Un'infezione è in grado di proteggere la cellula
dall'aggressione di altri virus. Il meccanismo che va sotto
il nome di *interferenza virale* scoperto negli anni trenta,
ha mutato le sorti dell'immunologia. Grazie a Isaacs e
Lindemann la sostanza responsabile, battezzata INTERFERON,
viene identificata dopo circa un ventennio. Solo negli anni
sessanta Cantell riesce a mettere a punto un metodo per la
purificazione e la produzione industriale del preparato.
L'evento straordinario è che la scoperta non consiste in un
nuovo farmaco ma in un sostituto di un processo biologico.
Da allora i sistemi di produzione hanno fatto passi da
gigante, permettendo una più efficace e razionale
applicazione in terapia.
Il centro di oncologia della John Hopkins University di
Baltimora sta mettendo a punto un singolare programma di
terapia genetica. Invece di somministrare interferon in
maniera tradizionale, è infatti ipotizzabile trasferire in
alcune cellule, come i linfociti T4, le istruzioni per
produrre autonomamente e in abbondanza, tanto interferon da
contrastare eventuali infezioni virali.
Per realizzare questo trasferimento di informazione genetica
si devono mettere a punto pseudoretrovirus portatori, al
posto del loro normale corredo genetico, dei geni necessari
per la sintesi di interferon. Le cellule infettate da questi
falsi virus diventerebbero, così, più resistenti alle
infezioni: quando un virus comincia la sua replicazione
innescherebbe contemporaneamente il meccanismo di produzione
di interferon. In cellule in coltura i ricercatori della
John Hopkins University hanno già dimostrato di poter
effettuare questa immunizzazione intracellulare contro l'HIV
(Human Immunodeficiency Virus), il virus responsabile
dell'Aids, e contro HSV (Herpes Simplex Virus) sia nel tipo
labialis (tipo I) che di quello genitalis (tipo II).
I vantaggi di questo nuovo approccio possono essere diversi:
primo fra tutti la possibilità di disporre di livelli di
interferon più elevati, con produzione più costante nel
tempo e concentrata nel tessuto o nell'organo desiderato.
Questo tipo di terapia dovrebbe trovare utile applicazione
sia nelle infezione da HIV, da HSV e da HBV (Hepatitis B
virus), sia in alcuni tipi di neoplasie. Infatti, in alcune
cellule neoplastiche e in cellule infettate cronicamente da
virus è stata più volte segnalata la perdita di inibizione
dei geni che codificano per gli interferoni.
Questo tipo di ricerca è ancora in fase preliminare : i dati
della ricerca in vitro stanno incoraggiando i primi
esperimenti sugli animali.
ASSOCIAZIONE DI ZIDOVUDINA (AZT) E INTERFERON ALFA.
Il trattamento ricombinante con zidovudina e interferon alfa
può essere più efficace della monoterapia nell'inibizione in
vitro della replicazione dell'Hiv.
Questo è quanto sostiene uno studio del laboratorio di
Retrovirologia della FDA di Bethesda, coordinato da Epstein
Jay. Cellule dei ceppi H9 e U937 sono state infettate con
10(4) dosi infettanti per ml. di Hiv-1 (stoain III B).
Le cellule infettate sono state coltivate in terreno fresco,
con aggiunta alla prima ora o dopo 24 ore di zidovudina (50
uM) o IFN alfa (50 unità/ml.), da soli o in combinazione.
Dopo 12 giorni di trattamento, la zidovudina o l'IFN alfa
sono stati rimossi dalle colture che sono state lasciate a
riposare per altri 14 giorni. La produzione virale è stata
misurata con i test antigenici per la p.24 e la
transcrittasi inversa (RT). Il DNA e l'RNA virale è stato
isolato dalle cellule a periodo stabiliti e gli acidi
nucleici sono stati studiati con la Pcr.
Nelle colture contenenti zidovudina e interferon alfa
l'inibizione dell'Hiv-1 è stata superiore al 95 % per cento,
evidente da 3-4 giorni dopo il test per RT e per p.24, sia
nelle cellule H9 che U937. L'IFN alfa da solo, invece, non
inibisce significativamente la sintesi di DNA e RNA virale.
PROLUNGAMENTO DELLA FASE ASINTOMATICA NEGLI HIV INFETTI.
Il trattamento a lungo termine con IFN alfa, naturale o
ricombinante, riesce a rallentare la progressione
dell'infezione da Hiv dalla forma asintomatica a quelle
sintomatiche. Questo è quanto è stato dimostrato da uno
studio del National Aids Group di La Habana (Cuba)
coordinato da J.Rivero.
Un gruppo di Hiv-infetti asintomatici in terapia con IFN (36
soggetti con IFN alfa naturale e 75 con alfa 2 ricombinante)
è stato seguito per un periodo rispettivamente di 34 (da 7 a
44) e 20 (da 3 a 36) mesi. La dose somministrata è stata di
3 M.U. per via intramuscolare, per tre volte la settimana.
Durante il corso dello studio i ricercatori sono stati
particolarmente attenti ad evidenziare tutti i primi sintomi
delle infezioni da Hiv come segni generali aspecifici della
malattia, la sintomatologia neurologica, le infezioni
opportunistiche e i vari tipi di neoplasie.
I risultati sono stati confrontati con quelli di un gruppo
di controllo di 54 Hiv-infetti che non seguiva nessun tipo
di trattamento. nel corso dello studio 11 sieropositivi (19
% per cento dei soggetti arruolati) trattati con alfa
ricombinante e 24 (44 % per cento) controlli hanno
sviluppato forme sintomatiche della malattia da Hiv.
Questa differenza, statisticamente rilevante (p<0,005), è
risultata particolarmente significativa per quanto riguarda
le infezioni opportunistiche minori 0,19 vs 0,54 (infezioni
/ paziente-mese) e i sintomi generali specifici 0,07 vs 0,30
(complicanze / paziente-mese, p<0,005).
Comunque, i soggetti trattati con IFN alfa naturale o
ricombinante hanno sviluppato una sintomatologia clinica in
tempi significativamente più lunghi rispetto a quelli del
gruppo di controllo (rispettivamente 42 e 36 mesi vs 25 dopo
l'inizio del trattamento, 106 e 80 mesi vs 60 dall'inizio
dell'infezione).
E' interessante notare che nel gruppo dei sieropositivi
trattati con IFN è stata evidenziata anche la
negativizzazione dell'HBsAg.
* * *
Il trattamento con interferon del sarcoma di Kaposi nei
malati di Aids, rappresenta la prima indicazione per le
neoplasie solide approvata in quasi tutti i paesi del mondo.
In questo caso, considerando anche la particolare situazione
immunitaria dei malati (soprattutto omosessuali maschi Hiv-
infetti), sono consigliati dosaggi molto elevati, vicini a
quelli massimi tollerati, che possono accompagnarsi a
fenomeni collaterali i una certa rilevanza.
Grande interesse ha quindi lo studio dei recettori per gli
interferoni. Conoscere la sequenza di un recettore oggi
significa avere la possibilità di bloccarlo, magari con
particelle idrosolubili, analogamente a quanto si tenta di
fare nell'infezione da Hiv con il CD4 solubile.
Fra i nuovi orizzonti speculativi si aprirebbe anche una
possibilità pratica per controllare e contrastare l'azione
deleteria degli interferoni (soprattutto di quello gamma)
nelle malattie autoimmuni e nelle reazioni dei trapianti.
INTERFERON E EPATITE B CRONICA
nel 1985, 64 pazienti portatori di epatite cronica di
eziologia virale tipo B HBeAg e HBV-DNA positiva sono stati
inclusi in uno studio controllato randomizzato eseguito
nella Divisione di Gastroenterologia dell'ospedale Le
Molinette di Torino e nel Policlinico S.Orsola di Bologna,
Cattedra di gastroenterologia. Trentatrè di questi pazienti
sono stati trattati con interferon alfa-linfoblastoide
(WELLFERON, Wellcome) alla dose di 10.000.000 Ul 3 volte la
settimana per via I.M. per 6 mesi, e 31 sono stati
esclusivamente seguiti nel tempo. La clearance definitiva
della replicazione virale e quindi la scomparsa della
malattia epatica - documentata istologicamente - è avvenuta
nel 61 % per cento dei casi trattati e nel 29 % per cento
dei controlli (p 0.05) nel 24 % per cento dei trattati è
stata anche ottenuta l'eliminazione dell'HBsAg: solo 4 % per
cento dei controlli ha eliminato tale marker (p.0.05).
In conclusione, l'interferon alfa-linfoblastoide (Wellferon)
si è dimostrato un potente mezzo terapeutico dell'epatite
cronica HBeAg-positiva, a fronte di modesti effetti
collaterali di tipo simil-influenzale.
Mario Rizzetto
(Professore associato di Gastroenterologia Istituto Medicina
Interna Università di torino)
*NOTA* Firma solo questo report su Inteferon e epatite B
cronica.
fonti: Tutti i testi sono stati tratti da "Wellcome Tbloid"
Il sistema Interferon. n.2 - 1991