Il principio ribadito dalla Corte Costituzionale: sono equiparabili ai malati di menteLa Repubblica (www.repubblica.it), 16 marzo 1998
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ROMA - L'ubriaco o il 'tossico' cronico che commetta un reato non puo' essere punito. Con una sentenza che nelle sue motivazioni e' destinata a sollevare molto clamore, la Corte costituzionale ha confermato che in questo caso ubriachi e e tossicodipendenti debbano essere equiparati ai malati di mente, incapaci cioe' di intendere e di volere.
Immediate le reazioni negative di alcuni esponenti della destra, secondo i quali si darebbe via libera ai reati commessi dai 'tossici'. In realta' la sentenza della Corte e' una conferma degli articoli 94 e 95 del Codice penale che fanno una differenza tra chi fa uso "abituale" di alcol o di droghe e chi ne fa un uso "cronico". Questi ultimi non sono perseguibili come 'sani'.
I giudici costituzionali rimandano cosi' al mittente, come "non fondato" il ricorso di un pretore di Ancona che aveva sostenuto il contrario. Secondo il pretore, infatti, non esiste alcuna forma di intossicazione da alcol o da stupefacenti che possa essere considerata irreversibile. Anche le forme di psicosi alcoliche che si determinano nel caso di un'intossicazione cronica come il 'delirium tremens' o l'allucinosi - scriveva il pretore - "sono suscettibili di guarigione anche in breve periodo di tempo". L'intossicazione cronica, in altre parole, in base a queste considerazioni, "non ha ragion d'essere, non essendo configurabile una patologia di rilievo somatico, psicologico e psichiatrico con caratteristiche di permanenza e osservabile anche oltre la cessazione dell'abuso".
Ma a tutt'altre conclusioni sono giunti adesso i giudici della Consulta, secondo cui lo stato di cronica intossicazione, inteso come processo irreversibile, ha ragione di essere, "a prescindere da un suo confinamento a situazioni marginali o rare". La Corte Costituzionale si richiama in particolare esplicitamente alle norme del codice penale del 1930, che hanno innanzitutto parificato i reati commessi in stato di ubriachezza o sotto l'azione di stupefacenti "ai reati commessi in stato di normalita'", eliminando gli "sconti" di pena precedentemente previsti dal codice Zanardelli. Questa equiparazione - osserva la Corte - e' passata indenne sotto il profilo della irragionevolezza costituzionale.
Fermo restando questo principio - aggiunge la Corte - il codice del 1930 ha previsto all'art. 94 un'aggravante per quei reati che siano stati commessi da un soggetto che volontariamente e abitualmente assume alcool o droghe, mentre con l'art. 95 si prevede appunto la non colpevolezza in tutti quei casi in cui si sia in presenza di uno stato cronico di intossicazione, "non piu' dominabile dal soggetto".
"In ultima analisi - ha ancora detto la Corte - e' il riferimento alla colpevolezza o meno del soggetto quello che deve permettere di distinguere, dal punto di vista della volonta' del legislatore e per le conseguenze dalla legge
previste, la intossicazione acuta da quella cronica: colpevole quella acuta, sia pure dandosi spazio a tutti i trattamenti di recupero e agli altri provvedimenti ritenuti adeguati sul piano dell'applicazione e dell'esecuzione delle pene; incolpevole, o meno colpevole, quella cronica, sia pure attraverso il passaggio, nell'ipotesi della pena soltanto diminuita, per la discussa e discutibile figura della semi-imputabilita'".
"E' facendo riferimento al principio di colpevolezza - hanno
concluso i giudici della Consulta - che il giudice deve porsi in grado di risolvere i problemi che si presentano nella concreta applicazione dell'art. 95 del codice penale, facendo applicazione, nel dubbio, alle regole di giudizio espressamente stabilite nei commi 2 e 3 dell'art. 530 del codice di procedura penale". Dunque il giudice ha la possibilita' di potersi orientare, motivando la sentenza, "anche a prescindere dal pur rilevante parere eventualmente espresso, sia sull'imputabilita' che sulla pericolosita' sociale, dai periti medico-legali".