Chi e' Pino Arlacchi, che offre il collegio all'ex pm per andare alle Nazioni Unite contro il narcotrafficoLa piu' grande delusione gliela diede proprio D'Alema quando gli preferi'
Del Turco al vertice della commissione parlamentare contro Cosa nostra.
Un sociologo che alle consulenze non ha detto mai di no, neppure a quelle
di Andreotti che pure accusava di essere al servizio dei boss
Il Foglio, 18 luglio 1997, pag.3
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Roma. "Non ho mai considerato Antonio Di Pietro un eroe, certo e' stato sbagliato mitizzarlo, ma non capisco perche' bisogna impedire che un magistrato entri in politica". Il feeling tra Pino Arlacchi e l'ex-pm di Mani pulite era gia' nato nel gennaio del 1996 nel pieno delle polemiche sull'ingresso di Di Pietro in politica: "Gli addebiti a Di Pietro sono poca cosa, e poi penso che il divieto della politica non debba valere per tutti gli indagati ma solo per coloro che sono stati gia' rinviati a giudizio". E parlando delle conversazioni telefoniche dell'ex pm che prospettava la possibilita' di forti iniziative politiche, Arlacchi le liquidava con due battute: "Sono solo idee un po' strampalate, e basta". Probabilmente lo stesso pensa delle vicende di cui si sta occupando la procura di Brescia. Con il collegio senatoriale, Arlacchi lascia a Di Pietro una eredita' nel segno della continuita', e forse una sponda per continuare la sua battaglia per la riforma degli apparati di sicurezza pubblica anche dopo che s
i sara' trasferito nei suoi nuovi uffici viennesi, che dovrebbe occupare a fine mese.
Dal 19 giugno Arlacchi e', infatti, il nuovo vicesegretario delle Nazioni Unite per i problemi inerenti alla lotta contro il narcotraffico, contro la criminalita' organizzata, il riciclaggio e il terrorismo. Arlacchi Pino di Gioia Tauro, 46 anni, figlio del sindaco democristiano della cittadina calabrese, sociologo di fama, "il maggiore e piu' prestigioso studioso del fenomeno mafioso" (autodefinizione), "professionista dell'antimafia" (definizione di Leonardo Sciascia, che si becco' post mortem dal sociologo l'accusa di codardia) e' diventato il numero tre dell'Onu grazie ai buoni uffici di Romano Prodi.
Anche se formalmente la designazione arriva dal segretario generale Kofi Annan, Arlacchi deve la nomina al presidente del Consiglio e soprattutto al suo partito, il Pds, nelle cui liste e' stato eletto fin dal 1994.
Una poltrona sfumata dopo tanti sforzi
Quali sono i motivi che hanno spinto il nostro governo ad offrire l'ambita poltrona viennese al sociologo dell'antimafia, autore di libri-intervista a Tommaso Buscetta e di un volume che condannava Andreotti prima dell'inizio del processo? All'origine di tutto, secondo gli osservatori piu' attenti e qualche
"talpa" che lavora all'interno della Quercia, ci sarebbe stata la svolta pidiessina sui temi della giustizia: dopo la vittoria dell'Ulivo, grazie soprattutto all'atteggiamento di Massimo D'Alema, il cosiddetto "partito dei giudici" ha subito parecchi ridimensionamenti. Cosi' almeno era sembrato quando, l'anno scorso, era stato eletto il socialista Ottaviano Del Turco alla presidenza della commissione parlamentare Antimafia. Proprio l'incarico a cui ambiva da sempre Pino Arlacchi che gode notoriamente della stima e dell'appoggio di alcune procure-chiave nel sistema giudiziario italiano, come quella palermitana di Giancarlo Caselli. E pensare che il sociologo calabrese, mirando all'Antimafia, aveva passato l'estate scorsa cercando di dare di se' un'immagine piu' moderata e garantista ed era arrivato persino a criticare gli amici magistrati di Palermo per la spettacolarizzazione del caso Brusca, il boss che aveva cercato di screditare Luciano Violante e il vicecapo della polizia Gianni De Gennaro.
"Ho naturalmente grandissima stima e totale fiducia nei procuratori Giancarlo Caselli, Giovanni Tinebra e Piero Vigna" disse Arlacchi mentre infuriavano le polemiche sul capomafia arrestato che sembrava non voler confermare l'appartenenza di Andreotti a Cosa Nostra, "pero' desidero fare loro una semplice critica, per lo stile adottato in questa circostanza... La notizia non doveva uscire. Le procure che si occupano di mafia devono
parlare solo per comunicati ufficiali".
Una lezione di stile del candidato-presidente, che, a dire il vero, in passato non si era sempre attenuto alla consegna del silenzio. Ne sanno qualcosa il giudice Corrado Carnevale e l'allora ministro della Giustizia Filippo Mancuso, che nella primavera di due anni fa videro diffusa sui giornali la notizia di un'intercettazione di un loro colloquio telefonico, predisposta dalla pro-cura
di Palermo, coperta dal segreto istruttorio e non ancora depositata. Arlacchi,
parlando dei due, l'11 maggio 1995 aveva detto a un giornalista: "Si' che sono amici; anzi tra i due c'e' qualcosa di piu'... Ci sono certe intercettazioni telefoniche che riguardano il ministro e l'ex giudice... C'e' il segreto istruttorio su quelle carte".
Il 3 luglio scorso, sollecitato da un'interrogazione del ccd Carlo Giovanardi, il sottosegretario alla Giustizia Corleone ha ammesso che in quel caso fu violato il segreto istruttorio. "Da vicepresidente dell'Antimafia" ha commentato Mancuso, "Arlacchi abuso' dei suoi poteri diffondendo le segrete risultanze di un'intercettazione non an-cora depositata. Ora il suo partito gli ha trovato una sistemazione a Vienna, speriamo che non si serva della sua carica per diffamare altre persone".
Cosi' la partenza dall'Italia del sociologo, di cui da mesi non si sentiva piu' parlare, sembrava segnare il tramonto, nel Pds, di quella cultura del sospetto di cui Arlacchi era stato illustre esponente. L'arrivo di Di Pietro sembrerebbe segnare una svolta diversa.
Non va infatti dimenticato che Pino Arlacchi ha sempre preso le parti dei suoi amici procuratori. Presentando il suo libro sul processo Andreotti, ad esempio, disse che a carico del senatore a vita "esistono elementi di prova robusti" e che le dichiarazioni dei pentiti "sono avvalorate da un'imponente massa di riscontri...valanghe di riscontri" arrivando a definire "plausibile e del tutto verosimile" la scena del bacio tra Toto' Riina e il divo Giulio: "Cosa Nostra chiama a rapporto il suo principale referente politico. In un clima teso Riina saluta Andreotti con un bacio per dimostrare al picciotto Di Maggio che il potere della mafia e' intatto. Lui, il boss, tratta da pari a pari con i vertici dello Stato". Certo, dei pentiti e delle loro dichiarazioni Arlacchi se ne intende, non solo per l'essere autore di due libri intervista a collaboratori
di giustizia (Buscetta e ad Antonino Calderone) ma anche per essere stato consulente della Dia di Gianni De Gennaro.
Ha contribuito alla creazione della Dia
Eppure quelle affermazioni cosi' granitiche sulla mafiosita' di Andreotti, descritto come un fantoccio nelle mani del boss corleonese, suonano inopportune. E' stato lo stesso senatore a vita a farlo notare durante una trasmissione televisiva. Pino Arlacchi e' infatti stato consulente del ministro dell'Interno Vincenzo Scotti durante l'ultimo governo Andreotti. Scotti si rivolse al sociologo nel settembre 1991, chiedendogli un progetto per combattere la grande criminalita' organizzata e Arlacchi consegno' una relazione che contribui' all'istituzione della Dia, cioe' della prima polizia alle dirette dipendenze dei magistrati. E di li' a poco il ministro Scotti offri' ad Arlacchi un contratto di consulenza con il Viminale per "210 milioni lordi piu' Iva, da corrispondere in 12 rate mensili posticipate, finalizzato ad uno studio della criminalita' organizzata italiana". Il sociologo firmo' l'accordo in qualita' di presidente del Cerdop, un centro studi di cui era il factotum. I 17 milioni e mezzo al mese sono st
ati pagati dal ministero fino al 1994, cioe' fino all'elezione a deputato dello studioso. Come mai Arlacchi, che nel settembre del '95 ha ricordato come i sospetti su Andreotti esistessero da moltissimi anni citando come esempio le lettere di Moro, ha tranquillamente accettato incarico e milioni da un governo presieduto dal fantoccio telecomandato da Riina? E come mai, allora, non espresse i suoi sospetti e le sue preoccupazioni rifiutando di collaborare - di fatto - con un esponente mafioso di tale livello?
Negli anni scorsi le tante consulenze scientifiche sul tema della criminalita' organizzata e del traffico di stupefacenti hanno causato ad Arlacchi qualche grattacapo. Nel 1990, ad esempio, il Comune di Bologna e la Usl 27 commissionarono al sociologo una ricerca dal titolo "Il mercato dell'eroina a Bologna e provincia", un dossier di 116 pagine contenenti analisi e dati, da cui risultava che il capoluogo emiliano era afflitto dagli stessi mali di Palermo e Reggio Calabria: "Le famiglie-imprese della mafia, il gangsterismo urbano collegato alla criminalita' organizzata, il lobbing illecito in seno alla massoneria" la farebbero da padroni sotto le Due Torri. Ma della ricerca, costata al Comune un centinaio di milioni, qualcuno scrisse che era in buona parte identica (55 pagine su 113) a un'altra ricerca, commissionata all'esperto
alcuni anni prima dalla Usl 25 di Verona e intitolata "Il mercato dell'eroina a Verona e provincia". Frasi, situazioni, analisi sarebbero state semplicemente riciclate cambiando solo il nome della citta'. Arlacchi, che pero' ha sporto querele, avrebbe cioe' plagiato se stesso, una curiosa coincidenza segnalata dal Rettore dell'ateneo di Bologna Mario Roversi Monaco.
E Falcone cestino' la sua proposta
Arlacchi non perde occasione di ricordare la profonda amicizia che lo legava a Giovanni Falcone. Appena appresa la nuova nomina, ha detto che il suo primo pensiero e' stato per "i miei amici Falcone e Borsellino". Ma in precedenza, sulla collaborazione con il giudice ucciso nella strage di Capaci aveva detto ben di piu'. In un'intervista rilasciata due anni fa, il sociologo aveva infatti rivelato di essere stato lui a convincere Falcone del fatto che il cosiddetto terzo livello della mafia non esiste: "Alla faccenda del terzo livello io non ho mai creduto. E nell'85 riuscii a convincere pure Giovanni Falcone che, invece, era sicuro del contrario. Mafia e politica si sono incontrate allo stesso livello. E caso mai la politica ha chinato la testa di fronte al potere di Cosa Nostra, non viceversa". Forte di questa amicizia e della reciproca stima che legava i due amici, Arlacchi, quando Falcone arrivo' a Roma come direttore generale del ministero di Grazia e giustizia, il sociologo gli fece arrivare la proposta
per uno studio sulla mafia del costo di 200 milioni. La pratica, racconta un testimone attendibile, stava gia' per essere approvata. Ma Falcone disse: "Possiamo spendere meglio questi soldi". E cestino' la proposta.
Le ultime sortite pubbliche di Arlacchi prima della nomina all'Onu risalgono alla fine dell'anno scorso, quando scoppio' la polemica sul mezzo miliardo che lo Stato aveva elargito a Balduccio Di Maggio e sulle altre liquidazioni da nababbi concesse a pochi pentiti, testimoni nei grandi processi su mafia e politica. Di fronte alla rabbia delle vedove delle vittime di mafia, il sociologo disse: "Piano con certi discorsi. Questi meccanismi in realta' sono stati creati per far risparmiare lo Stato. Non c'e' nulla di scandaloso".