Le ultime affermazioni attribuite a G.L. Gessa sull'uso dei derivati della cannabis impongono una riflessione di carattere generale ed alcune necessarie puntualizzazioni di merito.
A mio avviso esiste nel Paese una maggioranza (silenziosa, si sarebbe detto un tempo) di persone a favore di una sostanziale revisione dell'attuale politica sulle cosiddette droghe leggere. Il test referendario del 1993 ne e' stato l'indicatore piu' evidente, al punto che la stessa sinistra, verificando il proprio ritardo storico sulla questione, ha trovato il coraggio di affrontare un tema tanto spinoso, commissionando ad intellettuali di spicco iniziative cogenti sul tema (leggasi fondare un'associazione di fede indiscussa e mettere a punto frettolosamente qualche proposta di legge a carattere dimostrativo). Ma la classe (non quella proletaria, purtroppo, della quale sembra si sia persa memoria) non e' acqua minerale ... sicche' la principale attivita' promozionale della suddetta associazione (oltre a favorire il collocamento in posizioni chiave di tecnici sicuri e capaci) e' stata quella di sparare a zero sulle iniziative degli antiproibizionisti "cattivi". Questi, non soddisfatti dall'inizio del dibattit
o in commissione sulle proposte di legge depositate (forse 3-4 riunioni nel corso di un anno ed un'audizione di esperti in programma, che equivale ad un rinvio sine die) hanno proposto uno specifico quesito referendario, tornando nelle strade a raccogliere le firme necessarie. E qui il paradosso: all'appello mancano proprio le firme degli antiproibizionisti "buoni", per i quali evidentemente vale la logica del tanto peggio tanto meglio: IL REFERENDUM SULE DROGHE LEGGERE RISCHIA DI NON ESSERE CONVOCATO, dando forza a chi ritiene che le cose vadano bene cosi' e che se modifiche dovranno essere apportate queste dovranno essere di tipo restrittivo.
Coloro che decidono di non sottostare ad interessi di bottega, e sono quindi disponibili a sostenere con la propria firma una richiesta referendaria, finalizzata ad ottenere la legalizzazione ed il controllo, in regime autorizzativo, di produzione, uso e commercio dei derivati della cannabis (per intendersi, secondo il modello olandese), si trovano tuttavia esposti ad una delle manifestazioni piu' alte della disinformazione. Chi si attendesse un dibattito scientifico e politico serio, argomentato, responsabile, tra i sostenitori di una riforma possibile (e quanto mai necessaria) e coloro che tale riforma avversano, andrebbe sicuramente deluso. All'opinione pubblica giungono, nella maggior parte dei casi, affermazioni slegate da un contesto, tesi il cui impatto viene affidato non tanto alla forza delle argomentazioni quanto alla notorieta' di chi le propone, o, nella migliore delle ipotesi, teorie interminabili di pro e contro che lasciano chi legge o ascolta piu' confuso di prima. Non sorprende che in tale c
ontesto trovino spazio posizioni ideologiche e moralistiche, che nulla o quasi hanno a che vedere con la realta' della questione droghe leggere, ed atteggiamenti dilatori, rinvii a tempi imprecisati, a livelli di discussione altri ed ineffabili, ad iniziative tanto compromissorie quanto improbabili.
Le affermazioni attribuite a Gessa, di cui l'AGI ci da' notizia, non contribuiscono certo ad apportare al dibattito quella chiarezza che sarebbe necessaria e che ci attenderemmo dal farmacologo e dall'uomo di scienza. Mi si perdoni l'ennesimo inciso, ma ritengo opportuno sottolineare che dal punto di vista scientifico la chiarezza (e l'onesta' intellettuale) spesso consiste nell'affermare che non si hanno sufficienti elementi per sostenere o contraddire una tesi. In fondo, il metodo scientifico (guarda caso di matrice anglosassone, come il sistema elettorale uninominale maggioritario ad un turno) si differenzia dalle chiacchiere degli amanti in quanto contiene in se' sia gli strumenti per affermare la validita' di un'ipotesi, che quelli necessari per confutarla, tant'e' che una teoria empiricamente inconfutabile (o inconfutata) non e' piu' tale, ma un dogma. Un esempio, per esser certo di avere ancora l'attenzione di chi legge: l'affermazione "una politica di legalizzazione dei derivati della cannabis accres
cerebbe il consumo" e' con tutta evidenza inconfutabile, in quanto le evidenze a favore o contro dovrebbero necessariamente essere ricavate in un contesto di legalizzazione; si tratta quindi di un dogma (lo si accoglie o lo si respinge senza esame critico). Discorso a parte va fatto per i metodi che consentono di ottenere previsioni, facendo riferimento, ad esempio, ad analoghe esperienze condotte in altri Paesi, a progetti pilota, ecc. E' interessante notare, a questo proposito, che la comunita' scientifica italiana, notoriamente tra le piu' esterofile, soffre di un sospetto atteggiamento di provincialismo (o di esterofilia selettiva) nel campo delle tossicodipendenze, quasi come se venissero accettati per buoni solo i risultati coerenti con le attese ...
Ma ritorniamo alla chiarezza, ed in particolare a quella di cui Gessa ha dato ottimo esempio, quando, non piu' tardi di una settimana fa, nel corso di una tavola rotonda che concludeva un corso nazionale di tossicologia, egli, rispondendo, ad una domanda che gli avevo posto, si dichiarava a favore di una pan-legalizzazione delle droghe, pur manifestando una certa comprensibile apprensione sui modi con cui tale traguardo sarebbe stato conseguito, lasciando (piacevolmente) sorpresi me ed un centinaio di altri medici presenti.
Non aggiungerei altro a commento del lancio (forse frettoloso e incompleto) di agenzia dell'AGI se non fosse che offre spunti di riflessione e di eventuale contraddittorio cosi' invitanti che sarebbe un peccato non approfittarne. Lo faro' nei punti seguenti, scusandomi per l'eccessivo schematismo.
1) I termini "droga" "narcotico" "stupefacente" sono inappropriati ed ambigui in quanto non individuano specifiche sostanze in base a caratteristiche farmacologiche comuni ma, nell'uso corrente, comprendono sostanze e principi attivi molto differenti tra loro.
Più corretta appare la definizione "SOSTANZE AD AZIONE PSICOTROPA", cioè ad azione elettiva e/o prevalente a livello del sistema nervoso centrale, differenziando quelle ILLECITE inserite nelle specifiche tabelle della Convenzione Unica, dalle altre, ben note, assolutamente lecite e di larghissimo uso, dagli psicofarmaci alla caffeina, dall'alcool alla nicotina.
Ci si attenderebbe che l'illiceità di una sostanza sia direttamente correlata alle caratteristiche chimiche e farmacologiche della stessa, che cioè esistano CRITERI OGGETTIVI, UNIVOCAMENTE DEFINITI, a giustificare il sistema sanzionatorio che si applica a produzione, commercio ed uso di una sostanza illegale.
Ciò che si evidenzia, invece, è che "Non vi è alcuna relazione farmaceutica o chimica tra le sostanze nelle tabelle. Anche la definizione di narcotici o psicotropi induce in errore dal punto di vista medico-farmacologico. Sostanze come la cocaina o la cannabis non hanno alcuna proprietà narcotica, cioè di indurre narcosi, in senso farmacologico, mentre la morfina e gli analgesici morfinici, gli ipnotici, i sedativi, i neurolettici, gli antidepressivi, gli ansiolitici, gli psicostimolanti ed altri farmaci psicoattivi sono considerati psicotropi nella pratica medica e farmaceutica". Ciò conferma l'irrazionalità dal punto di vista scientifico della classificazione in tabelle così come attualmente si presenta. "Il passaggio logico sarebbe esaminare la terminologia medica e trovare per ciascuna sostanza psicotropa il posto giusto in un sistema di classificazione medico" (In: International Narcotics Control Board, ONU -Psychotropic substances in Europe: trends in licit use - 1990).
Si evince in definitiva che le cosiddette "sostanze stupefacenti" sono definite tali solo in base alla collocazione in una delle tabelle previste dai trattati internazionali, e che gli stessi organismi internazionali riconoscono questa contraddizione di base, pur continuando a mantenerla.
2) I criteri utilizzati con modalità pseudo-scientifiche per differenziare le sostanze illegali da quelle di uso comune non risolvono tale ambiguità. Esaminiamoli in rapida sintesi, con particolare riferimento ai derivati della cannabis.
Tossicità: il tasso di tossicità (rapporto tra dose letale e dose efficace) per i derivati della cannabis è pari a ca. 40.000 (Mikuriya T.H. - Historical aspects of cannabis sativa in western countries - New Physician, 905, 1969; citato in Kaplan & Sadock, copia allegata), ossia è necessario assumere una dose 40.000 volte superiore a quella necessaria ad ottenere gli effetti desiderati per rischiare l'overdose. Il tasso di tossicità dell'alcool è pari, invece, a ca. 10 ! Non vi è, a tutt'oggi alcun caso documentato di morte per overdose.
Tolleranza o Abitudine (necessità di incrementare la dose per ottenere lo stesso effetto): come per per la maggior parte delle sostanze ad azione psicotropa, l'organismo umano può sviluppare una lieve tolleranza nei confronti dei derivati della cannabis. Esistono, tuttavia, alcune evidenze relative ad una "tolleranza inversa" in virtù della quale a parità di dosaggi i maggiori effetti verrebbero avvertiti dai consumatori abituali e non da quelli occasionali. Tra le sostanze lecite ad azione psicotropa in grado di determinare tale effetto ricordiamo le benzodiazepine (farmaci ad azione ansiolitica) che risultano la classe di sostanze il cui uso (ed abuso) è più diffuso nel nostro Paese, e la nicotina.
Dipendenza fisica (definita in base: a) all'esigenza pressante di procurarsi la sostanza, che nei casi più gravi compromette tutte le altre attività quotidiane; e b) alla comparsa di una sindrome da astinenza): non si evidenzia nell'uso dei derivati della cannabis (a meno di non considerare valide sperimentazioni condotte sui ratti con dosaggi pari a decine di volte quelli mediamente assunti dall'uomo), mentre è presente, tra gli altri, nell'uso di alcoolici, benzodiazepine, tabacco.
Dipendenza psicologica (desiderio dell'assunzione per lo stabilirsi di quel "rapporto di benessere condizionato tra individuo e farmaco"): tale condizione può stabilirsi nell'uso dei derivati della cannabis come nell'uso di tutte le sostanze farmacologicamente attive che riducono il malessere e producono benessere (ad es.: lassativi !).
3) Patologie specifiche: l'osservazione clinica a lungo termine di consumatori abituali di cannabinoidi non ha mostrato evidenza di malattie o patologie organiche specifiche). Le patologie specifiche determinate dall'uso di tabacco e di alcool sono, invece, scientificamente acclarate; il loro costo, sia in termini sociali che di assistenza sanitaria è enorme e costituisce argomento di una vastissima letteratura scientifica.
4) Induzione di condizioni schizofreno-simili: iniziali evidenze in merito erano state aneddoticamente riportate in soggetti (principalmente in India, Egitto e Marocco) che avevano fatto uso prolungato di dosi massicce. E' appena il caso di ricordare che qualsiasi sostanza assunta in dosi massicce può determinare effetti patologici (es.: zucchero = coma iperglicemico). Numerosi studi condotti su vasta scala negli Stati Uniti hanno recentemente evidenziato l'assenza di psicosi da cannabis in soggetti senza particolari fattori di vulnerabilità (Kaplan & Sadock - Synopsis of Psychiatry - William & Wilkins, 1988). Alcuni studi suggeriscono, invece, l'uso di derivati della cannabis come automedicazione da parte di soggetti psicologicamente vulnerabili, che in tal modo eviterebbero lo slatentizzarsi di sindromi psichiatriche maggiori. Nei consumatori di alcool è ben nota e purtroppo non infrequente, invece, una vera e propria psicosi alcoolica.
5) Predisposizione all'uso di "droghe pesanti": la cosiddetta Progression Theory, sviluppata negli Stati Uniti negli anni ' 60 e sostenuta da coloro che si opponevano alla liberalizzazione della marijuana, è stata definitivamente confutata già dalla fine degli anni '70. Non vi è alcuna evidenza che esista un rapporto causa-effetto tra uso dei derivati della cannabis ed uso di eroina (Meyers et al. - Farmacologia medica - Piccin Editore, 1975). Ciò è assai banalmente dimostrabile considerando le dimensioni piuttosto stabili dei due fenomeni (l'uso di cannabis è 10-20 volte più diffuso dell'uso di eroina) e la loro diffusione nella popolazione generale. In ogni caso, correttezza scientifica esigerebbe, per documentare tale affermazione, non lo studio di quanti consumano eroina per rilevare il pregresso uso di marijuana, bensì lo studio a lungo termine di una vasto numero di consumatori di marijuana confrontati con un analogo numero di non consumatori, per valutare l'incidenza nei due gruppi della tossicodipend
enza da eroina. In tutti i casi, soggetti tossicodipendenti da eroina riportano una frequenza molto maggiore di uso di tabacco, e ciò non viene considerato argomento sufficiente a considerare produzione, commercio ed uso di tabacco attività criminali penalmente perseguibili.
6) Uso medico: Uno dei criteri citati a sostegno della liceità di sostanze sostanzialmente più tossiche dei derivati della cannabis è quello degli usi terapeutici che esse hanno. Va considerato, a tale proposito, che la marijuana, nella sua forma naturale, è una delle sostanze terapeutiche più sicure conosciute dall'uomo. Tra le sue applicazioni terapeutiche più note quella di farmaco antiemetico nella terapia anti-cancro (approvata dalla Food and Drug Administration, USA). Dal 1985 gli oncologi americani sono legalmente autorizzati a prescrivere tetraidrocannabinolo ai pazienti nei quali il trattamento trova indicazione. Nel 1989 sono state prescritte più di 100.000 dosi. L'effetto antiemetico citato ha trovato applicazione anche nei soggetti con infezione da HIV in trattamento con AZT, farmaco che assai spesso produce nausea e vomito. Le persone che hanno associato l'assunzione di derivati della cannabis a un trattamento antiretrovirale hanno mostrato una riduzione dei citati effetti collaterali ed un sens
ibile incremento ponderale, cosa particolarmente importante in soggetti esposti a tremendi stati di cachessia. La marijuana ha, inoltre, un effetto dimostrato nel ridurre la pressione intraoculare. Questa proprietà, evidenziata scientificamente all'inizio degli anni ' 70, la rende utile nel trattamento del glaucoma, condizione patologica caratterizzata proprio dall'aumento della pressione intraoculare, che può condurre alla cecità.
L'uso dei derivati della cannabis è stato recentemente sostenuto nel trattamento sintomatologico della sclerosi a placche. Si tratta di una condizione patologica caratterizzata dalla demielinizzazione del tessuto nervoso, probabilmente a patogenesi autoimmunitaria, per la quale non esiste alcuna terapia efficace. L'uso di marijuana ha sensibilmente alleviato i sintomi acuti (contrazioni muscolari, tremori, atassia, incontinenza urinaria, insonnia) e secondo alcuni ha ritardato la progressione della malattia stessa. Ulteriori impieghi terapeutici della cannabis segnalati in letteratura sono il trattamento dei dolori e degli spasmi muscolari spesso presenti nei soggetti para- e tetraplegici, il trattamento del dolore cronico (in maniera molto più maneggevole dei derivati degli oppiacei, solitamente impiegati in questi casi), il trattamento dell'emicrania, del prurito essenziale, della sindrome mestruale (Grinspoon 6 Bakalar - Marijuana, the forbidden medicine - Yale University Press, 1993).
7) Non ritengo utile in questa sede affrontare la questione della "falsa consapevolezza di essere piu' filosofo": occorrerebbero piu' elementi per verificare come e' stata stabilita l'erroneita' della consapevolezza, ne' mi e' chiara l'accezione del termine filosofo cosi' come e' stato utilizzato nel comunicato AGI.
Concluderei, scusandomi con chi ha avuto la pazienza di leggere sino alla fine e cogliendo l'occasione che viene prospettata nella dichiarazione attribuita a Gessa: perche' non incontrarsi per un sereno e proficuo scambio di idee, esperienze, conoscenze ? Sono certo che Pannella non si tirerebbe indietro. Andrebbe bene l'ultimo week-end di gennaio, a Roma, Hotel Ergife ? Noi ci saremo.
Cordialmente.
Fabrizio Starace