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Conferenza droga
Radio Radicale Roberto - 19 febbraio 1996
CONTRO LA DROGA, CONTRO IL PROIBIZIONISMO
di Antony Lewis - The New York Times

in Italia su Internazionale n.117 del 16.2.1996

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Boston, 7 febbraio 1996

Quando Bill Clinton chiamò il generale Barry R.McCaffrey a comandare "la nostra guerra contro la droga in casa e fuori", dichiarò che McCaffrey per vincere avrebbe avuto bisogno di "una forza ben più vasta di tutti gli eserciti che ha comandato finora: avrà bisogno di tutti noi".

Quello di cui in realtà ha bisogno il generale McCaffrey è una qualità che manca ai grandi esperti di droga della Casa Bianca e agli altri leader della politica americana degli ultimi decenni. E' l'apertura mentale; la capacità di riconsiderare la politica del proibizionismo e valutare realisticamente i suoi vantaggi e svantaggi per la società.

Una valutazione onesta, che consideri obiettivamente i risultati, non può non portare alla conclusione che ottant'anni di proibizionismo sono stati un fallimento disastroso. Le droghe sono sempre altrettanto diffuse per le strade. Le prigioni sono affollate di drogati inoffensivi. E i costi di questa sconfitta sono quelli di una società ferita, non solo economicamente, ma anche nelle sue città distrutte e nelle sue vite spezzate.

Sono sempre di più quelli che, mettendo da parte vecchi pregiudizi, concludono che il proibizionismo non è affatto la soluzione, ma il problema. Come ci insegna il "nobile esperimento" dell'alcol in America, il proibizionismo di fatto crea un mercato criminale per il prodotto proibito e corrompe lo Stato.

La rivista conservatrice National Review si scaglia nel suo ultimo numero (datato 12 febbraio) contro il proibizionismo. Si tratta di un dossier di grande effetto, che raccoglie opinioni e commenti di sette esperti e studiosi del problema.

Gli stessi direttori della rivista dichiarano: "Siamo fermamente convinti che le guerra alle droghe sia stata un fallimento; eppure continua a distogliere intelligenze ed energie dal problema vero, quello di come gestire l'assuefazione; continua a sprecare risorse; incoraggia procedure civili, giudiziarie e penali proprie di uno Stato di polizia".

Chiunque si azzardi a criticare il proibizionismo come strumento di lotta alla droga rischia di vedersi tacciato di radicalismo, o accusato di connivenza con i narcotrafficanti, o quant'altro. Ma è estremamente difficile dire queste cose dei responsabili della National Review. Tutti sanno quanto deplorino l'uso di droghe: il loro è un giudizio puramente pratico.

Continua William F. Buckley jr., guru dei conservatori e fondatore della National Review: "Il costo della guerra alla droga è di gran lunga più pesante, nelle sue diverse manifestazioni, di quello di una liberalizzazione delle droghe che fosse associata a una seria politica educativa. Negli ultimi trent'anni abbiamo assistito a una riduzione sostanziale del consumo di tabacco: e questo non perché il tabacco sia diventato illegale, ma perché una comunità cosciente ha cominciato a rendersi conto, in massa, delle conseguenze dannose del tabacco sulla salute dell'uomo".

Steven B. Duke della Law School di Yale cita invece il grande esperto di droghe, il dottor Lee Brown, che diceva che le droghe "sono dietro molti dei crimini cui assistiamo ogni giorno nelle strade". Quest'affermazione, sostiene il professor Duke, andrebbe corretta cambiandone il soggetto con "il proibizionismo delle droghe".

Scrive a proposito della guerra alla droga: "Se il suo scopo è fare di un americano su tre un criminale, ci sta riuscendo. Se il suo scopo è generare un tasso di criminalità tra i più alti al mondo - e dare continui argomenti ai demagoghi che condannano il crimine promettendo di fare qualcosa -, il successo è totale. Se il suo scopo è abolire di fatto il Bill of Rights, la vittoria è a portata di mano. Se il suo scopo è distruggere le nostre città trasformandole in zone di guerra, il trionfo non è lontano".

Un altro commentatore, Ethan Nadelmann del Lindesmiths Center di New York, elenca i risultati crudeli del fanatismo dei crociati antidroga. I medici, per paura delle denunce, preferiscono non prescrivere oppiacei che potrebbero alleviare il dolore dei pazienti terminali. Vittime di sclerosi multipla o di glaucoma si vedono rifiutare la marijuana che li potrebbe aiutare; e lo stesso avviene per quei pazienti che ne avrebbero bisogno per attenuare la nausea dovuta alla chemioterapia.

In quest'anno di campagna elettorale non c'è bisogno di essere profeti per sapere che nessun politico di rilievo, a Washington, prenderà onestamente in considerazione i costi del proibizionismo: non lo farà senz'altro il presidente Bill Clinton, e neppure i leader del Congresso. Tutti assumeranno la loro bella posa da "lotta dura contro la droga".

Non c'è molto da sperare dal generale McCaffrey, quanto ad apertura mentale. Poco prima del suo incarico, ha dichiarato alla Heritage Foundation, nota fondazione conservatrice: "Questo non è un problema difficile come l'Aids, il razzismo o la povertà: sappiamo dove si coltiva la droga, sappiamo dove viene trasferita...". In parole povere, continuiamo con quegli sforzi proibizionisti che si sono dimostrati così tristemente inadeguati. Sarebbe bello se la prossima volta che un ufficiale dell'antidroga parla alla Heritage Foundation - o a qualunque uditorio - qualcuno avesse il coraggio di ricordare, come ha fatto la National Review, che il buon senso non ha colore. (C.D.)

 
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