di Carla Rossi e Rocco Santoro.
Facciamo un esercizio. Supponiamo: in Italia nel 1993 si sono verificate 8.356 morti per incidenti stradali (Istat, Statistiche della Sanità - anno 1993, edizione 1996), e nel 1990 si siano verificate 7.500 morti, nel 1991 7.600, nel 1992 7.900. Supponiamo inoltre che nel 1990 sia stato reso obbligatorio l'uso delle cinture di sicurezza. Qualcuno potrebbe ritenere i dati come la prova che le cinture di sicurezza aumentano gli incidenti stradali. Una simile conclusione evidentemente farebbe storcere il naso a molti, soprattutto a tutti coloro che per anni si sono battuti per la riduzione delle morti per incidente stradale tentando di migliorare la sicurezza degli autoveicoli, ed in particolare i costruttori di cinture di sicurezza. Infatti i fattori che possono aver determinato l'incremento di morti possono essere molteplici. Alcuni strettamente connessi al fenomeno: stato delle strade, età del parco macchine, capacità di giuda, condizioni atmosferiche, forte incremento degli autoveicoli circolanti. Altri le
gati alla qualità dell'informazione: confrontabilità dei dati, qualità dei dati, capacità di raccolta dei dati. In ogni caso l'incremento dei morti determinato dall'introduzione delle cinture di sicurezza meriterebbe un serio ed approfondito studio (serie di studi), altrimenti si rischia di fare ideologia o demagogia dipinta di verità sperimentale, e quindi scientifica.
Il rapporto "Libro bianco sulle morti da droga 1991-95 (anticipazione e premesse)", a cura del Gruppo Tossicologi Forensi (GFT), presentato a Roma il 29 novembre 1996, è stato costruito sulla falsariga dell'esempio illustrato. Premesso che nessuno vuole contestare le cifre assolute che dimostrano un incremento assoluto delle morti per tossicodipendenza e tralasciando gli aspetti "tossicologici", il grado di copertura della raccolta di dati pari al 73% dell'universo nazionale viene considerato "...senza dubbio, soddisfacente...". Nessuna indagine statistica censuaria è da ritenersi valida se copre meno del 90-95%. Per cui ci si chiede in base a quale criterio statistico è considerato soddisfacente. Per correttezza statistica si sarebbe dovuto almeno supporre (e ciò comporta conoscenze a priori) che il 27% rimanente avesse un comportamento simile al 73% rilevato.
Se poi si esamina la distribuzione per età dei tossicodipendenti deceduti, si osserva che la classe dai 31-40 anni ha subito l'incremento maggiore. Questo è l'indicatore che le morti colpiscono una tossicodiopendenza consolidata e non una giovane, a dimostrazione di ciò vi è l'incremento modesto della classe di età dai 18-24 anni (nell'ordine dell'11%) rispetto al 1992, mentre rispetto al 1991 si registra un decremento quasi del 40%. A questo si deve aggiungere il forte incremento che la classe dai 25-30 anni dimostrava già nel 1992.
Se l'esame concerne le diverse realtà territoriali, il fenomeno è ben diversificato: ad esempio in Lombardia il decremento di morti ripetto al 1991 è di circa il 40%, mentre in Campania l'incremento è del 50%. Questo è il segnale di una diversità territoriale che non può essere valutata quando la copertura nazionale dell'indagine esclude il 27% del territorio.
Teorizzare collegamenti tra referendum ed incremento di morti per tossicodipendenza è un esercizio intellettuale analogo a quello sulle cinture di sicurezza, con la sola differenza che il rapporto non usa i dati come esercizio ma come verità scientifica. Ogni provvedimento di Legge dovrebbe essere monitorato al netto degli elementi di disturbo (usualmente si parla di ceteris paribus) evitando connessioni logiche degne di un apprendista astrologo. Le tossicodipendenze sono influenzate da un numero considerevole di variabili psicologiche e socio-economiche che non possono essere liquidate senza un esposizione dettagliata delle ipotesi di lavoro, cosa che manca del tutto nel rapporto citato. Quindi, agli autori converrebbe applicare le corrette modalità di esecuzione di un monitoraggio su un provvedimento di Legge, cercando di operare con il massimo rigore statistico possibile. Se si ritengono le proprie argomentazioni degne di rilievo sociale, si eviti l'esercizio demagogico degno della propaganda di un Paese
totalitario che ha come unico scopo quello di soffocare ogni capacità d'analisi e quindi di critica. Se i paladini (ma ci si augura che non siano gli autori del rapporto) della pratica repressiva nell'ambito della droga vogliono sostenere le loro argomentazioni, lo facciano fondandole su qualcosa di maggiormente consistente che numeri trattati a proprio uso e consumo (dipendenza ideologica è tossicomania psichica?).
Nessuno ha la verità in tasca in un dramma quale quello della tossicodipendenza, ma è indispensabile liberare il campo dagli stregoni e dagli spacciatori di verità scientifiche di ogni specie per poter aprire un serio confronto sulle strategie di lotta alla droga come scelta di vita di una persona.