Lettere al Direttore--------------------------------------------------------------------------------
Carissimo Professore,
il nostro atteggiamento di critica all'impiego in prima istanza del naltrexone parte non solo dall'esperienza negativa di molti Ser.T. italiani presso i quali l'antagonista viene imposto quasi in contrapposizione a interventi sostitutivi "concessi" solo con il lanternino, ma anche da contatti con colleghi nordamericani che avendo sperimentato il naltrexone prima di noi ne hanno riconosciuto i limiti ed anche i rischi. In quel Paese i medici debbono spesso rispondere di "malpractice" e, quindi, evitano comportamenti non basati sulla "medicina dell'evidenza".
Infatti studiosi come Jaffe, entusiasti sostenitori dell'antagonista, dopo tutta una serie di prove cliniche ha dichiarato che l'impatto terapeutico del naltrexone non e' significativo. Il che non significa abbandono dell'antagonista ma accurata selezione dei casi che per modicita' del craving, buona situazione familiare, elevato grado di motivazione, mancanza di polidrug e, quindi, adesione cosciente al programma, consentano l'effettivo sviluppo di interventi psico-sociali.
Ma soprattutto nell'uso indiscriminato del naltrexone sembra persistere da una parte la scarsa considerazione dei diritti del cittadino tossicodipendente (mai interpellato), dall'altra la presunta necessita' di un "lavaggio radicale" (e "drenaggio finanziario"). Viene troppo spesso trascurato il rischio di ipersensibilizzazione di recettori degli oppioidi ed il conseguente rischio di overdose per una ripresa dell'eroina e nel pacchetto terapeutico mancano informazioni adeguate per i tossicodipendenti ed i familiari.
Altro aspetto di fondo e' quello dell'arbitrarieta' delle imposizioni terapeutiche a fronte del diritto del paziente alla libera e cosciente scelta, per cui appare urgente un indirizzo generale di richiamo all'osservanza di diritti che sono stati anche recentemente ribaditi da leggi poiche' e' proprio la non accettazione del tossicodipendente come malato da curare e rispettare e la larvata adesione alle tesi del drogato vizioso e moralmente decaduto che e' alla base di atteggiamenti non deontologicamente corretti.
La ringrazio per l'attenzione, con stima,
Roberto Nardini
Gruppo SIMS (Studio e Intervento Malattie Sociali) Pietrasanta (LU)
Caro Nardini,
La sua lettera sta a dimostrare la persistenza di comportamenti e di scelte terapeutiche che non sono dettate dall'evidenza scientifica ma che partono da premesse emotive ed ideologiche. In effetti l'antagonista aveva suscitato molte speranze: secondo il recente libro di Alfio Lucchini, Giovanni Strepparola e Rossano Vitali, "Dopo l'eroina - la sfida del naltrexone" (Franco Angeli, Milano, 1997, pp. 148, lire 28.000) la scarsa utilizzazione USA sarebbe anche basata sul costo piu' elevato del naltrexone rispetto al metadone. Il che non mi sembra esatto in quanto dovrebbero calcolarsi anche i vantaggi di non inclusione nell'elenco degli stupefacenti. Comunque proprio in questa pubblicazione che riporta l'esperienza di 14 AUSL lombarde si riconosce che i soggetti che aderiscono ad un trattamento con antagonisti sono "piu' giovani, piu' occupati, meno coinvolti nella tossicodipendenza ed in migliori condizioni di salute". Inoltre nella stragrande maggioranza aderiscono a programmi integrati ed i familiari collab
orano attivamente. Rimane, anche nell'esperienza lombarda, la difficolta' di superare il craving, difficolta' che si tenta di superare con vari trattamenti tipo GHB. Viene comunque anche sottolineato il vantaggio per l'aggancio per uno studio piu' obiettivo dell'Io. Ritengo e sostengo che non vi debbano essere contrapposizioni metadone-naltrexone ma selezioni, presentazioni obiettive e scelte motivate. A quando comunque una Carta dei Diritti del Tossicodipendente che non sia elaborazione retorica?
Cordialmente,
Carlo Vetere