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Conferenza droga
Fiorenzi Massimiliano - 23 ottobre 1991
AIDS / CARCERE / TEST

AIDS NEI PENITENZIARI E SCREENING OBBLIGATORIO

(continuazione del dibattito in corso)

Il problema dell'infezione da Hiv in carcere è senza dubbio tra i

più drammatici ed urgenti. Secondo i dati della Direzione Generale

degli Istituti di Prevenzione e Pena , su 29.987 detenuti

sottoposti nel 1989 ad indagini sierologiche per l'accertamento

dell'infezione da Hiv , sono 4.618 (15,4%) i detenuti risultati

sieropositivi asintomatici, 1.144 (3,8%) i detenuti in fase LAS

303 (1%) quelli in ARC e 125 (0,45) i casi di AIDS conclamato.

Come LILA ci siamo più volte pubblicamente espressi contro

l'obbligatorietà dell'esecuzione del test Hiv nelle carceri,

iniziativa che giudichiamo pericolosa, discriminatoria e di scarsa

o nulla utilità a fini epidemiologici, preventivi e di promozione

della medicina di comunità. Infatti l'art. 32 della Cost. e l'art.

33 L.833/78 escludono categoricamente la possibilità di

trattamenti sanitari non volontari per la patologia in oggetto

(come del resto ribadito dalla L.135/90), tanto più selettivamente

rivolti a specifici gruppi di popolazione (i cittadini detenuti).

In tal senso si è più volte autorevolmente espressa la stessa Dms

(cfr. la risoluzione del 16-18/11/1987), censurando inoltre ogni

pratica discriminatoria verso i sieropositivi dentro e fuori il

carcere, compreso l'isolamento carcerario ; tale permane poi

l'orientamento del ministero della Sanità e della Commissione

Nazionale Aids. In assenza di una terapia curativa di reale

efficacia, ed essendo ancora sub judice la definitiva valutazione

dell'impiego di zidovudina ad alto rischio, ci chiediamo quale

possa essere l'utilità di una indagine tendente a determinare

"l'incidenza ed evoluzione della malattia, minando gli interventi

terapeutici".

Ci sembra poi da non sottovalutare il problema dei falsi positivi,

senza tener conto dell'esistenza del periodo finestra, che inficia

la validità del dato di negatività e della conseguente necessità

di ripetere indefinitivamente la valutazione sierologica, costi

economici certo non indifferenti, visto il numero della

popolazione carceraria in continuo aumento.

In un ambiente quale quello carcerario, già pesantemente degradato

per cause vecchie e nuove (sovraffolamento cronico, carenze

strutturali e di organico, incremento dei fenomeni di

microcriminalità e dell'ingresso di tossicodipendenti, punibili in

quanto tali, dopo l'approvazione della L. 162/90) nessuna seria

opera di prevenzione è stata fino ad ora intrapresa. Misure di

prevenzione efficaci (distribuzione di profilattici, installazione

di macchine distributrici di siringhe) aldilà delle oggettive

difficoltà alla loro realizzazione, non vengono neppure prese in

considerazione per mancanza di volontà politica, pregiudizio

culturale, ipocriti fenomeni di doppia morale.

E' noto a tutti, infatti, che se le siringhe non possono entrare

nelle carceri l'eroina vi circola liberamente e vi è un fiorente

mercato di "affitto" delle poche siringhe disponibili : con quale

conseguenze è facile immaginare !!!

Vi è poi il problema della incompatibilità tra detenzione e status

di malato conclamato. Assolutamente problematica si è rivelata

l'applicazione delle Circolari n. 3267 del 3/6/1989 e n.3320/5770

del 25/7/1991 della Direzione Generale degli Istituti di

Prevenzione e Pena : ostacoli burocratici, palleggiamenti di

responsabilità tecnici intollerabilmente elevati, la situazione

attuale vede più di 400 persone in ARC/AIDS persistenti in stato

di detenzione.

A tale proposito la LILA, insieme a numerose associazioni operanti

sul carcere compresi gruppi auto-organizzati di detenuti con Hiv

ha contribuito all'elaborazione di una proposta di legge,

integrativa alla L.135/90, che intende dilatare l'area di

incompatibilità con la detenzione dai malati conclamati fino ai

sieropositivi sintomatici (gruppi III e IV secondo CdC).

Senza dimenticare il problema della carenza di una rete adeguata

di servizi di assistenza extracarceraria ed extraospedaliera per

coloro che hanno ottenuto la sospensione del provvedimento a causa

della condizioni di salute. Tale compito, vista la completa

latitanza dell'Istituzione pubblica e l'esistenza di situazioni

familiari assenti o inadeguate, viene sostenuta in larga parte

dalle realtà del privato sociale, con forze e mezzi largamente

insufficienti rispetto al fabbisogno.

Esiste un progetto per una attività di counselling pre e post test

e quale è il ruolo del medico penitenziario a questo proposito. E'

possibile assicurare una reale riservatezza ? Quali sono le linee

guida per l'organizzazione della prevenzione e la gestione della

sieropositività (semplificando e banalizzando: reparti separati o

strategie tendenti alla consapevolezza del rischio e alla modifica

dei comportamenti)? Quali i rapporti con i servizi di medicina del

territtorio ?

NORBERTO CESARANI (Milano)

Tratto da: "Il Medico d'Italia" 16/ott/1991 n.166

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