("La Stampa", cronaca di Torino - 25/4/98)"Mezzo miliardo per risarcire i famigliari per la morte in carcere di un parente. 517 milioni che il ministero di Grazia e Giustizia pagherà ad una famiglia tunisina: genitori e fratelli di Nabil Loussaief, ammazzato da tre suoi connazionali nel carcere di Saluzzo nell'agosto del 1994.
La sentenza è della IV sezione civile del tribunale (giudice Silvia Brat). Per la prima volta viene riconosciuta una responsabilità civile del ministero in un reato avvenuto in un penitenziario. Il perchè è presto detto: il giorno in cui il giovane maghrebino venne ammazzato c'era un solo agente di custodia in servizio in quella sezione. Un solo uomo per controllare 50 detenuti che fecero muro per impedirgli di intervenire. Se ci fossero stati più uomini, e si fosse prestata più attenzione nei giorni precedenti il delitto, quella morte, forse , si poteva evitare.
La storia, raccontata dai documenti del processo penale, ricorda scene già viste in certi film americani: detenuti schierati in modo da coprire la vista all'esterno, e che intonano canti, e urlano, per non far sentire le grida di chi lotta dietro le loro spalle.
Nel carcere di Saluzzo, il 28 agosto di 4 anni fa,successe proprio questo. Lo ricorda la sentenza di condanna dei tre tunisini che avrebbero ucciso Nabil Loussaief: <>.
Qualche giorno dopo l'omicidio la famiglia di Nabil contattò un avvocato torinese, Francesco Traversi, incaricandolo di chiedere i danni agli autori dell'assassinio. Traversi, però, ha fatto di più: ha citato a giudizio il ministero. Ci sono voluti due anni di udienze, perizie e controperizie. Ma alla fine è arrivata la sentenza, destinata a creare un precedente pesante, al quale potrebbero appellarsi, in futuro, decine di altri famigliari di reclusi che in carcere sono stati uccisi o che hanno tentato il suicidio.
La sentenza emessa dal tribunale civile di Torino, lunga una trentina di pagine, è articolata. E fa riferimento ai diritti inalienabili dell'individuo: primo fra tutti quello all'integrità fisica e psichica, tutelata anche dall'articolo 32 della Costituzione. Scrivono i giudici: <>.Di qui le colpe dell'Amministrazione carceraria. Il sovraffollamento della struttura penitenziaria di Saluzzo (potrebbe contenere al massimo 150 detenuti, ma in quel periodo ne aveva 324) e il sovraffollamento della quinta sezione, dove si verificò l'omicidio: in quel periodo contava circa il doppio di reclusi rispetto al previsto. E non basta. Come sostenuto durante una deposizione del provveditore regionale dell'Amministrazione penitenziaria di Piemonte e Valle d'Aosta, Giuseppe Marcello: in quel carcere il personale era assolutamente insufficiente. Meno di un terzo prestava servizio e le perqusizioni delle celle venivano fatte solo a campione. Dunque, visto il clima che esisteva nel carcere, le difficoltà di controllo dei reclusi, non si è tutelato a fondo quel bene primario che è la vita e l'integrità fisica dell'individuo.
Di qui l'entrata in scena del ministero di Grazia e Giustizia: la legge, infatti, riconosce allo Stato e agli enti pubblici la responsabilità di illeciti commessi da funzionari e dipendenti. Dunque è il ministero che deve pagare il danno.
L'entità del risarcimento non è enorme: 517 milioni. Soldi che, assicura l'avvocato Francesco Traversi, saranno ripartiti tra tutti i famigliari di Nabil Loussaief, ancora residenti in Tunisia, secondo percentuali stabilite dallo stesso tribunale civile.". (l.pol.)