via, quella della lotta senza quartiere, penale e militare, allo spaccio ed alla produzione, con il superamento di pudori falsi e di falsi miti, quali la non ingerenza di uno stato nelle faccende di un altro stato. A condizione, come sempre, che un pari impegno sia dedicato all'assistenza di chi e' rimasto vittima di se stesso per essersi infilato un ago nel braccio, uno spinello in bocca o un po' di polvere nel naso.

 
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