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Conferenza droga
Cicciomessere Roberto - 25 settembre 1992
(11) Quattro cose da fare, subito
di Mariella Orsi

(Il Manifesto, 20 agosto 1992)

Se per alcuni politici e magistrati l'agosto è il periodo opportuno per riferire alla stampa le proprie motivazioni pro o contro la legge Jervolino-Vassalli, a molti operatori che in questo mese sono presenti negli oltre 600 servizi pubblici per le tossicodipendenze (Sert), queste polemiche sono motivo di perplessità. Il dibattito appare demagogico e fuorviante. Non tiene infatti conto delle modifiche proponibili, subito, della legge 162, senza aspettare accordi internazionali, e del pericoloso ondeggiare tra politiche punitive e dichiarazioni antiproibizioniste.

Il primo passo verso un nuovo atteggiamento nei confronti della droga e la proposta di depenalizzazione nell'uso dei prodotti della canapa, la cui pericolosità tutti sappiamo essere più legata alla stretta connessione con il mercato illegale che non agli intrinseci effetti tossicologici. Ciò non toglie che l'atteggiamento più corretto di fronte a queste sostanze sia quello di responsabilizzare gli individui sui pericoli della dipendenza anche da droghe legali, come l'alcool e il fumo.

Il secondo punto da modificare è il principio della "dose media giornaliera" che, come ampiamente spiegato da farmacologi e tossicologi, non esiste di per sé come strumento di discrepanza tra la quantità riservata all'uso personale e quella destinata allo spaccio, e pertanto perseguibile come reato. Occorre perciò passare al principio di "dose giornaliera per uso personale" che tenga conto delle caratteristiche cliniche del soggetto, per valutare le quali è ragionevole proporre che il giudice possa utilizzare, quale perito, un medico del Sert. Lo Stato troppo spesso sembra dimenticare quali strumenti ha già a sua disposizione.

La terza modifica proponibile è l'abolizione dell'art. 76 del dpr 309/90, cioè il passaggio automatico, in caso di seconda interruzione del trattamento avviato dal tossicodipendente dalla sanzione amministrativa a quella penale. Attualmente è punito più severamente chi, dopo la segnalazione della polizia, si reca al colloquio in prefettura e, avviato un trattamento presso il Sert, ha una qualche ricaduta nell'uso di droghe, rispetto a chi decide di accettare la sanzione prevista e non inizia neppure un tentativo di recupero. Se davvero uno degli obiettivi della legge è quello di favorire la consapevolezza nel tossicodipendente di poter essere aiutato da un servizio a smettere di drogarsi, questo aiuto non può essere interrotto al primo o secondo fallimento per consegnare il giovane direttamente al giudice. Il concetto di "interruzione del trattamento" appare davvero troppo legato alle caratteristiche più o meno flessibili del terapeuta, piuttosto che alla mancanza di volontà di uscire dal circuito della drog

a da parte del tossicodipendente. Infine occorre promuovere una cultura, non viziata da pregiudizi ideologici, di corretto uso del farmaco sostitutivo - metadone - attualmente utilizzabile da tutti i 600 Sert, quale aggancio del tossicodipendente dalla vita di piazza e di mercato clandestino ad un cammino più o meni lineare, ma comunque impegnativo, di deintossicazione.

Trattamenti legali con sostitutivo dell'eroina appaiono a molti politici realizzabili solo attraverso modifiche della legge attuale, forse perchè non tutti conoscono bene quella in vigore, né ricordano che in Italia dal 1980 è disponibile nei servizi pubblici il metadone e, in molte regioni, anche la morfina almeno fino al 1985. L'accesso alle cure è un imperativo etico che dovrebbe essere alla base della pratica medica.

E allora più che parlarne, o creare "cartelli" più o meno trasversali politicamente, occorre agire subito per offrire ai tossicodipendenti strumenti concreti anche per prevenire l'infezione del virus Hiv (quali "Unità da strada", programmi di scambio di siringhe, distribuzioni promozionali di profilattici...), ampiamente sperimentati in vari paesi europei, e in alcune zone dell'Italia.

 
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