di Luigi De Marchi(L'Indipendente, 23 agosto 1992)
Oltre tre mesi fa (sull'Indipendente del 15 maggio 1992) segnalando il fallimento sempre più evidente della legge Jervolino-Vassalli, come di tutte le legislazioni repressive in materia di droga, sostenevo che era ormai indilazionabile una svolta anti proibizionista da parte di ogni forza politica responsabile e sollecitavo la Lega a fare la sua parte.
Il responsabile della politica sanitaria della Lega, Fiorentini, si mise in contatto con me per assicurarmi che condivideva la mia analisi e che confidava di poter schierare la Lega su posizioni antiproibizioniste. E, in effetti, poco dopo si costituiva in Parlamento un "Intergruppo antiproibizionista", cioè un gruppo d'intesa tra parlamentari di vari partiti, cui aderirono anche diversi esponenti leghisti. Nelle ultime settimane l'assalto culminato (per ora) negli assassini di Falcone e Borsellino e nelle relative stragi sembrano aver scosso l'inerzia di molti ambienti finora dubbiosi e perfino il Ministro della Giustizia, Claudio Martelli (poi seguito anche dal camaleontico Giulio Andreotti), ha riconosciuto l'urgenza di un riesame approfondito dell'intera questione.
Le ragioni dei fautori della più o meno graduale legalizzazione della droga sono, a mio parere, solidissime. In Italia, siamo arrivati al punto in cui, per ammissione del direttore generale delle Case di Pena, Niccolò Amato, circa il 70% della nostra popolazione carceraria è costituita da tossicodipendenti, affluiti nelle celle nel quadro delle pene previste dalla sciagurata legge Jervolino-Vassalli anche per i consumatori di droga. Anche la microdelinquenza attinge in larga misura ai ranghi dei tossicodipendenti: secondo calcoli attendibili il 90% degli scippi e l'80% dei furti sono perpetrati da drogati. Lo stillicidio di violenze e soprusi cui è sottoposta la parte più indifesa della popolazione (donne, anziani e bambini) è in buona parte dovuto, dunque, alle leggi proibizioniste, che scatenano nelle strade migliaia di drogati alla ricerca disperata delle 100-200mila lire quotidiane necessarie per procurarsi la dose giornaliera.
La stessa paralisi della giustizia e la lamentata latitanza delle forze dell'ordine nella maggior parte delle loro attività istituzionali dipendono in larga parte dal fatto che magistrati, poliziotti, carabinieri devono dedicare tre quarti delle loro energie e del loro tempo alla individuazione e repressione dei reati di droga.
Ma, come rilevavo nel mio articolo del maggio scorso, la legalizzazione della droga è soprattutto una condizione pregiudiziale per qualsiasi realistico tentativo di contrastare e vincere la piovra mafiosa. Chiunque abbia approfondito la questione della criminalità organizzata, non solo in Italia, ma nel mondo intero, è giunto alla conclusione che la mafia non potrà mai essere sconfitta, se non si recidono i grandi flussi finanziari che l'alimentano e ne consentono l'espansione. E, tra questi flussi, quello connesso al narcotraffico è notoriamente il più abbondante (e il più impetuoso nei ritmi di crescita). E' evidente che , con la legalizzazione della droga (e quindi col crollo del suo prezzo al livello del bicarboanto) esso cesserebbe di colpo, producendo un vero e proprio tracollo delle strutture mafiose, sia di vertice e sia di base.
Un altro drammatico problema italiano ( e occidentale in generale) di quest'epoca è, senza dubbio, l'alluvione immigratoria. Certo, cambiare in senso drasticamente restrittivo le leggi immigratorie come da tempo chiede la Lega è necessario ed urgente, ma le nuove leggi non serviranno a gran ché, se non verrà parallelamente chiuso il grande "sbocco occupazionale" offerto agli immigrati dal narcotraffico.
Fortunatamente, sembra ora che la ragione stia per prevalere. Poco prima di andare in ferie la Camera dei Deputati, col parere favorevole del Governo, ha approvato un ordine del giorno sottoscritto da tutti i gruppi prlamentari, salvo quello missino, che impegna il Governo ad aprire in sede non solo nazionale ma internazionale, un confronto approfondito tra proibizionisti e antiproibizionisti. Certo il problema della legalizzazione è complesso e non può essere risolto con decisioni unilaterali e impulsive come sono state spesso quelle dei protezionisti. Ma c'è anche il rischio che uno spostamento della discussione in sede internazionale (indubbiamente necessario) diventi un alibi per l'inazione.
Qui da noi, come hanno sottolineato due esperti di sicura competenza ma di ben diversa estrazione come Marco Taradash, leader della battaglia antiproibizionista e Giuseppe Ayala, protagonista della lotta alla mafia, si potrebbe cominciare subito con la legalizzazione delle droghe leggere (che non sono più dannose dell'alcool e del tabacco) dando una prima sforbiciata ai proventi mafiosi del narcotraffico, all'affollamento sempre più insostenibile delle carceri e alla dispersione delle attività giudiziarie e poliziesche. Ecco dunque un'urgente priorità legislativa per la ripresa parlamentare autunnale.