Più di mille cadaveri in due mesi. La sporca guerra dei narcos non risparmia nessuno. E vivere è ormai un lusso.di Claudio Fava - Europeo n.30/26 luglio 1991
"Hijos de puta!". Il generale Marquez digrigna i denti e mi mostra un pezzo di carta: c'è la sua faccia stampata sopra con una lunga fila di zeri accanto. E' la taglia che i narcos hanno messo sulla sua testa, un milione di dollari a chi farà fuori il capo del Das, il Dipartimento di sicurezza colombiano. "Figli di puttana", ripete piano il generale indicando la pila di volantini in un angolo del suo ufficio. Li hanno trovati nella macchina di un tipo che li distribuiva porta a porta, nei barrios più miserabili di Medellin. E' un'idea dei narcos: hanno già tentato di liquidare Marquez tre volte, ma gli è andata sempre male. L'ultima, un anno fa, quando hanno fatto saltare in aria con un quintale e mezzo di dinamite la sede della polizia di Bogotà, un edificio di dieci piani che si è sbriciolato in pochi istanti. Settanta morti e quattrocento feriti. Il generale? Neppure un graffio. Tanto vale allora mettere una taglia...
La disfatta. La resa. "Lo stato di diritto", scrive il settimanale francese Le Point, "non esiste più: in Colombia come in Italia". La mafia è ormai una quinta colonna nel cuore delle istituzioni, ha corroso, lacerato, ucciso, umiliato. Medellin come Palermo? No, non ancora. In Sicilia la violenza è cupa ed essenziale: i sicari uccidono, i corrotti corrompono, gli onesti si ribellano. A ciascuno il suo, senza troppa fantasia. A Medellin invece c'è sempre una piccola risata oscena in agguato da qualche parte, un ultimo guizzo di disperata ironia. La taglia sulla testa del generale, le bestemmie che il povero Marquez mi sibila all'orecchio, oppure queste improbabili cronache di pace e di giustizia, di arresti e di tregue. Pablo Escobar, per esempio: il padrino del 'cartel' di Medellin s'è fatto costruire una confortevole residenza in cima alle colline di Envigado, una grande cella blindata, doppi servizi, sauna, palestra e cappella privata. Poi ha spiegato ai governanti di Bogotà che quella sarebbe stata la s
ua 'prigione' per un paio d'anni, così saldiamo tutti i vecchi conti. Un mese fa, con un nugolo di picciotti intorno, ha varcato la soglia del suo carcere e si è costituito alla giustizia colombiana.
Una resa? Diciamo solo che si è trattato di un onesto calcolo: per chi si consegna alla giustizia, ha promesso il presidente Gaviria, ci sarà un generoso sconto di pena e un prudente processo in terra colombiana. Non è poco. L'ultimo grande ostacolo, il trattato di estradizione con gli Usa, è stato spazzato via il cinque luglio scorso con l'entrata in vigore della nuova costituzione: tregua, dunque. Eppure Medellin non sembra essersene accorta. Poche ore dopo l''arresto' di Escobar, per le strade della città s'è tornato a sparare. E ad uccidere: quattordici morti in poche ore, nel mucchio anche tre ragazzini e un paio di poliziotti dell'antinarcotici. Insomma tutto come prima.
Tutto come prima nelle altre galere della città. Per esempio a Bellavista, quattromila detenuti in un penitenziario che potrebbe ospitarne la metà. "L'altra volta abbiamo trovato un bomba addosso ad una donna che andava al colloquio col marito. Se l'era infilata nella vagina...". Adier Ramirez, il direttore del carcere, ha un'aria rassegnata. "Ci sono in media due omicidi al giorno, qui dentro. Cosa vuole che faccia? Per una manciata di pesos i secondini sono disposti a fare entrare in cella qualsiasi cosa. Guardi, questo è il verbale dell'ultima perquisizione che abbiamo fatto: 134 coltelli, tre revolver, due granate anticarro e un Kalashnikov nuovo di zecca".
"Vamos a acabar con el nercotrafico!", dichiara ogni sera il presidente Gaviria in televisione. Lo dice con voce accorata e solenne, agita piano quella piccola testa da putto e continua a ripetere che alla fine la giustizia trionferà, parola di presidente. I colombiani lo ascoltano con religiosa devozione, osservano la sua aria per bene e quel sorriso un po' obliquo: vorrebbero credergli, ma le immagini di Medellin continuano ad essere i fotogrammi di una città in guerra...
Una guerra 'suicia', sporca, perché le ragioni della violenza hanno finito per moltiplicarsi e confondersi, perché nei primi due mesi di quest'anno sono state ammazzate più di mille persone. Venti morti al giorno: i più anziani raramente avevano fatto in tempo a compiere vent'anni.
L'ultima strage, a febbraio, ha avuto perfino un suo elegante nome in codice. 'Operacion limpieza': un macabro eufemismo per celebrare il massacro di nove ragazzini - il più piccolo otto anni, il più vecchio ventidue - fucilati ai bordi di un campetto di calcio da un commando armato di Kalashnikov. Il giorno dopo è toccato a due loro amici. I sicari sono andati a prenderli a scuola, in classe: li hanno chiamati per nome e cognome, quelli sono usciti docilmente dai banchi e sono stati abbattuti con una revolverata alla nuca davanti ai loro compagni.
Bande di giustizieri. Regolamenti di conti. Squadracce paramilitari. La morte, a Medellin, segue infiniti percorsi. Ad aprile hanno fatto fuori più di sessanta poliziotti. Sessanta omicidi apparentemente inutili, giovanotti freschi di uniforme, tutti ammazzati con lo stesso sbrigativo rituale, due sicari in moto, quattro o cinque revolverate in faccia e via. Ogni tanto la 'policia nacional' mette insieme cento uomini e mezza dozzina di autoblindo per andare all'assalto della periferia, a vendicare i propri morti. Moschetto in pugno, rastrellano uno ad uno i ghetti della Comuna Oriental: villaggi miserabili, strade di fango e tetti in lamiera, mimetizzati dietro nomi lieti e improbabili. La Milagrosa, Villa Hermosa, La Paz...
Per i ragazzi cresciuti su queste colline, essere arruolati come sicari dai narcotrafficanti è soprattutto una promozione sociale.
In fondo, questa guerra si è trasformata in un buon business per tutti. Fra le carte dei narcos, dopo una perquisizione, è stata trovata una minuta con i nomi di tutti gli uomini sul libro paga di Escobar: magistrati, deputati, avvocati, docenti universitari... Accanto a ogni nome, la cifra pagata: in tutto, più di un milione di dollari. La lotta al narcotraffico è un affare miserabile ma provvidenziale. Anche per i poliziotti: con un magro salario che non raggiunge neppure i 100 dollari, molti arrotondano il bilancio vegliando sui traffici del 'Cartel'.
"L'hanno scorso abbiamo incriminato più di 500 poliziotti per corruzione e omicidio", mi spiega Carmen. Carmen e basta, perché fare il giudice, a Medellin, non è un mestiere felice. Non lo è stato neppure per Maria Helena Diaz, che aveva la stessa età di Carmen e faceva anche lei il magistrato. Un tipo cocciuto, quella donna: s'era fissata ad indagare su una storia di provincia. Una "matanza", come la chiamano da quelle parti: 74 campesinos passati per le armi. Colpevoli d'aver coltivato strane idee sulla riforma agraria e sulla distribuzione delle terre.
"Maria Helena scoprì che alle porte del paese c'era un presidio militare e che gli ufficiali non avevano fatto nulla per impedire quel massacro", ricorda l'amica, "il presidente del tribunale di Medellin le assegnò una scorta e le suggerì di lasciar perdere, che con quei fanatici non si sa mai. Lei invece andò avanti. Andò avanti solo per due giorni... Era un mercoledì. L'hanno ammazzata venerdì mattina, lei e i suoi tre uomini di scorta. Le hanno contato diciannove pallottole in corpo, tutte nello spazio di pochi centimetri". Medellin è anche questo.
La guerra contro Pablo Escobar è servita da pretesto e da copertura per infinite altre guerre. "Se prosciugassero il rio Magdalena, troverebbero i resti di centinaia di persone", mi racconta un professore di diritto dell'Udem, una delle quattro università della città. E' l'unico docente ad aver accettato di parlare con me: "Hanno paura, negli ultimi mesi sono scomparsi decine di professori e di studenti: avevano alzato la voce, parlavano di diritto allo studio. Ci vuole poco, a Medellin, per finire sul libro nero...".
I ragazzi ci sfilano accanto in silenzio. Hanno capelli umidi di brillantina e il pettine infilato nella tasca dei pantaloni.
Salutano con un cenno del capo e vanno via svelti. "Pablo Escobar lo hanno preso, ma questa guerra non finirà mai lo stesso", dice il professore.
Claudio Fava
C'E' CHI SPERA NELLA COSTITUZIONE
Da dieci giorni la Colombia ha voltato pagina. Dopo cinque mesi di lavoro, i 74 deputati dell'Assemblea costituente hanno consegnato al Congresso la nuova costituzione: 397 articoli che ridisegnano il profilo politico e istituzionale del paese facendo piazza pulita dell'oligarchia bipartitica rimasta al potere, ininterrottamente, per più di trent'anni. La vecchia carta costituzionale del '57 prevedeva che i liberali e i conservatori avrebbero governato per quattro anni ciascuno: allo scadere della legislatura sarebbe cambiato tutto. Dal presidente della Repubblica fino all'ultimo degli impiegati. Per un po' è andata avanti, poi il quadro politico si è modificato: i conservatori hanno perso terreno, gli ex guerriglieri dell'M 19 si sono imposti come secondo partito, s'è fatta avanti una nuova generazione di leader politici dinamici e spregiudicati. Il presidente Cesar Gaviria, eletto un anno fa, è uno di loro. Appena insediato, ha soppresso lo stato d'assedio (in vigore dal '48).
LA MULTINAZIONALE DEL CRIMINE
Secondo i dati raccolti dalla Dea (Drug Enforcement Agency, l'antinarcotici statunitense) i narcotrafficanti del 'Cartel' di Medellin e di Cali, le due capitali della cocaina colombiana, controllano l'80 per cento del mercato mondiale della coca con profitti che superano i 90 milioni di dollari l'anno (circa centoventi miliardi di lire). La mafia colombiana spedisce ogni anno negli Stati Uniti quasi 500 tonnellate di "neve" che vengono piazzate, all'ingrosso, a 30 mila dollari al chilo. Insomma, una multinazionale del crimine che ha permesso a Pablo Escobar e ai suoi rivali di Cali (i fratelli Rodriguez Orcjucla) di essere inclusi dalla rivista americana Forbes, nella classifica dei trenta uomini più ricchi del mondo. La Dea afferma che solo una parte di questo denaro rimane in Colombia: quanto basta, comunque, a condizionare l'economia del paese. Si ritiene che le entrate del narcotraffico rappresentino oggi il 20-25% dei redditi prodotti dalla Colombia.