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Conferenza droga
Fiorenzi Massimiliano - 17 settembre 1991
AIDS/CARCERI : TEST HIV

Quanto segue è un'articolo di Francesco Cerudo pubblicato su "Il medico d'Italia" del 16/09/91. Cerudo è il presidente dell'AMAPI, e ripropone il quesito se l'obbligatorietà del test Hiv non sia da introdurre per legge in tutti gli istituti di pena.

Personalmente sono contrario poiché il segreto all'interno delle carceri è solo un'utopia, un segreto di pulcinella. Sono fermamente convinto che l'introduzione obbligatoria del test Hiv in carcere può essere solo l'avvio a misure coercitive verso i detenuti e i sieropositivi in genere.

Se mi fosse chiesto, sconsiglierei di sottoporsi al test in carcere poiché la situazione non muterebbe di certo. Le possibilità di cura in carcere sono nulle, e fattori di rischio di una ulteriore ghettizzazione altissimi.

Riporto ugualmente questo articolo perché lo ritengo utile allo svolgimento di un dibattito che in questa conferenza tende un po' a languire.

Massimiliano Fiorenzi

Test obbligatorio per l'Hiv nelle carceri ?

Accertamenti e cure mirate.

di Francesco Ceraudo

L'ufficio di presidenza dell'Amapi richiama ancora una volta l'attenzione sulla drammatica situazione dell'Aids in carcere.

Le stime attuali non riflettono la realtà, perché soltanto il 30 per cento dei detenuti si sottopone volontariamente al test. Molti sono i casi di Aids conclamato diagnosticato in carcere (oltre 300), ma si nutre il serio timore che molti di più siano quelli non diagnosticati.

Allora bisogna organizzarsi. Alla luce della nostra esperienza e competenza, non condividiamo assolutamente che vada sottoposto al test per la ricerca di anticorpi Hiv soltanto il detenuto che ne faccia esplicita richiesta, ne tanto meno che sia il medico penitenziario a consigliare a chi appartiene alle categorie a rischio, cioè tossicodipendenti e omosessuali, di fare il test.

Attualmente solo il 30 per cento dei detenuti sfida i pregiudizi, le paure, gli allarmismi che arrivano dopo la richiesta del test.

Noi medici penitenziari riteniamo improcastinabile ed indispensabile che il detenuto, appena entra in carcere, venga sottoposto al test, così come attualmente viene sottoposto per legge alla rivelazione Wasserman per la sifilide. Il test obbligatorio consentirebbe di determinare l'incidenza finalmente reale della malattia nella popolazione detenuta al riparo dalle attuali cifre approssimative. In questi termini si determinerebbe con precisione l'incidenza e l'evoluzione della malattia, mirando gli interventi terapeutici. La stessa indagine a campione prospettata dalla commissione nazionale dell'Aids ha il sapore di un banale compromesso in quanto non corrisponde alle reali esigenze.

persistendo la non obbligatorietà del test, numerosi portatori di virus Hiv possono rimanere sconosciuti con conseguente impossibilità, per l'amministrazione carceraria di tutelare la loro salute e quella degli altri detenuti sani, nei quali a causa della lunga incubazione del virus la malattia potrebbe manifestarsi a distanza di notevole tempo.

Quindi test obbligatorio per i detenuti all'entrata del carcere, un test non ad personam, dunque non discriminante e con la massima riservatezza sugli esiti. E ciò, da un lato in forza degli stessi principi fondamentali della Costituzione, dai quali si può appunto evincere un dovere statale di privilegiare, in determinate circostanze, la salute della comunità, rispetto alla libertà individuale. E dall'altro in ragione del duplice compito preventivo dell'amministrazione penitenziaria nei confronti dell'infezione da Hiv: informazione-educazione e vigilanza-controllo.

Con lo screening obbligatorio si consentirebbe di attuare accertamenti mirati e cure mirate, rendendo operativa la profilassi costante in presenza di determinati quadri di infezione suscettibili di recidiva in ambiente altamente e pericolosamente promiscuo come quello penitenziario. pertanto è pretestuoso affermare (Commissione Nazionale Aids ) l'inutilità del test in mancanza di cura.

Ne possono costituire una remora gli eventuali falsi sieropositivi, in quanto ripetizioni dell'Elisa, Western blot, Pcr, ormai mettono al riparo da questa evenienza. Ostinarsi a non riconoscere la necessità del test obbligatorio in un ambiente gravemente a rischio come il carcere equivale a pretendere di trasformare i medici penitenziari in esecutori materiali inconsapevoli di condanne a morte.

 
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