C'è un proibizionismo non ingenuo (quello di chi fa i viaggi in America e cambia idea d'improvviso ) che non è passibile di convincimento. Ma c'è un proibizionismo ingenuo che non ci guadagna nulla ma costituisce il fondamento del successo del primo.
Le persone di buon senso non sfuggono alla perplessità e allo sconfortante stupore che suscitano le "Interviste per strada" di G.D.. L'antiproibizionismo è civile, è logico, è suffragato dalle notizie che i giornali sono costretti a dare e dall'esperienza quotidiana di ognuno.
"Io non mi drogo, il drogato è lui, cazzi suoi". Soltanto quando il drogato è suo fratello, o figlio, o amico la forza della ragione può sperare di far breccia nel priobizionista ingenuo. Perchè allora quell' "Io", soggetto di "NON sono drogato", vuol dire: "Io (NON distinguibile da) la mia famiglia, la mia casa, i miei amici, la mia macchina, la mia racchetta da tennis e il mio cane". Se nessuna di queste cose ha avuto un contatto diretto con la droga, tutti i discorsi sembrano inutili.
Questa sciagurata ottusità è dunque fondata su un "NON-essere". Si tratta di portare questo non essere ad essere: essere umano, responsabile e raziocinante. Quindi antiproibizionista, c'è poco da fare. E'notevole il fatto che chi è stato toccato direttamente dal problema, sia per coinvolgimento di un familiare o di un amico, che per fatti traumatici come uno scippo o una rapina, è più disponibile a ragionare di uno per il quale la droga sia davvero "altro".
Allo stesso modo un animista è restìo ad entrare in contatto con "l'altro". Nelle culture primitive, "l'altro" è spesso sinonimo
di morte. L'ottusa certezza dei proibizionisti è generata dalla loro propria paura di morire, contro la quale essi si sono inventati il feticcio di quell' "Io" di cui sopra, fatto di entità apparentemente "NON mortali" (famiglia, amicizie in genere, ma anche automobili, oggetti, ecc.). Solo se detti feticci/totem entrano in crisi i loro ex-fedeli diventano disponibili al ragionamento.