"...Vi erano alcuni gruppi di lavoro all'interno della comunità, dove venivano mandati i casi speciali. per caso speciale si intendevano i più recalcitranti, i più violenti o i più scoppiati. La porcilaia storicamente è la cayenna di Sanpa, l'isola del diavolo. E' comandata da una persona di polso, anche troppo, forse. Un luogo dove la solidarietà e l'amore si misurano spesso con il metro della violenza..."
E' un passo del libro "Il coraggio di uscirne" di Gaspare Virzì, uscito nel maggio 1989 per le edizioni Agalev; lo stesso mese Roberto Maranzano veniva massacrato di botte nella porcilaia di San Patrignano.
Devo ringraziare della riscoperta del libro l'esponente missino Maurizio Gasparri, che sere fa, in televisione, sbandierava una ricerca "scientifica" su San Patrignano edita dal Mulino ("San Patrignano tra comunità e società") ; la "scientificità della stessa è già stata posta in discussione da Giancarlo Arnao (vedi "manifesto" del 20 settembre e del 2 novembre, e "L'Unità" del 24 novembre) . Il problema però era un altro: era possibile che in quindici anni di esistenza di Sanpa non fossero stati prodotti altri testi, magari da chi in quella comunità aveva vissuto?
Mi ricordai allora di Gaspare Virzì, del suo libro e di una sua bella intervista sull'Unità del 25 ottobre. Sono riuscito a recuperare una copia del libro (che è pressoché introvabile), l'ho letta e ho cercato di estrarne i passi, come si dice, più significativi. Impresa ardua, il libro è un tutto unico che racconta l'esperienza a San Patrignano dell'autore, che vi giunge nel dicembre 1984, dopo aver vissuto l'esperienza dell'Autonomia bolognese e poi la frustrazione del "riflusso". Vi rimarrà per tre anni e mezzo, per tre anni lavorerà gomito a gomito con Vincenzo Muccioli . Poi, non condividendone più le scelte, abbandonerà Sanpa; vi ritornerà per alcuni mesi nel 1992.
Gaspare Virzì non è un pentito: nell'introduzione ringrazia Vincenzo Muccioli "...un uomo che rispetto profondamente, ma che ho il diritto di criticare...".
Al processo di Rimini Virzì è stato uno dei testimoni dell'accusa; ha confermato tutto quello che ha scritto nel libro che, tra l'altro, non è mai stato oggetto nè di smentite, nè tantomeno di querele.
Gaspare Virzì non è un antiproibizionista: un intero capitolo del libro è dedicato alla confutazione dell'ipotesi di legalizzazione della droga.
Gaspare Virzì non è la Verità, semplicemente in molti passi del suo libro si può riscontrare quell'autenticità che, forse, può permetterci di collocare alcuni pezzi del "mosaico" San Patrignano , senza dimenticare che i giudici sono altri, e a loro tocca giudicare il cittadino Vincenzo Muccioli. A tutti ed a ciascuno tocca valutare l'esperienza della comunità di San Patrignano; il libro di Virzì può servire a questo.
GIULIO MANFREDI
Riporto qui di seguito alcuni passi del libro, per agevolarne la lettura sono stati raccolti in capitoletti, i cui titoli sono stati assegnati dal sottoscritto e non dall'autore del libro.Tutti i nomi dei personaggi citati, aparte quello dell'autore e quello di Muccioli sono stati cambiati da Virzì per garantirne l'anonimato.
POLITICI E POTENTI A SANPA.
Pag 53: "Per un periodo mi occupai anche della corrispondenza personale di Vincenzo(...). Vincenzo già da anni riceveva corrispondenza da ministri, sottosegretari, onorevoli, segretari di partito, magistrati, industriali, grossi nomi della stampa, del cinema della televisione. La richiesta era sempre la medesima: fare entrare in comunità parenti, amici, compagni di partito o persone che si erano loro raccomandate: Con quelle raccomandazioni entravano puntualmente o in pochi giorni. Invece quelli ai quali rispondevo io aspettavano anni, a volte due, tre anni magari per rimanere delusi e aspettare ancora. E' capitato che le mie lettere di risposta venissero recapitate all'indirizzo di ragazzi già morti per overdose."
Pag. 87: "Vincenzo ci aveva sempre parlato male dei sui amici petrolieri e industriali di Milano, quelli che ci facevano visita nel fine settimana (...). Ma alla fine dell'87 il suo atteggiamento mutò profondamente. I ruoli si erano capovolti, ora gli stronzi eravamo noi, e gli amici con i quali pareva sentirsi più a suo agio erano quei campioni di mondanità che al sabato arrivavano sulle loro auto blindate (..). San Patrignano oramai era diventato il Gange della pianura padana, e da Milano arrivavano gruppi di pellegrini per fare le loro abluzioni purificatrici nel torrente di solidarietà che loro stessi sponsorizzavano."
Pag. 102: "1987: le elezioni politiche (...). Al fine di creare le condizioni per un voto "più maturo e consapevole", Vincenzo ci riunì tutti in teatro per parlarci di "cosa significava partecipare alle elezioni politiche" (...). Stando a quel che ci disse Vincenzo, votare responsabilmente significava fare una scelta in funzione dell'atteggiamento che le forze politiche avevano avuto nei confronti di Sanpa (...). Dal suo discorso venne fuori un hit parade dei partiti politici italiani in cui figuravano, ai primi posti, missini e socialisti, seguiti astretto contatto da repubblicani, liberali, democristiani e comunisti. I più penalizzati dall'arringa di Vincenzo furono rispettivamente, Democrazia Proletaria, i Verdi, e i Radicali, che furono oggetto di un vero e proprio anatema. (...). La maggioranza relativa dei ragazzi, circa il 35%, aveva votato per il movimento sociale. Il 30% per il Partito Socialista. Il resto dei voti era suddiviso tra gli altri partiti, ad esclusione di Democrazia Proletaria e e Verdi
, che avevano ottenuto due o tre voti in tutto. Nessun voto per i radicali, rei di sostenere la legalizzazione delle droghe pesanti, che in comunità è vissuta come una specie di fine del mondo"
LA HOLDING SAN PATRIGNANO
Pag. 56: "Nostalgicamente eravamo legati all'impegno in favore della vecchia San Patrignano. Ma quella realtà ormai era un'illusione fantastica. Nei fatti era già tramontata da un pezzo. Era la realtà nella quale ci piaceva vivere ed immaginare Vincenzo. Il Vincenzo dei primi anni con addosso un eschimo sporco e unto. Il Vincenzo che parlava esplicitamente di risocializzazione della ricchezza sociale. Il Vincenzo che difende gli ideali della contestazione giovanile. Il Vincenzo che contesta "il potere che schiaccia l'uomo e genera emarginazione". Il Vincenzo che accusa i politici di forchettonaggine, di non voler risolvere il problema della tossicodipendenza perché"al potere fa comodo lasciare la gente nell'emarginazione, altrimenti chiederebbe lavoro, case, servizi. Se non fosse così l'emarginazione sarebbe già stata sconfitta da un pezzo, perchè di posti così se ne potrebbero creare tanti altri". Il Vincenzo che viveva da povero fra i poveri, sporco e scarmigliato perché alle quattro di mattina era andato
a fare partorire una vacca e aveva passato la notte parlando con i ragazzi della stalla. Nella vecchia San Patrignano aveva vissuto in una mansardina di fronte alla sala mensa. Vi dormiva insieme a una trentina di ragazzi ed era reperibile a qualsiasi ora. E le ore più brutte per i ragazzi sono proprio quelle notturne, quelle del buio, quelle della solitudine che ti aggredisce di colpo. Poi qualcosa era cambiato (...) si era creato un volume tale di relazioni con l'esterno da costringerlo a trascorrere lunghe ore in ufficio. Lentamente ha cambiato tipo di vita, ora viveva in una villa lussuosa, circondata da due ettari di parco, con alberi e animali esotici. Ufficialmente la villa era annesa all comunità, in realtà era diventata la residenza privata della sua famiglia."
Pag 81: "Nella seconda metà dell' 87 si intensificarono le conferenze indette dai Lions e Rotary Club (...). Bisognava recitare la parte dei bravi ragazzi. Dignitosi, onesti, leali. E soprattutto produttivi. Bravi ragazzi e onesti lavoratori. La produttività in quelle conferenze era veramente il piatto prelibato, una sorta di leccornia da servire condita con professionalità, autogestione, tecnologia."
Pag.86: "Sanpa pareva diventare un'enorme azienda, un'industria vera e propria, una holding economica. E Vincenzo non voleva rinunciare a rimanere al vertice (...). Ogni spesa, ogni progetto, ogni decisione doveva essere vagliata personalmente da lui e firmata in caso di approvazione. I colloqui con i ragazzi li svolgeva tutti lui. Conferenze e relazioni con l'esterno si intensificavano a dismisura (...). Statisticamente le fughe erano in aumento. Era un aumento percentuale, non solo numerico (...). Parevano diventare più frequenti di quando quell'enorme cantiere era ancora un borgo che viveva ritmi rurali, scanditi più dai rapporti umani che dagli orari di lavoro"
UNA VISIONE DEL MONDO
Pag 55 "Vincenzo era un religioso a tutti gli effetti, e la sua armonia pareva avere la capacità di esercitare una giustizia assoluta sul mondo, perché era portatrice di un equilibrio capace di regolare qualsiasi torto, capace di sconvolgere il pianeta. Era qualcosa che bisognava anche temere. Col tempo ho capito che quella era la balla più grossa che ci raccontava. Ma lui le balle le sa raccontare molto bene. Anche perché quando parlava di certi argomenti, faceva intendere di saperla lunga, e tutto quello che si raccontava del suo passato dava credibilità alle sue prediche suggestive."
Pag. 65: "Sui giornali si amava pubblicare foto dei ragazzi che morivano su una panchina, magari con un prete di fianco. (...) Vincenzo queste storie le conosceva bene e sapeva usarle in tutta la loro crudezza per provocare interesse a convegni, dibattiti e conferenze. Bisognava creare un'immagine che potesse essere accettata dalle coscienze di tutti, trasversalmente a ideologie, filosofie, religioni e classi sociali. Nei due anni trascorsi in ufficio ho visto Vincenzo rimanere lentamente prigioniero di questa immagine, subendone condizionamenti sostanziali. (...)Un tempo il cavallo di battaglia di ogni intervento era l'amore, ora ci trovavamo a parlare quasi sempre di professionalità, e di produttività che è sottesa al primo termine (...). Nei momenti di relax Vincenzo incominciò a raccontarmi storie della sua adolescenza che esaltavano la convivenza tra classi diverse nei feudi che erano appartenuti alla sua famiglia (...). Non nascondeva la sua nostalgia per quel modello di vita da latifondista che emerge
va continuamente dai sui ricordi. Amava parlare della sua adolescenza, quando " i datori di lavoro, (cioè la sua famiglia) erano buoni, i servi e i contadini erano considerati e amati come familiari. Non c'era conflittualità sociale e ci si poteva fidare dei dipendenti, che erano veramente persone di fiducia."
Pag. 72: "Eravamo una specie di templari che portavano avanti una crociata contro l'egoismo e l'indifferenza. Profani erano i rapporti con le donne (...). Ci descriveva la donna come un sottoprodotto antropologico dell'uomo. Una sorta di sottospecie alla quale era quasi impossibile militare in funzione di ideali. La donna, secondo Vincenzo, era geneticamente caratterizzata dall'egoismo. Un egoismo che tende a realizzare attraverso un rapporto di coppia, in una dimensione casalinga; la donna secondo lui prendeva e non dava quasi mai: Lo stesso rapporto sessuale, a suo avviso, confermava chiaramente questa attitudine."
Pag 76: "Anche noi dovevamo mantenerci entro i limiti della condizione di inferiorità che oggettivamente ti viene imposta dal catechismo terapeutico: "..Tu sei un tossico, quindi spesso nemmeno un ex tossico, sei lì proprio perché non hai senso di responsabilità, non sei leale, non sei onesto, non hai più valori" (..). Te lo dicono e tu devi crederci. Anche perché sei in un momento di regressione in cui la tua autostima esiste solo in parte, e tende ad essere regolata da quello che dicono gli altri. Ci sono anche altri motivi che ti inducono a non fare critiche: Sanpa è pur sempre un'esperienza che tende a sensibilizzare la società su un problema di gravità enorme, una guerra dimenticata, un terreno su cui occorre dar battaglia contro l'indifferenza, la colpevole incompetenza delle strutture pubbliche,contro le code di paglia dei politici. E c'era sempre anche un sentimento di gratitudine verso quel dittatore che era diventato un amico. Una gratitudine su cui Vincenzo sapeva giocare. Una delle sue frasi rico
rrenti era questa: "Io ho aperto la mia casa a voi, vi ho raccolti per la strada moribondi e non ho avuto paura di sporcarmi le mani con la vostra merda e il vostro degrado di cui eravate pieni"
Pag. 45: "Riuscimmo a demolire la tesi della Muccioli-dipendenza che era uno dei cavalli di battaglia dei detrattori di Sanpa. Obiettivamente Botticella dimostrava che era possibile replicare autonomamente la realtà di San Patrignano, che agli occhi dell'opinione pubblica appariva anomala perché fondata unicamente sul carisma di un uomo. In realtà Botticella era molto poco autonoma da Sanpa. eravamo legati da un cordone ombelicale di natura logistica e carismatica. Federico infatti, prima di prendere decisioni importanti, si consultava telefonicamente con Vincenzo, con cui decideva i vari interventi particolari sui ragazzi (...) Più che una realtà autonoma eravamo una sorta di distaccamento comandato a distanza. Persino le accoglienze avvenivano nell'ufficio di Sanpa: Federico non aveva nemmeno il potere di riammettere un fuggiasco che ritornava; bisognava tornare a bussare alla stessa porta dalla quale si era entrati all'inizio: Ed era Vincenzo che decideva se riammetterti o no."
Pag 77: "La comunità è un pianeta a parte. Non esiste il concetto di legalità come all'esterno. Alcuni diritti costituzionali sono abrogati. Non esiste un ordine di valori uguale a quello della società, perché esso viene sovvertito da una condizione limitativa del valore più importante: la libertà di movimento e anche di pensiero. Vi è una sorta di consenso ufficiale da dimostrare per mettersi al riparo da inquisizioni e rompimenti vari. Qualcosa che però a lungo causa un grandissimo desiderio di fuga."
Pag.135: "Una mattina feci l'errore di parlare aVincenzo del mio interesse per Francesca: Avrei voluto chiedere una specie di "visto di transito", un permesso a termine per esplorare il mondo affettivo della ragazza. Invece ricevetti un "mandato definitivo". Vincenzo era entusiasta della mia ispirazione, e aveva benedetto la santa unione da realizzarsi nel breve medio periodo: come al solito si assegnò l'appalto in esclusiva per la gestione dei rapporti. Non gli dispiaceva essere l'agente matrimoniale di quel feudo, anche se per ironizzare sul suo ruolo a volte diceva che gli toccava "fare da ruffiano": Per il bene dei tossici si era autoproclamato supervisore a divinis di ogni relazione presente sul suo territorio."
METODI "TERAPEUTICI"
Pag. 42: "Tra la primavera e l'estate da Botticella scapparono moltissimi ragazzi (...). Molti li rincorrevamo e alcuni li riprendevamo. Scappavano ancora. All'inizio non mi sentivo a mio agio nel ruolo di quello che rincorre i fuggiaschi. Ma quando vedi passare tanti ragazzi e vedi le loro speranze spegnersi nella voglia di fuggire, ti rendi conto che è meglio trattenerli, piuttosto che lasciarli tornare in piazza a bucarsi e a crepare..."
Pag. 66: "Vincenzo cominciò a sfumare ed attenuare certi concetti, quando parlava in pubblico. Non si parlava più apertamente di chiusure, anche se si continuò a praticarle. Anzi, in pubblico Vincenzo dichiarava che lo Stato gli impediva di trattenere chi voleva continuare a morire, provocando sempre profonda indignazione nei presenti, e slogan contro lo stato provenienti dai gruppi di "madri-coraggio" agguerritissime. Quando i giornalisti lo interrogavano sui metodi terapeutici seguiti, si limitava a dichiarare che, nel primo periododi permanenza, i ragazzi venivano convinti a rimanere con l'arma della persuasione. In realtà per poter trattenere alcuni ragazzi volavano spesso scapaccioni e pugni negli occhi."
Pag. 67: "Vi erano alcuni gruppi di lavoro all'interno della comunità dove venivano mandati i casi speciali. Per caso speciale si intendevano i più recalcitranti, i più violenti, o i più scoppiati. La porcilaia storicamente è la cayenna di Sanpa, l'isola del diavolo. E' comandata da una persona di polso, anche troppo, forse. Un luogo dove la solidarietà e l'amore si misurano con il metro della violenza."
Pag 69 : "Nell'estate dell'87 scapparono dalle venti alle quaranta persone al mese (...). E poi c'era la persuasione attraverso le botte. Potevano essere ceffoni come calci o pugni. Questo tipo di pena, a Sanpa, in teoria potrebbe comminarla solo Vincenzo. Ma uno dei meccanismi principali in comunità è l'emulazione e molti lo hanno emulato proprio in questo comportamento creando spesso gravi complicazioni. Uno dei metodi più pittoreschi che Vincenzo ha usato per menare è quello che nel gergo è definito "sole piatti". Il nome deriva da uno spot che pubblicizza un detersivo. Nello spot l'attore ha due piatti da cucina attaccati alle mani , che sbatte violentemente tra loro così che, quando i piatti si allontanavano, in mezzo compare la scritta che pubblicizza il prodotto. Analogamente Vincenzo, durante i pasti in mensa, camminava alle spalle dei ragazzi seduti, e quando individuava l'obiettivo si avvicinava lentamente e, portandosi alle sue spalle, gli somministrava un doppio ceffone contemporaneo. Solitamen
te il sole piatti faceva diventare paonazzo l'interessato. Il round poteva continuare con calci e pugni a seconda della gravità dei reati. In alcuni periodi .
questi episodi erano all'ordine del giorno".
Pag.127: "Ora li stava pestando entrambi alternandosi in piccoli ruonds. Silvestro ne prese tante e anche Giovanna, che era caduta per terra, prese pugni e calci: Abituato ormai a una lunga pratica, Vincenzo cercava di non lasciare segni sul volto (....) Cercavo di capire, al di là di ogni perbenismo, di ogni garantismo, al di là del facile libertarismo, se quelle legnate potessero sortire effetti positivi, responsabilizzanti o comunque utili all'evoluzione di quei due "figlioli" (...). Del resto a Sanpa tutto l'operato di Vincenzo era ufficialmente legittimato come buono, giusto, terapeutico. La critica non era ammessa (...) era espressione di gratitudine verso "un uomo che ci stava salvando la vita togliendoci dalla merda". Non mi sembrava più un programma terapeutico, quanto invece una crociata combattuta più con la forza che con la persuasione (...). Quasi tutti i ragazzi non ci stavano. Le stese percentuali dei recuperi parevano una conferma a questa constatazione: ce la faceva solo uno su dieci a smet
tere, e buona parte di quelli che ce la facevano, in seguito troncavano i rapporti con Sanpa, per vivere la vita a modo loro".
RELAZIONI ESTERNE
Pag. 82: "Nei primi anni ottanta la rivalità tra Vincenzo e alcuni conduttori di comunità religiose era tremenda: una lotta sordida per il predominio a livello nazionale sulla classe politica e sull'opinione pubblica. C'era in gioco anche il controllo delle associazioni di genitori; questa è una guerra che non è mai stata vinta da nessuno perchè ogni comunità ha creato la propria parrocchia di genitori (...). Il più grosso rivale di Vincenzo era e continua ad essere Don Picchi, fondatore e coordinatore del CEIS. In seconda posizione, astretto contatto, don Ciotti del Gruppo Abele di Torino."
Pag. 92: "All'inizio dell'88 le fughe subirono un aumento vertiginoso. Non solo le fughe vere e proprie, ma anche i casi di ragazzi che decidevano autonomamente di andarsene a casa, sebbene Vincenzo non fosse d'accordo (...). La durata media di un programma a Sanpa in teoria è di circa tre anni; in realtà alcuni programmi sono durati anche dieci anni per concludersi con dei fallimenti."
Pag. 107: "Alla fine dell'87 alle conferenze dichiaravamo che i ragazzi già usciti dalla comunità con una qualifica professionale acquisita erano circa seimila e cinquecento. Io e Salvatore sapevamo bene di mentire, ma Vincenzo continuava, mese per mese, ad aumentarne il numero, come in uno strano gioco al rialzo (...). Ci venne l'idea di contarle schede dei presenti, degli andati e dei supposti guariti (....) I ragazzi che avevano ultimato il programma secondo la norma erano circa centoventi. A questi bisogna aggiungere un certo numero di recuperi avvenuti anche se l'interessato si era allontanato prima della fine del programma. Ma anche nella più ottimistica delle ipotesi, i recuperi non superavano in totale le duecentocinquanta , trecento unità, su un volume complessivo di ospiti che non superava, dalla fondazione del centro le duemilacinquecento persone in tutto."
IL CORAGGIO DI USCIRNE
Pag 138: "Ciò che più ci terrorizzava era la sensazione che la nostra vita fosse in mano a persone in cui non ci riconoscevamo anche se capivamo che potevano aiutarci ad uscire dalla roba Persone a cui avevamo chiesto una mano perchè ci eravamo trovati soli di fronte alla morte. Persone che però ci proponevano una sorta di strana equazione: rinuncia-redenzione-riabilitazione.
Pag.146: "Mi ero impegnato per anni a favore di Sanpa, di lui e di parecchi ragazzi. Avevo combattuto in prima linea al suo fianco contro tutti. Avevo speso tutte le mie giornate lavorando fino al punto da non avere tempo per lavarmi. Avevo rimesso in piedi ragazzi che avevano alle spalle decine di fughe e ricadute, i cosiddetti "irriducibili". E ora quell'uomo mi stava dicendo che non avevo diritto di studiare, quasi fossi stato condannato a prendere quei "voti" come un figlio di schiavi in un convento medievale (...). Mi stava dicendo in poche parole che piuttosto che farmi studiare mi avrebbe mandato "fuori dai coglioni". Era una minaccia esplicita e pesante. Uscire da Sanpa dopo tre anni e mezzo senza nessun tipo di aiuto (era implicito che in quella situazione lui non mi avrebbe aiutato), avrebbe spaventato qualunque tossico, per giunta proletario, nullatenente, senza qualifiche professionali."
Pag 149: "Alle dodici partii da Sanpa (...). Pensavo che mi sarei sentito triste, andandomene. Invece più mi allontanavo da quel posto, più mi sentivo sereno e libero. Quella improvvisa solitudine era una vera e propria libidine. Era una scelta che interrompeva una solitudine ben peggiore: quella che provi stando fra centinaia di persone alle quali non puoi comunicare i tuoi stati d'animo (...). Feci quattro passi per prendere le misure di quella "nuova dimensione. Ce l'avevo fatta. Ero tornato nel mondo."