Ha telefonato alla madre, nel Bergamasco: "Mandami un bacio, forse sara' l'ultimo". Un appello della donna.Arrestato per droga, e' malato di Aids. L'amico preso con lui e' morto. Per mesi e' vissuto in una camerata con 40 detenuti tra scarafaggi ed escrementi.
di Marisa Fumagalli - Corriere della Sera, 24 giugno 1997
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"Mamma, mandami un bacio. Forse sara' l'ultimo. Mamma, sto morendo". La voce di Michele Zerbini, 25 anni, il fisico minato dall'Aids, sotto peso di 30 chili, e' flebile, lontana: il giovane chiama dal carcere "El Rancer" di Panama. E lei, la madre, Maria Belometti, dalla casa di Villongo (Bergamo), cerca di tenerlo su, di allungargli la vita con le parole, se possibile: "Coraggio, tieni duro. Faro' di tutto per riportarti presto in Italia. Vivo".
Nel raccontare il dramma del figlio, la donna dice: "Vorrei assicurargli almeno una morte dignitosa. Qui, nel suo Paese, via dall'inferno centro-americano".
La storia di Michele, un passato da tossicodipendente, una condanna a 9 anni inflitta dai giudici panamensi - era stato arrestato nel '95 all'aeroporto della capitale, dopo che il tacco della sua scarpa risulto' essere imbottito di "polvere bianca" - e' comune, purtroppo, a quella di altri italiani. E se non fosse per la tenacia dei parenti, per il sostegno di qualche politico sensibile che si prende a cuore il singolo caso, la sorte di molti rimarrebbe sconosciuta. "Il giovane bergamasco, come altri finiti in prigione in certi Paesi stranieri - spiega il senatore verde Luigi Manconi - non puo' contare su trattati bilaterali. E allora tutto e' maledettamente complicato. Ora, per Michele Zerbini, date le sue gravissime condizioni di salute, non resta che la grazia. E' l'unica via d'uscita possibile per ottenere celermente il suo rientro in Italia. La madre, disperata, mi ha chiesto aiuto; ho scritto una lettera a Scalfaro, perche' faccia diretta pressione sul presidente del Panama". Il senatore Manconi si era
interessato, di recente, al caso di Davide Grasso e Stefano Ghio, condannati all'ergastolo alle Maldive per possesso di hashish.
"Spero con tutte le mie forze che si trovi una soluzione positiva anche per mio figlio - dice Maria Belometti -. Ne ha patite tante, troppe. L'amico che fu arrestato con lui, Paolo Pizzi, mori' tra le sue braccia, dopo quattro mesi di prigione. Allora si trovavano entrambi in un supercarcere, peggio dell'inferno. Dormivano in camerate di quaranta, tra scarafaggi, ed escrementi. Erano maltrattati, considerati bestie non uomini. Ricordo che, alla mia prima visita in quella prigione, caddi svenuta davanti ai cancelli. Fu lo stesso direttore a portarmi soccorso. Era il maggio del '95. Paolo Pizzi, gia' ammalato di Aids, non ha retto a lungo. Poco dopo Michele scopri' di essere sieropositivo".
"Ottenni, su interessamento del consigliere dell'Ambasciata italiana, Alberto Pilotti, che fosse trasferito in un carcere piu' civile - continua la donna -. Sono stata sei volte a Panama, per restare accanto a mio figlio, la cui salute andava peggiorando... Gli facevo avere viveri, soldi. Pareva che lui si riprendesse. Ma, al rientro in Italia, ricevevo telefonate allucinanti: Michele con la febbre a 41 lasciato su una sedia per sei ore, senza medicine, senza cure".
"Per non parlare della vicenda processuale - si accalora Maria Belometti -. Mi consigliarono un avvocato, al quale diedi 6.000 dollari di anticipo. Spari' dalla circolazione... Dovetti cercarne un altro. Ma la situazione invece di sciogliersi si complicava".
"Da venti giorni non ho notizie di Michele. Pilotti mi ha promesso di interessarsi per farlo ricoverare. E chissa' se ci e' riuscito. Ma io chiedo: se ormai il mio ragazzo e' condannato a morire, perche' non me lo ridanno? Quale pena ancora vogliono che sconti?".