di Carmelo Palma (Direzione politica del CORA-Coordinamento radicale antiproibizionista)L'Opinione, 4 settembre 1997
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Le droghe "chimiche" non hanno mancato di fare fortuna. La loro diffusione sembra travolgente, e piu' ancora la loro popolarita': non solo fra chi le consuma, ma innanzitutto fra quanti le "usano" per giustificare dinanzi ai propri occhi ed a quelli dell'opinione pubblica l'esigenza di una ulteriore "stretta" delle politiche sulla droga e di una resistenza disperata alla prova dei fatti.
Cosa c'e' di meglio di droghe cosi' "scientifiche", cosi' "moderne" e dunque cosi' capaci di rappresentare il crescente potere del "male", per suffragare la posizione di chi, sui temi della droga, ha sempre rifiutato un atteggiamento scientifico, pragmatico e razionale?
La scienza, in questo campo, e' del diavolo. Dunque, come si puo' pensare di affrontare il diavolo, ricorrendo alle sue stesse armi? Il potere politico e, cosa ancora piu' grave, anche una parte della comunita' scientifica, ha sempre pensato di affrontare i problemi di droga pensando che bastasse la vanga dei valori a bonificare la palude della perdizione, in cui le "droghe" precipitavano gli individui e la societa'. Non solo in Italia, ma anche in altri paesi del mondo - basti pensare al tragico esempio francese - per anni sono stati sostanzialmente interdetti e proibiti trattamenti i farmacologici delle tossicodipendenze. Il metadone (la "droga di Stato", come ancora molti lo chiamano) e' stata a lungo semi-proibita sebbene fosse riconosciuto come il farmaco piu' appropriato contro le tossicodipendenze da oppiacei. O forse, proprio per questo motivo: perche' scatenava una "lotta chimica" in cui, a prescindere dai risultati, la societa' e la politica non volevano o non potevano moralmente riconoscersi. L'un
ica lotta legittima era quella "etica". I tossicodipendenti, i consumatori di droga sono stati eletti "malati morali", come, prima di loro, i malati di mente "malati sociali".
Questo atteggiamento e' costato il bando a tutte le "maniglie" farmacologiche, a cui, con tutte le difficolta' del caso, era comunque possibile aggrappare le vite ed ha fruttato il via libera ad un gioco al massacro devastante, in cui ai "drogati" era sostanzialmente imposto di toccare il fondo per risalire, e alla vittime innocenti e involontarie della loro violenza di partecipare, loro malgrado, a questo percorso di dannazione e di sperata "resurrezione".
Oggi, di fronte alle droghe chimiche, cosi' diverse - per prezzo, effetti, conseguenze e target - dalle droghe proibite tradizionali, e insieme cosi' rispondenti all'"identikit" del prodotto demoniaco, si continua a celebrare l'ennesimo disperato esorcismo.
Sulla droga, si sono sempre confrontate due sottoculture. Da una parte, c'e' quella sociale - fatta di "slang", abitudini, pregiudizi, idiosincrasie e alibi - che accomuna paradossalmente i "drogati" alla maggioranza della societa' e che risponde ad un ambiguo e straziato "vocabolario dei sentimenti", ad un atteggiamento alternativamente vessatorio e assolutorio, in cui possono perfettamente coesistere l'assoluta intolleranza e l'assoluta indulgenza (basti pensare, ad esempio, alla figura di Vincenzo Muccioli, che di queste contraddizioni e' stato consapevole testimone e tragico interprete). Dall'altra parte, c'e' una sottocultura politica e istituzionale, tutta declamazioni e pellegrinaggi nella "terra santa" delle comunita', parassitaria ai limiti della sconcezza nei confronti di chi soffre e di chi lotta, "disponibile a tutto", anche a fare leggi che sono un monumento all'incoerenza ed alla mostruosita' giuridica, ma incapace di esercitare responsabilita' di governo; comunque incline a non dar credito a c
hi vorrebbe dare stampelle chimiche alle debolezze di quanti sono, invece, condannati ad avere (ovviamente!) "forza morale".
Sembra che sulla droga la nostra societa' spenda quell'ancora enorme patrimonio di pregiudizio "antiscientifico" che appartiene alle sue corde piu' profonde. E non casualmente: e' del resto piu' semplice e, almeno in parte, culturalmente inevitabile che la "linea gotica" della resistenza alla manipolazione scientifica del corpo si attesti dalle parti della mente (dei suoi meccanismi delicati, cosi' poco, all'apparenza, meccanici) piuttosto che dalle parti del fegato o della milza. Ma oltremodo significativo e' che questa resistenza non valga tanto per tutte le sostanze, in ragione della per la loro caratteristica di alterare lo stato psichico. Ve ne sono moltissime, di uso medico o voluttuario, che sono culturalmente accettata e metabolizzate. Ve ne sono altre, oppure vi e' un uso diverso delle stesse sostanze, che non viene accettato, ma che diviene simbolicamente rappresentativo di tutto il peggio: anche di quel male, che tutti quanti inconsapevolmente avvertono nel proprio abituale consumo di "droghe", m
a di cui non sono in grado di riconoscersi responsabili o vittime.
Le droghe chimiche (e ne parlo volutamente come di un tutto indistinto, perche' cosi' sono avvertite) hanno il volto del "nemico perfetto", cosi' lontane come sono dalla nostra idea mitologica di "salute morale" e insieme cosi' vicine alle nostre abitudini quotidiane: chi si inchina ad ogni sorta di pasticche (per dormire, per svegliarsi, per ricordare, per dimenticare, per dimagrire...) come a dei sacramenti della medicina, come puo' resistere alla tentazione di fare delle altre pasticche, come e piu' delle altre droghe, bersaglio dell'impotenza, della paura, della disperazione?